Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33664 del 06/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33664 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LI CAUSI GIOVAN BATTISTA ANDREA N. IL 21/05/1981
avverso la sentenza n. 2638/2011 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 27/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. So.A.41:( S
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Data Udienza: 06/05/2014

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Palermo ha
confermato la sentenza emessa in data 15 febbraio 2011 dal Tribunale di
Marsala in composizione monocratica, che aveva dichiarato l’odierno imputato
colpevole di danneggiamento aggravato (fatto commesso il 12 dicembre
2007), condannandolo – con le attenuanti generiche equivalenti alle
aggravanti concorrenti – alla pena ritenuta di giustizia, condizionalmente

Contro tale provvedimento, l’imputato (con l’ausilio di un avvocato iscritto
nell’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo il
seguente motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – violazione dell’art. 530, comma 2, c.p.p. e vizio di motivazione
(lamenta travisamento del fatto ed assenza di prova della responsabilità
dell’imputato).
All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di
rito; all’esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e questa Corte
Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti,
pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è integralmente inammissibile, perché il motivo è in parte non
consentito, in parte generico, e comunque manifestamente infondato.

1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità

sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati
dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come vigente a seguito delle
modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che, a parere di questo collegio, la
predetta novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità,
di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a
sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito,
dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo
convincimento.

sospesa.

1.1. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali
può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il
c.d.

«travisamento della prova»

(consistente nell’utilizzazione di

un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova,
accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il
carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a
critica), purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si
pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla

senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata
una monca individuazione od un esame parcellizzato.
Permane, al contrario, la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, del
«travisamento del fatto», stante la preclusione per la Corte di cassazione
di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella
compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. VI, sentenza n. 25255 del 14
febbraio 2012, CED Cass. n. 253099).
1.2. Questa Corte Suprema ha anche già chiarito che è inammissibile, per
difetto di specificità (Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile
2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8
agosto 2013, CED Cass. n. 256133), il ricorso che riproponga pedissequamente
le censure dedotte come motivi di appello (al più con l’aggiunta di frasi
incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della
correttezza delia sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per
confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano
stati accolti.
Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21
gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che «La funzione tipica
dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento
cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di
motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare
specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni
richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto,
innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica
indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano …_…..,….
il
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si
contesta).

2

natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura

Il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una “duplice
specificità”: «Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581 c.p.p., lett. C (e
quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando
“attacca” le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo
che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della

giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente»
(Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n.
254584).
Risulta, pertanto, evidente che,

«se il motivo di ricorso si limita a

riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo
meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica
argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il
provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di
specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di
redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello)
potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa
motivazione da parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli
nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il giudice
d’appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del
motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilità. E ciò per
almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale anche per
l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non è mediata
dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa
motivazione (e tanto più nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a
differenza della mancanza “grafica”, pretende la dimostrazione della sua mera
“apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e specificamente dedotti);
denuncia che, come detto, è pure onerata dell’obbligo di argomentare la
decisività del vizio, tale da imporre diversa conclusione del caso».
Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o parziale, del
motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune
circostanze costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di
autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a “documentare” il vizio
enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che,
ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e
con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei principi

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sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per

consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei provvedimenti
giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima
sentenza con i motivi d’appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso
per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di
impugnazione>> (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio
2013, CED Cass. n. 254584).

1.3. Il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni

implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente
incompatibilità con la ricostruzione effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI,
sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002 – 14 gennaio 2003, CED Cass. n.
223061).
1.4. D’altro canto, in presenza di una doppia conforma affermazione di
responsabilità, va ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza
d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le
censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi
ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di
appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si
regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni
sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia
soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi
logici, non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello,
fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed
inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano
esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo
grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi
logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due
gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n.
1309 del 22 novembre 1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III,
sentenza n. 13926 del 1° dicembre 2011 – 12 aprile 2012, CED Cass. n.
252615).

2. Ciò premesso, il motivo:
– non è consentito nella parte in cui lamenta «travisamento del fatto>> …;

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svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per

L

-)generico nella parte in cui reitera più o meno pedissequamente i motivi di
gravame, senza confrontarsi specificamente con la motivazione del
provvedimento impugnato …;
– e comunque manifestamente infondato, poiché la Corte di appello, con
rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e pertanto incensurabili in questa
sede, con i quali il ricorrente non si confronta con la necessaria specificità,
limitandosi a reiterare più o meno pedissequamente censure già costituenti
oggetto di appello, e già motivatamente ritenute infondate, ha compiutamente

dell’affermazione di responsabilità, valorizzando, in particolare, in accordo con
la sentenza di primo grado, come è fisiologico in presenza di una doppia
conforme affermazione di responsabilità, le dichiarazioni testimoniali di MARIA
PICCIONE, oltre che quelle della nipote FRANCESCA e del di lei fidanzato
VINCENZO ALESSI, tutte motivatamente ritenute attendibili, oltre che
l’oggettiva consistenza dei danni ed il rinvenimento della mazza adoperata
dall’imputato (ex-fidanzato di FRANCESCA PICCIONE) per cagionarli; sono state
anche esaminate in dettaglio le dichiarazioni del teste ZERILLI, che si è ritenuto
confermassero il già acquisito quadro a carico dell’imputato.
A tali rilievi, il ricorrente non ha opposto alcun elemento decisivo di segno
contrario, se non generiche ed improponibili doglianze, fondate su una
personale e congetturale rivisitazione dei fatti di causa, senza documentare
eventuali travisamenti nei modi di rito.

3. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi

dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché – apparendo evidente dal contenuto dei motivi che egli ha
proposto il ricorso determinando le cause di inammissibilità per colpa (Corte
cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell’entità di detta colpa
– della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di
sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 6 maggio 2014

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