Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3367 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3367 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

NAPOLI Giuseppe, nato a Taurianova (Rc) il 26 maggio 1957;

avverso la sentenza n. 2313 della Corte di appello di Genova, emessa il 3 luglio
2013;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Aldo
POLICASTRO, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

Data Udienza: 26/06/2014

RITENUTO IN FATTO
Riformando integralmente la precedente sentenza emessa dal Tribunale di
Genova, la competente Corte di appello ha condannato, con sentenza del 3
luglio 2013, Napoli Giuseppe, in qualità di legale rappresentante della GECAN
Srl, in relazione alla imputazione concernente l’art.

10-quater del dlgs n. 74

del 2000 per avere egli omesso di versare all’erario, relativamente all’anno di
imposta 2006, imposte e contributi previdenziali per un importo di oltre
109.000,00 euro attraverso la compensazione operata con l’Iva a suo credito

Mentre il giudice di prime cure aveva ritenuto non colpevole il prevenuto
sulla base della duplice considerazione che, avendo egli portato a
compensazione un credito esistente, seppure non ancora compensabile, non
vi era stata alcuna lesione per l’erario e che, comunque, l’illecito era stato
realizzato dal consulente fiscale e non dal Napoli, il giudice di appello, oltre a
ritenere che il contribuente risponde delle eventuali scelte sbagliate del
proprio consulente, ha affermato che il credito non ancora esigibile rientrava
nel genere dei crediti non spettanti, per cui il reato contestato era integrato
anche attraverso le modalità contestate al Napoli, che, pertanto, condannava
alla pena di giustizia, concessa comunque la sospensione condizionale della
medesima.
Proponeva ricorso per cassazione il Napoli deducendo la erronea
applicazione della norma incriminatrice, sostenendo in sostanza la non
equiparabilità della inesigibilità del credito con la sua non spettanza e quindi,
anche sulla scorta della sentenza n. 37350 del 2013 di questa Corte, la
irrilevanza penale della sua condotta.
Come secondo motivo di ricorso, sempre sotto il profilo della violazione di
legge, egli ha ribadito la assenza dell’elemento soggettivo del reato avendo
egli seguito le indicazioni che gli erano state impartite dal suo consulente
fiscale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, risultato infondato, non è, pertanto, meritevole di accoglimento.
Per meglio comprendere le ragioni del rigetto è opportuno riepilogare,
brevemente, i termini della attuale vicenda.
Il Napoli, in qualità di legale rappresentante della GECAN Srl, nel
presentare, relativamente all’anno di imposta 2007, la dichiarazione IVA,
portava in detrazione anche il credito per IVA maturato nel medesimo anno di
imposta e che, pertanto, sarebbe stata detraibile, ai sensi dell’art. 30, comma
2, dPR n. 633 del 1972, solamente nell’anno successivo a quello di
maturazione (in tale senso si veda Corte di cassazione, Sezione V civile, 23
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che sarebbe stata però esigibile solo l’anno successivo.

luglio 2007, n. 16257), realizzando in tale modo un risparmio di imposta, il cui
versamento era difatti omesso, pari ad euro 109.422 / 00.
A fronte di tale condotta, sulla cui materialità non vi è alcuna
contestazione, il Napoli era dapprima tratto a giudizio t dopo che il Tribunale
di Genova lo aveva mandato assolto in primo grado con la formula “perché il
fatto non costituisce reato” – successivamente condannato dalla Corte di
appello ligure alla pena di giustizia, essendo egli stato riconosciuto
responsabile del reato di cui all’art. 10-quater del dlgs n. 74 del 2000, per

n. 241 del 1997, crediti IVA definiti non spettanti o inesistenti.
Così ricostruita la vicenda sottostante, rileva in via preliminare il Collegio
la assoluta estraneità rispetto alla presente fattispecie dei principi di cui è
espressione l’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte
europea dei diritti dell’Uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/ Moldavia, in
tema di reformatio in pejus da parte del giudice di appello rispetto alla
sentenza assolutoria del giudice di prime cure.
Nel caso in esame, infatti, il giudice del gravame è pervenuto ad una
decisione del caso diversa da quella assunta dal giudice di primo grado non in
base ad un giudizio critico sulla attendibilità delle prove testimoniali assunte in
sede dibattimentale, ma sulla base di una diversa valutazione in ordine alla
rilevanza giuridica dei fatti come pacificamente acquisiti in atti.
Tanto considerato osserva la Corte che non risultano fondatt le censure
formulate dal ricorrente avverso la sentenza della Corte territoriale ligure.
Quanto alla seconda di esse – esaminata per prima per speditezza
argomentativa – riferita alla carenza dell’elemento soggettivo in capo al
prevenuto, rileva, brevemente, la Corte che il reato de quo è caratterizzato
dal dolo generico consistente nella mera consapevolezza di utilizzare in
compensazione crediti tributari non spettanti o inesistenti.
Né può ritenersi che detta consapevolezza possa dirsi esclusa dalla fiducia
che il contribuente abbia fatto sulla correttezza dell’operato del proprio
commercialista.
Invero, stante la natura eminentemente personale dell’adempimento degli
obblighi fiscali, il contribuente, il quale è tenuto, tanto più laddove svolga in
maniera professionale un’attività commerciale, ad uno specifico obbligo di
diligenza nella compilazione degli atti tributari, non può, in assenza di una
specifica delega conferita all’interno della stessa impresa commerciale a
personale idoneo, essere liberato dalla eventuale responsabilità, anche
penale, derivante dallo scorretto adempimento degli obblighi tributari,

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avere utilizzato in compensazione, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge

allegando l’avvenuto affidamento dell’incarico di cura degli affari in questione
ad uno studio professionale privato.
Quanto al primo motivo di ricorso, avente ad oggetto la estraneità della
fattispecie in questione alla violazione dell’art.

10-quater del dlgs n. 74 del

2000, stante la inconferenza rispetto alla norma citata del credito di imposta
esistente ma solamente non esigibile nell’anno di imposta cui si riferisce la
dichiarazione in cui esso è stato portato in compensazione, rileva il Collegio
che la impostazione da cui parte il ricorrente è erronea.

compensazione nelle dichiarazioni di imposta, crediti non spettanti ovvero
inesistenti, per un ammontare superiore, per ogni periodo di imposta, ad euro
50.000,00.
Ritiene la Corte che, mentre il concetto di credito inesistente sia di facile
ed intuibile identificazione (essendo chiaramente tale il credito del quale non
sussistono gli elementi costituitivi e giustificativi), la nozione di credito non
spettante, non può essere ricondotta, come invece ritenuto dal ricorrente, al
concetto di mera non spettanza soggettiva (essendo evidente che il portare,
eventualmente, in detrazione un credito tributario, pur astrattamente
esistente ma riferito ad altro soggetto, integra gli estremi della
compensazione con un credito inesistente o, meglio, inesistente relativamente
alla posizione del soggetto che operi la compensazione) ovvero alla pendenza
di una condizione al cui avveramento sia subordinata l’esistenza del credito
(infatti, anche in questo caso, laddove si tratti di condizione sospensiva,
fintanto che essa sia pendente, il credito, trattandosi di fattispecie e
formazione progressiva, ancora non è sorto – esso è, pertanto, inesistente -,
mentre, se si trattasse di condizione risolutiva, una volta verificatasi
quest’ultima, il credito stesso sarebbe definitivamente venuto meno).
Deve ritenersi che sia credito tributario non spettante, ai fini di cui all’art.
10-quater del dlgs n. 74 del 2000, quel credito che, pur certo nella sua
esistenza ed ammontare sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non
utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in operazioni finanziarie di
compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario.
Tale ricostruzione, che si giustifica per evidenti ragioni di contabilità
pubblica, non è smentita dal precedente giurisprudenziale riportato dal
ricorrente; infatti, con la richiamata sentenza di questa Corte, fu dichiarata la
irrilevanza pena della condotta di chi, dopo avere portato in compensazione
crediti ancora non esigibili, aveva provveduto, entro i termini previsti dalla
legge, a sanare la irregolarità realizzata, versando l’imposta che, in prima

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Come detto la norma incriminatrice punisce la condotta di chi utilizzi in

battuta, era stata indebitamente compensata (Corte di cassazione, Sezione III
penale, 12 settembre 2013, n. 37350).
E’ chiaro che con la riferita decisione non si è inteso affermare la
legittimità della operazione di compensazione, ma rilevare che, per effetto del
ravvedimento attuoso, il contribuente aveva, entro i termini di legge,
provveduto al versamento delle imposte da lui dovute, in tal modo elidendo,
ancor prima dell’effettivo verificarsi dell’omissione tributaria che costituisce
l’evento del reato in esame, la rilevanza penale della precedente condotta.

spese processuali.
PQM
Rigetta il

ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

processuali.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2014

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle

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