Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33682 del 08/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33682 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Andrea Nocchi, quale difensore di Sallaku
Ylli (n. il 02.04.1983), avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona,
Sezione penale, in data 11.02.2013.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Carmine
Stabile, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Udito l’Avvocato Andrea Nocchi, difensore di Sallaku Ylli, il quale ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 08/05/2014

OSSERVA:
Con sentenza del 15.04.2009, il Tribunale di Ancona — Sezione
distaccata di Jesi – dichiarò Sallaku Ylli responsabile del reato di ricettazione
(di un ciclomotore) e di falso (uso di falso contrassegno di identificazione del
motociclo) e — concessa l’attenuante di cui al secondo comma dell’ari. 648
multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte di
appello di Ancona, con sentenza dell’11.02.2013, confermò la decisione di
primo grado.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo l’errata applicazione della
legge penale. Invero, non vi è alcuna prova che l’imputato fosse consapevole
della provenienza furtiva del motociclo e della falsità del contrassegno di
identificazione dello stesso motociclo. Eccepisce, poi, la violazione dell’art.
521 del c.p.p. poiché all’imputato era stato contestata la falsificazione del
contrassegno di identificazione del motociclo (art. 477 e 482 c.p.) ed è stato
invece condannato per il reato di uso del predetto falso contrassegno di
identificazione del motociclo (art. 489 del c.p.). Rileva, poi, l’assoluta
mancanza di motivazione in ordine alla doglianza relativa alla congruità della
pena.
Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato.
Invero, per quanto riguarda la doglianza relativa alla carenza di
motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico si deve
rilevare che la Corte territoriale ha con esaustiva, logica e non contraddittoria
motivazione, evidenziato tutti i motivi dai quali desume la piena
responsabilità dell’imputato per il reato di ricettazione. A solo titolo di
esempio, appare opportuno ricordare che la Corte di appello ha sottolineato
che il ricorrente non ha mai fornito una giustificazione plausibile sul possesso

c.p. – lo condannò alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed € 400,00 di

del ciclomotore proveniente da furto e corredato da documenti falsi. Come
ben rilevato dal Giudice di merito, questa Suprema Corte ha, in proposito, più
volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che ai fini della
configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può
essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente

acquisto in mala fede (Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud. dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez. 2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003
Ud. – dep. 10/04/2003 – Rv. 224634; Sez. 2, Sentenza n. 29198 del
25/05/2010 Ud. – dep. 26/07/2010 – Rv. 248265 Sez. 2, Sentenza n. 50952
del 26/11/2013 Ud. – dep. 17/12/2013 – Rv. 257983). Lo stesso discorso è
stato correttamente ritenuto valido per la generica doglianza relativa alla
consapevolezza dell’imputato della falsità dei documenti.
Per quanto riguarda l’eccezione di violazione dell’art. 521 del c.p.p. poiché all’imputato era stato contestata la falsificazione del contrassegno di
identificazione del motociclo (art. 477 e 482 c.p.) ed è stato invece
condannato per il reato di uso del predetto falso contrassegno di
identificazione del motociclo (art. 489 del c.p.) – si deve sottolineare che la
Corte di appello ha ben risposto evidenziando un consolidato principio di
questa Corte. Secondo tale principio — condiviso dal Collegio – non sussiste
difetto di correlazione tra la sentenza e l’accusa contestata nel caso in cui
l’imputato, al quale sia stata originariamente contestata la falsificazione
materiale del documento, venga invece condannato per uso di atto falso. Ciò
in quanto l’art. 489 cod. pen. prevede una condotta, quella di uso, che delle
condotte di falsificazione costituisce una progressione criminosa, essendo
punibile autonomamente solo se commessa da chi non abbia partecipato alla
falsificazione o comunque per la falsificazione non sia punibile. Sicchè al
contraffattore viene contestata solo la contraffazione, anche quando abbia
fatto pure uso del documento contraffatto; ma ciò non esclude che l’uso
rimanga comunque contestato in fatto, quale elemento concreto della
vicenda criminosa (Sez. 5, Sentenza n. 42649 del 14/10/2004 Ud. – dep.
03/11/2004 – Rv. 230265; conformi: Sez. 5, Sentenza n. 40650 del
08/11/2006 Ud. – dep. 12/12/2006 – Rv. 236306; Sez. 3, Sentenza n. 25200

rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un

del 25/05/2007 Ud. – dep. 03/07/2007 – Rv. 237123). Inoltre, non vi è la
violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 521 cod.
proc. pen.), ed è quindi legittima la riqualificazione giuridica del fatto originariamente contestato ai sensi dell’art. 517 cod. pen. (vendita di prodotti
industriali con segni mendaci) – e la successiva condanna per il reato di
introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 cod.

29869 del 14/06/2011 Ud. – dep. 26/07/2011 – Rv. 250414; si veda anche la
conforme Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. – dep. 13/10/2010 Rv. 248051).
A fronte di quanto sopra il difensore del ricorrente — come si è già detto
– contrappone solo contestazioni, che non tengono conto delle
argomentazioni della Corte territoriale e che si fondono solo su mere
congetture. In particolare non evidenzia alcuna illogicità o contraddizione
nella motivazione della Corte territoriale allorchè conferma la decisione del
Tribunale. Si deve osservare, in proposito, che l’illogicità della motivazione,
come vizio denunciabile, deve essere percepibile ictu oculi, dovendo il
sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza,
restando ininfluenti le minime incongruenze (che tra l’altro nel caso di specie
non si ravvisano). Inoltre, questa Corte Suprema ha più volte affermato il
principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di ricorso per
Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto
di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591,
comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Si veda
fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv
230634).
Infine, per quanto riguarda la pena si deve rilevare che la Corte di
appello nel riassumere i motivi di impugnazione non ha evidenziato alcuna
doglianza sulla congruità della pena; doglianza che quindi non può essere
proposta per la prima volta avanti a questa Corte di legittimità. Si deve
comunque ricordare che la Corte di merito non è tenuta a riesaminare una
questione formulata genericamente nei motivi di appello, questione sulla

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pen.), discutendosi sostanzialmente dello stesso fatto (Sez. 5, Sentenza n.

quale il primo giudice si sia già soffermato, risolvendola con argomentazioni
corrette e prive di vizi logici (Sez. 5, Sentenza n. 4415 del 05/03/1999 Ud. dep. 08/04/1999 – Rv. 213113; Sez. 2, Sentenza n. 16716 del 11/02/2005
Ud. – dep. 16/05/2006 – Rv. 234409). Genericità che viene confermata dalla
doglianza, sul punto, contenuta nel ricorso, nella quale non si evidenzia alcun
motivo a sostegno della ritenuta non congruità della pena; pena che irrogata
edittale. Questa Suprema Corte ha più volte affermato che solo per
l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale si richiede
una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati
dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione
rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 3, Sentenza n. 10095
del 10/01/2013 Ud. – dep. 04/03/2013 – Rv. 255153). Si deve, infine, rilevare
che in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento
della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti
manifestamente infondato (Sez. 5, Sentenza n. 27202 del 11/12/2012 Ud. dep. 20/06/2013 – Rv. 256314).
Pertanto, uniformandosi ai principi di diritto di cui sopra – che il Collegio
condivide – va dichiarata inammissibile l’impugnazione.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, V0810612014

per due reati posti in continuazione è, tra l’altro, di molto inferiore al medio

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