Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33675 del 06/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33675 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RUSSO ANTONINO N. IL 17/01/1969
avverso la sentenza n. 15/2007 GIUDICE DI PACE di STILO, del
26/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
,G ce -M–e-ce

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 06/05/2014

RUSSO Antonino, tramite il difensore, ricorre per Cassazione avverso
la sentenza 26.4.2013 con la quale il Giudice di Pace di STILO lo ha
condannato alla pena di e 800,00 di multa oltre al pagamento delle
spese processuali e di quelle sostenute dalla parte civile costituita in
giudizio.
La difesa deduce:
§1.) violazione di legge perché la querela è stata proposta da persona
non legittimata;
§2.) violazione di legge perché la querela è stata proposta oltre i termini di legge;
§3.) erronea valutazione del materiale probatorio, mancando plurimi
indizi che comprovino che l’imputato fosse il proprietario degli animali che hanno pascolato abusivamente invadendo il fondo della persona offesa;
§4.) violazione di legge, perché l’imputato è stato condannato senza
la prova che avesse realizzato la condotta tipica descritta dalla legge;
§5.) violazione di legge e vizio di motivazione perché la pena è eccessiva non avendo il giudice tenuto in conto del comportamento processuale dello imputato, il quale si è recato puntualmente avanti il magistrato in tutte le udienze e ha risposto alle domande che gli sono state
poste.
RITENUTO IN DIRITTO
Va premesso che l’atto di impugnazione, qualificato dalla difesa proponente “appello”, deve essere considerato “ricorso per Cassazione”,
perché l’imputato è stato condannato alla sola pena pecuniaria [art. 37
I° comma divo 28.8.2000 n. 274] e non è stato impugnato il capo relativo alla condanna al risarcimento del danno.
Il ricorso è inammissibile, perché è manifestamente infondato, generico, ed attinente a questioni ed aspetti di merito, non sindacabili nella
presente sede.
In particolare:
Con il primo motivo il ricorrente contesta la legittimazione del CALABRESE MICHELANGELO a proporre querela non essendo provato che egli sia proprietario del fondo agricolo oggetto di invasione da
pascolo abusivo, pur riconoscendo lo stesso ricorrente che il terreno
sarebbe coltivato proprio dal CALABRESE Michelangelo; la doglianza è manifestamente infondata, perché introduce, in sede di legittimità,
una questione di mero fatto non suscettibile di sindacato in questa
sede e che non risulta essere stata dedotta avanti al giudice di primo

MOTIVI DELLA DECISIONE

grado e da questi erroneamente risolta. La censura mossa si risolve
nella verifica della mancanza della querela, accertamento che è da ritenersi inammissibile, perché dedotto per la prima volta in sede di legittimità; infatti la doglianza impone un accertamento in fatto, che è
precluso in questa sede; inoltre va ancorai osservato che ai sensi dell’art. 120 cod. pen., il diritto di querela spetta alla persona offesa dal
reato, cioè a colui che patisce la lesione dell’interesse protetto dalla
norma (quindi al proprietario del fondo per il caso in esame), spettando comunque il diritto di querela anche a persone diversa dal proprietario, purché titolari di una posizione giuridica rilevante come
quella del conduttore, del comodatario o dell’usufruttuario [Cass.
6650/1999]. Non essendo pertanto contestata in radice la esistenza di
un rapporto giuridico fra il querelante e il bene sul quale è ricaduta
l’azione delittuosa si deve concludere per la manifesta infondatezza
della doglianza a tacer comunque che il delitto contestato (introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui) può essere commesso dal
proprietario del fondo in danno del possessore dello stesso [Cass.
17509/2009; Cass. n. 8754/1981, Cass. n. 7991/1975].
Di qui la manifesta infondatezza dell’asserzione svolta dalla difesa.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, perché è generico.
E’ costante il principio affermato in sede di legittimità, per il quale è
onere di chi deduce la tardività della proposizione della querela, dare
precisa, puntuale e specifica dimostrazione del momento nel quale il
suddetto diritto poteva essere esercitato. Il ricorrente sul punto non ha
fornito alcuna spiegazione essendosi limitato a registrare la diversa
data del tempus comissi delicti e quella della proposizione della querela, senza fornire la prova del momento in cui la parte offesa è venuta a
conoscenza del fatto [Cass. 25986/2009; Cass. 15853/2006; Cass.
2344/1999; Cass. 10721/1998; Cass. Cass. 3671/1992] Va inoltre aggiunto che la tardività della querela può essere rilevata in sede di legittimità se risulta dalla sentenza impugnata, ovvero da atti da cui sia desumibile immediatamente ed inequivocabilmente il vizio denunciato,
senza necessità di una specifica indagine fattuale che, comportando
l’accesso agli atti, non sarebbe consentita al giudice di legittimità
[Cass. 32985/20131.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il ricorrente infatti introduce il tema della valutazione delle prove, che esula dal
giudizio di legittimità, senza nel contempo fornire la prova dell’esistenza di vizi della motivazione desumibili dal testo del provvedimento impugnato.
In diritto va infatti osservato che le regole dettate dall’art. 192, comma
terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona
offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa

Per le suddette ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma di € 1.000,00 così equitafivamente determi-

verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva
del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello
cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone [Cass.
SU 41461/12]. Nel caso in esame il giudice ha svolto un confronto fra
le deposizioni testimoniali del querelante (costituito parte civile) e le
altre deposizioni (CALABRESE Mario, Maresciallo FALCONIERI)
dando atto di colloqui intercorsi tra CALABRESE Mario e lo stesso
imputato, ritraendone conclusivamente un quadro indiziario, che non
appare manifestamente illogico o contraddittorio e comunque non sindacabile nel merito. Va inoltre rilevato che la tesi difensiva per la quale il CALABRESE Michelangelo non sarebbe credibile per il solo fatto di essersi costituito parte civile nel procedimento penale a carico
del Russo, è illogica ed inaccettabile sul piano del diritto, in assenza
di specifici elementi di fatto idonei a smentire la credibilità del testimone.
Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato. Infatti il delitto di cui all’art.636 cod. pen. può essere consumato non solo con
l’introduzione diretta degli animali nei fondi fmitimi (come vuole
adombrare la difesa al fme di affermare l’insussistenza della prova di
una condotta criminosa), ma anche con il loro abbandono in libertà e
senza custodia (come appare, secondo la sentenza impugnata, essere
stata la normale condotta dell’imputato), nella consapevolezza che essi
si introdurranno nel fondo altrui guidati dall’istinto, essendo in tal caso
configurabile l’elemento psicologico del reato nella forma del “dolo
eventuale” [Cass. 20287/2004].
Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato, perché il giudice nel negare le attenuanti generiche, ha indicato le ragioni poste a
fondamento della decisione facendo espresso richiamo al contenuto
previsto dall’art. 133 cpp. La decisione, non sindacabile nel merito, è
corretta in diritto, perché ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen., il giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma non è necessario, a
tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale
di essi ha inteso fare riferimento [Cass. n. 34364/2010; Cass. n.
2285/2004]: nel caso in esame ha preso in considerazione il vissuto
giudiziario dell’imputato e il fatto che avesse già dei precedenti penali; la determinazione dell’entità della sanzione irrogata all’imputato in
misura inferiore alla media edittale della pena, non deve essere necessariamente correlata esclusivamente all’entità del danno cagionato alla
persona offesa, così come sostenuto dalla difesa dell’imputato

nata la sanzione amministrativa prevista dall’art. 616 cpp, ravvisandosi gli estremi della responsabilità ivi prevista.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.

Il giudice est
Dr. Ugo De 1Cr1 6ienzo

il Presidente

6.5.2014

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