Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33662 del 06/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33662 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FIORITO SALVATORE N. IL 14/10/1968
GIORDANO GIUSEPPE N. IL 30/11/1969
avverso la sentenza n. 2068/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
18/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Sa.m..b., 5
che ha concluso per
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Data Udienza: 06/05/2014

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e-cc14, G> (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova,
accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia
il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto
a critica), purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove
che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate
alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro

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sarebbe in realtà non configurabile).

lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia
effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
1.1.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art.
606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di «travisamento
della prova» deve, a pena di inammissibilità (Cass. pen., Sez. I, sentenza n.
20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n. 234115; Sez. VI, sentenza n. 45036
del 2 dicembre 2010, CED Cass. n. 249035):
identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la

doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta
nella sentenza impugnata;
(c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio
invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova
si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del
dibattimento;
(d)

indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e

compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno
dell’impianto arpomentativo del provvedimento impugnato.
1.1.2. In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella giurisprudenza
di legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del ricorso”, inizialmente
elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte Suprema.
Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
(a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in unico
grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione: «(…) 5) per
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio»;

la

disposizione stabilisce attualmente, all’esito delle modifiche apportate dall’art.
54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n. 134 del 2012, che le sentenze
pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate
con ricorso per cassazione <<(...) 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»), ed attualmente la formulazione (introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006) dell'art. 4 (a) 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità: «(...) 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio che lo connota, quando da esso, pur mancando l'esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. II, sentenza 2 dicembre 2005, n. 26234, CED Cass. n. 585217; Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012, n. 14561, CED Cass. n. 623618). Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che «la teoria dell'autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in precedenza), posto che anche in sede penale - in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato -deve ritenersi precluso a questa Corte l'esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso» (Sez. I, sentenza n. 16706 del 18 marzo - 22 aprile 2008, CED Cass. n. 240123; Sez. I, sentenza n. 6112 del 22 gennaio 12 febbraio 2009, CED Cass. n. 243225; Sez. V, sentenza n. 11910 del 22 gennaio - 26 marzo 2010, CED Cass. n. 246552, per la quale è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze; Sez. VI, sentenza n. 29263 dell' 8 - 26 luglio 2010, CED Cass. n. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del principio 5 diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e di dutostiffidenzu, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso; Sez. II, sentenza n. 25315 del 20 marzo - 27 giugno 2012, CED Cass. n. 253073, per la quale in tema di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l'omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l'atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo nel giudizio di cassazione). In proposito, va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto: «In tema di ricorso per cassazione, va recepita e applicata anche in sede penale la teoria della "autosufficienza del ricorso", elaborata in sede civile; ne consegue che, quando i motivi riguardino specifici atti processuali, la cui compiuta valutaziwie si assume essete stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante l'allegazione o la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti specificamente indicati, non potendo egli limitarsi ad invitare la Corte Suprema alla lettura degli atti indicati, posto che anche in sede penale è precluso al giudice di legittimità l'esame diretto degli atti del processo» 1.2. La mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, ! principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. un., sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, CED Cass. n. 214794; Sez. un., sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un., sentenza n. 47289 del 24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074). Devono tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di legittimità, di «un'analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi» (Cass. pen., Sez. VI, 6 trasmesso al giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia sentenza n. 14624 del 20 marzo 2006, CED Cass. n. 233621; Sez. II, sentenza n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n. 239789), e di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. VI, sentenza n. 27429 del 4 luglio 2006, CED Cass. n. 234559; Sez. VI, sentenza n. 25255 del 14 febbraio 2012, CED Cass. n. 253099). 1.3. Il giudice di legittimità ha, pertanto, ai sensi del novellato art. 606 settembre 2006, CED Cass. n. 234622; Sez. III, sentenza n. 39729 del 18 giugno 2009, CED Cass. n. 244623; Sez. V, sentenza n. 39048 del 25 settembre 2007, CED Cass. n. 238215; Sez. II, sentenza n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n. 239789): (a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra individuati); (b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere tale da disarticolare l'intero ragionamento del giudicante o da determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione); (c) l'esistenza di una radicale incompatibilità con l'iter motivazionale seguito dai giudice di merito e bni di un semplice conti asti), (d) la sussistenza di una prova omessa od inventata, e del c.d. «travisamento del fatto>>, ma solo qualora la difformità della realtà storica
sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu °cui/ ed assuma anche carattere
decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal
giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è sindacabile in sede di
legittimità se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio).

2.

E’ anche inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione dell’art.

192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e),
c.p.p., per censurare l’omessa od erronea valutazione di ogni elemento di
prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed
indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in
quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione,
fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non possono
essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c),.%.\…
c.p.p., nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme

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c.p.p., il compito di accertare (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 35964 del 28

processuali stabilite a pena di nullità (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 45249
dell’8 novembre 2012, CED Cass. n. 254274).

3. Secondo altro consolidato e condivisibile orientamento di questa Corte
Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile
2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8
agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è inammissibile per difetto di specificità
il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di
appello (al più con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni,

impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le
argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.
3.1. Si è, infatti, esattamente osservato (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21
gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che «La funzione tipica

dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento
cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione
di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono
indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è,
pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con
specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo
si contesta).

3.2. TI motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da una “duplice
specificità”: «Deve essere sì anch’esso conforme all’art. 581 c.p.p., lett. C

(e quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di
fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione);
ma quando “attacca” le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo
che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606 c.p.p.,
comma 1, lett. e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della
sua decisi vità rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per

.

giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione 1_cm…
differente» (Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013,
CED Cass. n. 254584).

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meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza

3.3. Risulta, pertanto, evidente che, «se il motivo di ricorso si limita a
riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità,
venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso
(la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera
riproduzione il provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere
destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato. Nè
tale forma di redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del
motivo d’appello) potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio

devolutogli nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il
giudice d’appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione
grafica del motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilità. E
ciò per almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale
anche per l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non
è mediata dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di
omessa motivazione (e tanto più nel caso della motivazione cosiddetta
apparente che, a differenza della mancanza “grafica”, pretende la
dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e
specificamente dedotti); denuncia che, come detto, è pure onerata
dell’obbligo di argomentare la decisività del vizio, tale da imporre diversa
conclusione del caso>>.

3.4. Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o parziale,
del motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di ricorso (ed in
alcune circostanze costituisce incombente essenziale dell’adempimento
dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo quando ciò serva a
“documentare” il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed
esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisce al
provvedimento impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si
confronta. A ben vedere, si tratta dei principi consolidati in materia di
“motivazione per relazione” nei provvedimenti giurisdizionali e che, con la
mera sostituzione dei parametri della prima sentenza con i motivi d’appello e
della seconda sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena
applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione» (Sez. VI, sentenza
n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584).

4. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono essere
disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale

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di omessa motivazione da parte del giudice d’appello in ordine a quanto

per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata (per tutte, Cass.
pen., Sez. VI, sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002 – 14 gennaio 2003,
CED Cass. n. 2 1 306 1 `
4.1. In presenza di una doppia conforma affermazione di responsabilità,
va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza d’appello
per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure
formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed
argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di

si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni
sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia
soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi
logici, non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per
giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello
abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di
primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai
passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze
dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., Sez. II,
sentenza n. 1309 del 22 novembre 1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n.
197250; Sez. III, sentenza n. 13926 del 10 dicembre 2011 – 12 aprile 2012,
CED Cass. n. 252615).

I RICORSI
5. Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli odierni
ricorsi.

RICORSO FIORITO
5. Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato FIORITO è, nel suo
complesso, infondato e va, pertanto, integralmente rigettato.

5.1. Sono già state indicate nel § 2 di queste Considerazioni in diritto le
ragioni per le quali sono inammissibili le doglianze inerenti alle dedotte
violazioni degli artt. 125 e 192 c.p.p.

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appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui

5.2. La doglianza inerente al mancato accoglimento della richiesta di
rinnovazione del dibattimento è infondata.
5.2.1. Deve premettersi che, come già chiarito da questa Corte Suprema,
la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello è
evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta
necessità conseguente all’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti,

che impone l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur se le parti non
abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito

Cass. n. 256968); e la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria
dibattimentale può essere censurata soltanto qualora si dimostri l’esistenza,
nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune
o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e
concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state
presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di
determinate prove in appello (Sez. VI, sentenza n. 1256 del 28 novembre
2013, dep. 14 gennaio 2014, CED Cass. n. 258236).
Si è, inoltre, precisato che a celebrazione del processo nelle forme del rito
abbreviato, se non impedisce al giudice d’appello di esercitare i poteri di
integrazione probatoria, comporta tuttavia l’esclusione di un diritto
dell’imputato a richiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ed un
corrispondente obbligo per il giudice di motivare il diniego di tale richiesta
(Sez. H, sentenza n. 3609 del 18 gennaio 2011, CED Cass. n. 249161); ma il
giudice d’appello, è tenuto ad ammettere le prove sopravvenute che non
siano vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti, anche se il
giudizio di primo grado sia stato celebrato con il rito abbreviato

(Sez. II,

sentenza n. 44947 del 17 ottobre 2013, CED Cass. n. 257977).
5.2.2. Ciò premesso, deve rilevarsi che, nel caso di specie, essendosi
proceduto con rito abbreviato, l’imputato non aveva diritto a chiedere la
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale; d’altro canto, il documento de quo
risultava in sua disponibilità da data ben precedente quella della sentenza di
primo grado (f. 2 del ricorso, secondo quanto riferisce lo stesso avv. FERONE:
il documento de quo era stato notificato all’imputato in data 6 luglio 2011)
non può, quindi, essere considerato prova sopravvenuta che la Corte di
appello aveva l’obbligo di assumere.
La Corte di appello (f. 22) ha, peraltro, motivatamente spiegato le ragioni
di merito del diniego opposto alla richiesta difensiva, con rilievi esaurienti,

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dall’art. 468 c.p.p. (Sez. II, sentenza n. 41808 del 27 settembre 2013, CED

logici, non contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede, con i quali il
ricorrente non si confronta con la necessaria specificità.

5.3. Tutte le ulteriori doglianze sono generiche, perché meramente
reiterative dei corrispondenti motivi di appello, e comunque manifestamente
infondate.

5.3.1. La Corte di appello, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori,

confronta con la necessaria specificità, limitandosi a reiterare più o meno
pedissequamente censure già costituenti oggetto di appello, e già
motivatamente ritenute infondate, ha compiutamente ricostruito le vicende de
quibus ed indicato gli elementi posti a fondamento dell’affermazione di
responsabilità.
In particolare, in accordo con la sentenza di primo grado, come è
fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità:
– quanto alla ritenuta sussistenza del delitto di tentata estorsione, la Corte
di appello, dopo avere riepilogato le ragioni per le quali doveva ritenersi
acquisita dagli imputati la comune consapevolezza dell’illegittimità delle
pretese vantate in danno della ENERAMBIENTE (f. 22), ha fatto corretta
applicazione dell’orientamento di questa Corte Suprema (Sez. II, sentenza n.
705 del 10 gennaio 2014, CED Cass. n. 258071: <>.

6.2. Il terzo motivo è infondato.

La Corte di appello ha fatto corretta applicazione dell’orientamento di
questa Corte Suprema (per la quale l’effetto determinante della suggestione
deve essere escluso quando il colpevole sia entrato liberamente a far parte
del gruppo: Sez. V, sent. n. 4557 del 23 marzo 1973, CED Cass. n. 124269),
valorizzando il fatto che il GIORDANO aveva <

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