Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33677 del 06/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33677 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

Data Udienza: 06/05/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TOLLIS MARIA N. IL 15/08/1953
avverso la sentenza n. 3/2012 TRIBUNALE di SULMONA, del
05/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ./5
64 Ce C,
che ha concluso per
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,/

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

MARIA TOLLIS, ricorre per Cassazione avverso la sentenza 5.3.2013
con la quale il Tribunale di Sulmona l’ha condannata alla pena di
260,00 e oltre al pagamento delle spese processuali, del risarcimento
dei danni patiti dalla parte civile e delle spese di quest’ultima per la
costituzione e assistenza in giudizio.
La ricorrente chiede l’annullamento della sentenza impugnata, per le
seguenti ragioni così illustrate nei limiti previsti dal I^ comma dell’art.
173 disp. att. cpp.
§1.) la violazione degli artt. 627 I comma cp e 533 cpp, perché la condanna è stata pronunciata in mancanza della prova che i beni
mobili venduti avrebbero fatto parte di un compendio ereditario indiviso, non deponendo in tal senso che i beni fossero custoditi nella casa
materna. La ricorrente sostiene inoltre che la sua condotta (caratterizzata dall’avere richiesto una ricevuta per la vendita fatta) avrebbe efficacia dimostrativa dell’assenza di dolo.
§2.) la violazione dell’art. 627 cp, perché: a) il giudice di merito ha escluso l’esimente prevista dal II° comma della norma richiamata; b) manca la prova del valore valore dei beni venduti in misura
eccedente la quota di eredità pertoccante all’imputata, non essendo
condivisibile quanto affermato dal Tribunale circa l’infungibilità dei
beni venduti.
§3.) violazione degli artt. 62 bis cp, 133 cp perché il giudice di
pace ha applicato la pena della multa superiore al minimo edittale
(stabilito in € 206)
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Il primo motivo introduce in modo generico questioni di fatto senza
fornire alcuna seria confutazione all’affermazione del Tribunale in ordine al fatto che l’imputata abbia venduto beni facenti parte di una
eredità indivisa. L’argomento attiene ad aspetti di merito (ricostruzione del compendio ereditario) che esulando dalla cognizione del giudice della legittimità. La ricorrente non ha fornito alcuna specifica indicazione dimostrativa di un vizio della motivazione desumibile dalla
lettura del provvedimento impugnato o di altri atti che era onere della
parte indicare in modo preciso e puntuale, né tantomeno ha indicato
quale sia l’errore di diritto in cui sia incorso il giudice del merito nell’applicazione dell’art. 627 cp, posto che la generica affermazione circa la “mancanza di prove” si traduce in un vizio della motivazione e
non già in un errore di diritto. Il motivo è quindi inammissibile.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ad analoga conclusione si deve pervenire con riferimento al secondo
motivo di ricorso. Anche in questo caso la doglianza attiene ad aspetti
di fatto, indimostrati e comunque privi di qualsivoglia rilievo in un
giudizio di legittimità, perché non vengono dedotti vizi specifici della
motivazione e l’asserita erronea applicazione del II^ comma dell’art.
627 cp, si traduce a sua volta in una generica censura sulla motivazione senza la enucleazione di uno specifico vizio desumibile dal testo
del provvedimento impugnato. In diritto va osservato che la applicazione del II^ comma dell’art. 627 cp è corretta non avendo la ricorrente indicato da quale atto (non doverosamente considerato dal Tribunale) fosse desumibile che quanto da lei venduto fosse fungibile e nella
misura della quota di sua spettanza.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. L’art. 52 comma 2 lett. a) dl 28.8.2000 n. 74 stabilisce che per la violazione dell’art. 627 cp (punito nella originaria previsione con pena alternativa),
debba applicarsi la pena pecuniaria della multa da 258,00 a 2.582,00 E
Nella specie è stata irrogata una sanzione di 260,00 E (prossima al minimo) con la conseguenza che la motivazione sul punto è più che adeguata attraverso il solo richiamo al criterio della equità.
Parimenti è manifestamente infondata la doglianza relativa al vizio di
carenza di motivazione in ordine al negato riconoscimento delle attenuanti generiche. Va infatti richiamato il principio per il quale il riconoscimento delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato
alla discrezionalità del giudice di merito e sottratto al controllo di legittimità e può essere ben motivato implicitamente attraverso l’esame
esplicito dei criteri previsti dall’art. 133 cp [Cass. n. 36382/2003;
Cass. n. 23679/20913]. Nella specie dalla motivazione della decisione
impugnata si evince il giudizio negativo sulla gravità del reato sorretto
da dolo specifico, dall’intento di locupletazione e dal fatto di avere
venduto cos facenti parte di un eredità indivisa “cariche di affetto e di
ricordi… “. Per contro non hanno alcuna incidenza ai fini di un diverso
giudizio, né l’asserita circostanza che nella specie si sarebbe trattato di
cose di modesto valore economico, né il fatto che l’imputata sarebbe
incensurata.
La prima argomentazione si fonda su un giudizio di fatto sottratto al
sindacato di legittimità e riguarda una circostanza indimostrata, se non
addirittura smentita dalla semplice scorsa dell’elenco, contenuto nel
capo di imputazione, delle cose oggetto di disposizione da parte della
prevenuta. La seconda argomentazione è inidonea a ritenere ingiustificata ed irragionevole la decisione del Tribunale. Infatti “Le circostanze attenuanti generiche non possono essere riconosciute solo per
l’incensuratezza dell’imputato, dovendosi considerare anche gli altri
indici desumibili dall’art. 133 cod. pen. (Principio affermato in relazione al testo dell’art. 62-bis cod. pen. vigente prima delle moddiche
apportate dalla L. n. 125 del 2008)”. [Cass. n.4033/2013]

Per le suddette ragioni dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €
1.000,00 alla Cassa delle Ammende, così equitativamente determinata
la sanzione prevista dall’art. 616 cpp, ravvisandosi gli estremi della
responsabilità ivi prevista.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla cassa delle
ammende.

5-fg

P.Q.M.

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