Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33661 del 23/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33661 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RINALDIN GIANLUCA N. IL 27/01/1975
avverso la sentenza n. 1641/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
17/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. i Lezz/›- D i re_
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Data Udienza: 23/04/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 17.10.2013 la Corte d’Appello di Milano in parziale riforma della
sentenza del Tribunale di Milano dell’8 ottobre 2012 che aveva assolto Rinaldin Gianluca
dai reati di cui ai capi A ( violazione degli artt. 110,112, 48 e 479, 61 n. 2 c.p.) B)
(violazione degli artt. 81 cpv, 110, 112 e 640 bis c.p.) e C) (violazione degli artt. 110,
319 e 319bis c.p.) per non aver commesso il fatto e condannato per i reati di cui ai capi

non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine al reato di cui al capo F) (
violazione art. 483 c.p.) ed in ordine al reato di cui al capo D) (violazione degli art. 81
cpv. e 640 c.p.) limitatamente ai fatti relativi alle fatture del 5 ottobre 2005 e del 14
febbraio 2006 perché estinti per intervenuta prescrizione; dichiarava Rinaldin Gianluca
colpevole dei reati di cui ai capi A) e B) e, ritenuta la continuazione tra detti reati e
quello di cui al capo D) limitatamente ai fatti relative alle fatture del 16 maggio 2006 e
del 25 ottobre 2006, lo condannava alla pena di anni due mesi nove di reclusione,
confermando nel resto l’impugnata sentenza.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:
1. mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione risultante sia dal testo
del provvedimento sia dagli atti del processo, quest’ultimo vizio in particolare
risultante dall’omessa valutazione da parte del giudice d’appello e di quello di
primo grado delle risultanze probatorie derivanti dall’intero arco degli atti
dibattimentali e decisive per dimostrare l’innocenza del ricorrente; inosservanza
delle norme processuali di cui agli articoli 192 comma uno e comma 3, 500
comma 2, 546 comma llett e) codice di procedura penale per mancata e/o
errata indicazione delle norme concernenti la valutazione delle dichiarazioni rese
dai soggetti di cui all’articolo 197 bis comma sei codice di procedura penale nella
loro denegata considerazione unitaria agli altri elementi di prova a conferma
della attendibilità; per mancata e/o errata applicazione della norma concernente
le dichiarazioni lette per la contestazione dei testi ai fini della loro credibilità, per
la mancata applicazione della norma disponente l’obbligo della motivazione
comprendente, oltre all’indicazione delle prove poste a base della decisione,
altresì le enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritenga inattendibili le
prove contrarie. In particolare contesta il ricorrente il giudizio di inattendibilità
delle dichiarazioni dei testi Tagliaferri e Bin rilevando che l’attendibilità dei testi
assistiti è stata valutata in un’unica e preconcetta direzione, presupponendo
cioè che si vi sarebbe stata attendibilità di tali dichiarazioni solo nel caso in cui
avessero reso deposizioni conservative di quelle esposte nel corso delle indagini;
non avvedendosi che il giudizio sull’attendibilità è il frutto di una valutazione

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F) ( violazione art. 483 c.p.) e D) (violazione degli art. 81 cpv. e 640 c.p) dichiarava

complessiva che comporta per il giudice l’individuazione, ogni volta che sia
possibile, della versione attendibile, sia essa resa nel corso delle indagini ovvero
nel corso del dibattimento. Viene rilevato che tali disposizioni dibattimentali
hanno trovato conferma nelle dichiarazioni di altri testi escussi in aula, quali
Maurizio Conti e Carlo Fossati. Detti testi, si legge nel ricorso, hanno
espressamente escluso che Rinaldin fosse socio della Lago di Como S.r.l.
venendo così di fatto a smentire l’unico movente sopravvissuto nella ricerca

ai capi A) e B). Viene altresì richiamata la deposizione del maresciallo Stabilito
che sull’argomento ha precisato come non fosse intervenuta alcuna telefonata
intercettata sull’utenza Rinaldin. Rileva il ricorrente che la corte d’appello nulla
ha detto in ordine a tali elementi di prova e che la ritenuta decisività delle
intercettazioni telefoniche risulta enormemente perplessa sia nella lettura in sé e
per sé, sia nella necessaria correlazione, ancora una volta delegata, con altri
elementi di prova emergenti dal processo. Viene sottolineato l’errore gravissimo
del giudice d’appello nell’attribuire a Gianluca Rinaldin la qualità di interlocutore
della telefonata numero 7126 del 15 giugno 2007, telefonata dalla quale la corte
territoriale ritiene di desumere chiarezza ed univocità nel superare qualsiasi
dichiarazione a carattere testimoniale a favore di Rinaldin. Tale conversazione
non riconducibile all’imputato probabilmente riguarda un Luca che di cognome fa
Lanfranconi. Viene sottolineato altresì che i giudici di secondo grado si sono
dimenticati di una telefonata tra Folcio e Tagliaferri la numero 435 ut. Tagliaferri
del 7 maggio 2007 che escluderebbe la responsabilità del ricorrente
2. violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento agli articoli 479,640
e 640 bis codice penale. Sostiene che non si rinviene in alcun atto del processo
dichiarazione alcuna che accenni a una benché minima istigazione morale,
espressa in parole, fatti o addirittura atteggiamenti, riferibile all’imputato,
tendente alla prosecuzione e alla concretizzazione di dati contabili (fatture)
artefatti, atti ad ottenere il contributo della regione. In sintesi non è dato
comprendere in che cosa consiste il concorso dell’imputato nei fatti in
contestazione
3. violazione dell’articolo 606 lettera e) codice di procedura penale per essere la
corte d’appello incorsa in un evidente travisamento con riguardo alle
intercettazioni telefoniche e alla partecipazione di Rinaldin alla compagine
sociale della Lago di Como S.r.l. Il ricorrente anche in ipotesi accusatoria non ha
partecipato alla realizzazione dei fatti materiali di cui ai capi A) e B) ma il suo
concorso sarebbe derivato dall’avere avuto un interesse politico alla
realizzazione dell’opera, in quanto da sempre interessato al settore turistico,

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delle ragioni per le quali l’imputato potesse ritenersi concorrente nei delitti di cui

tanto da farne il suo cavallo di battaglia politica, e, soprattutto dall’avere
partecipato al capitale sociale della Lago di Como S.r.l. e di avere avuto
interesse patrimoniale al conseguimento dell’ingiusto profitto di cui al capo B).
Sostiene che la riforma in appello di una sentenza di assoluzione non può essere
basata su valutazioni semplicemente diverse dello stesso compendio probatorio,
qualificato da pari o persino minore razionalità e plausibilità rispetto a quello
sviluppato dalla sentenza di primo grado, ma deve fondarsi su elementi dotati di

ragionevole dubbio immanente nella delineatasi situazione di conflitto valutativo
delle prove. Rileva che nel caso di specie non solo si è proceduto
preliminarmente a motivare sulle ragioni dell’erroneità della decisione
assolutoria, e quindi a indicare gli elementi dotati di effettiva e scardinante
efficacia persuasiva, ma si è giunti alla condanna sulla scorta di una semplice
rivalutazione degli elementi già considerati dal tribunale, divenuti decisivi sulla
base di una intercettazione in realtà non riconducibile a Rinaldin, la già citata
numero 7126 del 15/6/2007. Da qui l’evidente travisamento della prova. La
conversazione è stata del tutto ignorata dal tribunale proprio perché non
riconducibile all’imputato. Sostiene inoltre che la corte territoriale non ha
adempiuto agli obblighi statuiti dalla suprema corte in caso di riforma di una
sentenza assolutoria non avendo motivato in ordine alla dichiarazione di alcuni
testimoni che hanno escluso espressamente che Rinaldin fosse socio della
società in questione (Maurizio Conte e Carlo Fossati ); quanto all’intercettazione
tra Folcio e la moglie lamenta il ricorrente che la corte d’appello ancora una
volta non ha motivato in ordine alle ragioni per le quali non ha condiviso la
motivazione del tribunale che nell’assolvere ha correttamente evidenziato come
dalla medesima non possa trarsi alcuna conclusione tranquillizzante in ordine
alla responsabilità dell’imputato posto che Folcio e Tagliaferri erano adusi alla
commistione di piani e ad un’illecita gestione della Lago di Como S.r.l.
4. violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’applicazione
dell’articolo 640 codice penale e comunque omesse manifesta illogicità della
motivazione con riguardo alle fatture di cui al capo D) rispetto al reato di cui al
capo B). Evidenzia il ricorrente il corto circuito motivazionale in base al quale la
corte territoriale da un lato si esime dall’onorare l’obbligo di motivazione imposto
nel caso di riforme di una sentenza di assoluzione e dall’altro si limita a
confermare la sentenza impugnata in ordine al capo D) limitandosi ad affermare
che le fatture di cui all’imputazione sono state presentate alla regione per il
rimborso quando Rinaldin non le aveva ancora pagate. Rileva che sul punto i
giudici d’appello non si curano minimamente di motivare in ordine le doglianze

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effettiva e scardinante efficacia persuasiva in grado di vanificare ogni

svolte nei motivi d’appello dove era stato evidenziato come la fattura costituisca
inequivocabilmente la prova della sussistenza di un credito certo, liquido ed
esigibile che ben avrebbe potuto formare oggetto di procedura esecutiva nei
confronti del debitore non adempiente e ciò a prescindere da eventuali rapporti
tra quest’ultimo e altri soggetti
5. omessa motivazione in ordine al reato di cui al capo F) La corte si limita a
dichiarare l’intervenuta prescrizione mentre sarebbe dovuta giungere a ben altre

6. vizio della motivazione insito nel testo del provvedimento e nella correlazione del
medesimo con il dispositivo. Dato storico incontrovertibile è quello che Rinaldin è
venuto a conoscenza, sia pure in ipotesi di accusa, del meccanismo truffaldino
solo tra la fine di marzo e i primi di aprile 2007. A fronte di tale dato la corte
territoriale nel dispositivo dichiara il Rinaldin colpevole dei reati di cui ai capi A)
e B) senza alcuna delimitazione dei confini temporali e di contenuto della sua
responsabilità comminandogli una pena che evidentemente comprende
l’interezza dei fatti descritti nell’imputazione, dunque anche quelli consumati nel
dicembre del 2006
7. vizio della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Viene contestato il
diniego delle attenuanti generiche e l’omessa motivazione in ordine alla
rideterminazione della pena

In data 7 aprile 2014 venivano presentati motivi nuovi con i quali in particolare il
ricorrente sottolineava:
1. con riferimento al motivo sub 3) come l’intercettazione telefonica progressivo
numero 7126 del 15 giugno 2006 18.01 utenza Folcio era stata, per un evidente
errore materiale, assunta dalla corte di appello come prova decisiva per la
riforma della sentenza di assoluzione in primo grado considerato che la
telefonata in questione non è attribuibile all’ imputato Rinaldin. A tal fine veniva
allegata oltre la trascrizione della intercettazione anche il file audio
2. con riferimento ai motivi di ricorso sub 1 e 1 bis veniva evidenziato come il
rovesciamento dell’esito assolutorio del primo grado di giudizio era fondato sulla
mera rilettura alternative delle stesse risultanze processuali e veniva
sottolineato come l’insufficienza di una mera lettura contraria nel secondo grado
di giudizio delle stesse risultanze delle prove dichiarative, non dotate di evidenza
conclusiva, per travolgere una sentenza di assoluzione, discendeva dai principi
fondamentali del giusto processo ed era stata più volte affermata anche dalla
Suprema Corte in accordo con quanto statuito dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo. Si lamenta che

la partecipazione dell’imputato nella pronuncia

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tA/

conclusioni a fronte della inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Tagliaferri

impugnata viene sostenuta con tre argomenti solo apparente ossia: la
riproposizione di alcune intercettazioni telefoniche il cui contenuto resta
ambiguo; la negazione della tesi difensiva liquidata come implausibile sulla base
di tre elementi già esaminati dalla sentenza di primo grado è già valutati come
non conferenti rispetto alla commissione del reato; l’attribuzione errata
all’imputato di una conversazione telefonica in realtà a lui non riferibile
3. in relazione ai rilievi mossi nel motivo sub 4) del ricorso principale viene ribadita

4.

l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo D) limitatamente alla fattura
emessa in data 16.5.2006

I motivi di ricorso, con i quali vengono sollevati sotto diversi profili vizi della motivazione,
sono manifestamente infondati.
La ricostruzione delle vicende processuali, così come risulta dal testo delle sentenze dei
giudici di merito dei due gradi di giudizio, raffrontata, per singole parti della sentenza
impugnata, con i motivi di ricorso evidenzia come sia stato osservato l’obbligo
motivazionale facente carico al giudice di secondo grado.
Se è vero che l’art. 546, comma 1, lett. e), prevede tra i requisiti della sentenza quello di
una “concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata”, è pur
vero che il disposto dello stesso articolo pone a carico del giudice di merito l’obbligo di
“indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni
per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie”, così come, per quanto
concerne la valutazione delle prove, l’art. 192, comma 1, c.p.p., impone di dare “conto
nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati”. La concisione nella
esposizione, pertanto, significa, con riferimento ai motivi di diritto, che il giudice non deve
fare uno sfoggio di erudizione giuridica che non sia funzionale alla esplicitazione dei criteri
adottati, e, con riferimento ai motivi di fatto, che nel testo della sentenza non deve
trovare ingresso una pura e semplice elencazione delle risultanze dibattimentali, ma solo
una sintesi valutativa degli elementi probatori, considerati singolarmente e nel loro
insieme, e comparativa di quelli a favore e contro l’imputato. Solo una chiara, completa e
articolata motivazione consente infatti al giudice di Cassazione di rilevare se e in quale
punto della motivazione emerga il vizio dell’argomentazione. Deve aggiungersi che è
giurisprudenza pacifica di questa Suprema Corte che la sentenza appellata e quella di
appello, quando non vi è difformità sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente,
formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale
occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e
completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella di appello
(Sez. 1^, 22/11/1993-4/2/1994, n. 1309, Albergamo, riv. 197250; Sez. 3^, 14/2-

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l’insussistenza radicale della truffa contestata al capo D)

23/4/1994, n. 4700, Scauri, riv. 197497; Sez. 2^, 2/3-4/5/1994, n. 5112, Palazzotto, riv.
198487; Sez.2^, 13/11-5/12/1997, n. 11220, Ambrosino, riv. 209145; Sez. 6^,
20/113/3/2003, n. 224079). Ne consegue che il giudice di appello, in caso di pronuncia
conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella
ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure, dovendo soltanto
rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate dall’appellante. In questo
caso il controllo del giudice di legittimità si estenderà alla verifica della congruità e logicità

L’obbligo motivazionale del giudice di appello assume invece connotati più originali e
stringenti nel caso in cui la sentenza di appello affermi una responsabilità negata in primo
grado.
Deve ricordarsi il principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo
il quale il giudice di appello che riformi totalmente la sentenza di primo grado, sostituendo
all’assoluzione l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, ha l’obbligo di dimostrarne con
rigorosa analisi critica l’incompletezza o l’incoerenza, non essendo altrimenti
razionalmente giustificato il rovesciamento della statuizione assolutoria in quella di
condanna.
Va dunque ribadito (cfr., N. 1381 del 1994 Rv. 201487, N. 8009 del 1995 Rv. 202280, N.
15756 del 2002 Rv. 225564, N. 32970 del 2004 Rv. 229144, N. 7630 del 2005 Rv.
231136,N. 6221 del 2006 Rv. 233083, SS.UU. 24.11.2003, Andreotti Rv. 226093 e SS.UU
n. 33748 20/09/2005, Mannino Rv. 231679), che il giudice di appello che riformi la
sentenza di primo grado, sostituendo all’assoluzione l’affermazione di responsabilità
dell’imputato, ha l’obbligo di dimostrare specificamente l’insostenibilità sul piano logico e
giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e
penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che,
sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate
e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente
valutati. La diversa spiegazione del fatto non può basarsi sulla semplice differente
valutazione, ma deve fondarsi su dati fattuali che conducono univocamente al
convincimento circa la colpevolezza dell’imputato.
In questo caso, dunque, il giudice di appello deve raffrontare il proprio decisum non solo
con le censure dell’appellante, ma anche con il giudizio espresso dal primo giudice, che si
compone sia della ricostruzione del fatto che della valutazione complessiva degli elementi
probatori, nel loro valore intrinseco e nelle connessioni tra essi esistenti.
Inoltre, il giudice di appello, allorché prospetti ipotesi alternative a quelle ritenute dal
giudice di prima istanza, non può limitarsi a formulare una mera possibilità, come
esercitazione astratta del ragionamento disancorata dalla realtà processuale, ma deve
riferirsi a concreti elementi processualmente acquisiti posti al fondamento di un iter logico

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m/

delle risposte fornite alle predette censure.

che conduca, senza affermazioni apodittiche, a soluzioni divergenti da quelle prospettate
da altro giudice di merito.
Ciò detto deve rilevarsi che il Tribunale aveva ritenuto che la sussistenza dei fatti di cui
ai capi A) e B) risultava provata sulla base delle dichiarazioni rese dal teste Stabilito,
della documentazione acquisita agli atti, delle dichiarazioni rese da Ornaghi, Figini,
Lolito Cipolli e Pastorelli, delle intercettazioni telefoniche, delle dichiarazioni rese da
Sorrentino, Tagliaferri, Folcio, Bin, Fossati, sentiti ex art. 197 bis c.p.p., delle

pronunciate nei confronti di Sorrentino, Tagliaferri, Folcio, Bin e Fossati in relazione ai
suddetti reati. Per le stesse ragioni sia in considerazione delle conversazioni telefoniche
intercettate, che delle dichiarazioni rese dai testi ex articolo 197 bis codice di procedura
penale, unitamente agli accertamenti bancari effettuati e alla documentazione acquisita
al fascicolo del dibattimento veniva ritenuta pacificamente provata la sussistenza dei
reati di cui ai capi D) e F).
Con riguardo specifico alla responsabilità del Rinaldin erano state esaminate le
dichiarazioni rese ex articolo 197 bis codice di procedura penale da Sorrentino,
Tagliaferri, Folcio, Bin e Fossati. Era stato osservato che Tagliaferri e Bin avevano
sostanzialmente ritrattato quasi tutto quanto riferito nel corso degli interrogatori resi in
sede di indagini preliminari con riferimento alle accuse formulate nei confronti del
Rinaldin. Sorrentino, Folcio,e Fossati avevano invece tenuto un atteggiamento al limite
della reticenza, ma successivamente a fronte delle contestazioni avevano confermato
quanto dichiarato nel corso delle indagini preliminari. Il tribunale aveva concluso per un
giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni dibattimentali di Tagliaferri e Bin,
(rimarcando l’assenza di intento calunniatorio nelle dichiarazioni rese in sede di
indagini; l’autonomia di dette dichiarazioni; la loro coincidenza con quelle rese da altri
testi ex art. 197 bis c.p. e da Conti Maurizio che però, con riguardo alla responsabilità
del Rinaldin, avevano riferito solo “de relato”) e di inutilizzabilità per il disposto di cui
all’articolo 500 comma due codice di procedura penale delle dichiarazioni da loro rese in
sede di indagini preliminari non potendo trovare applicazione la previsione di cui al
comma quattro. Residuavano quindi come uniche fonti di prova a carico di Rinaldin le
dichiarazioni di Sorrentino, Folcio,e Fossati, quelle di Conti Maurizio e le intercettazioni
telefoniche (in particolare le conversazioni n. 1573 del 2.2.2007 ore 14,59 e n. 2405
del 15.2.2007 ore 10.52, entrambe fra Tagliaferri e Folcio). I giudici di primo grado
avevano ritenuto che da tali elementi probatori emergevano gravi indizi a carico di
Rinaldin che però non erano connotati dal carattere della precisione e quindi non era
ravvisabile prova certa a suo carico della commissione del fatto di cui alle imputazioni
indicate ai capi A) e B). In particolare è stato osservato che ai fini del decidere
assumeva fondamentale rilevanza la previa verifica della sussistenza della prova della

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vi/

dichiarazioni rese da Conti Maurizio, delle sentenze definitive ex artt. 444 c.p.p.

partecipazione dell’imputato alla Lago di Como S.r.l. in qualità di socio occulto,
costituendo detta partecipazione il presupposto di fatto della condotta oggetto di
contestazione. Sul punto è stato rilevato che dalle intercettazioni telefoniche, non
specificatamente richiamate , era emerso un inquietante scenario in relazione alla
composizione sociale della Lago di Como S.r.l. e la certa esistenza di soci occulti. Con
riguardo alla veste di socio occulto dell’imputato veniva esaminata la conversazione
telefonica numero 1573 intercettata sull’utenza in uso a Tagliaferri il 2 febbraio 2007

di ritenere provato con certezza oltre all’esborso di € 20.000 da parte di Rinaldin, che
detta somma fosse stata versata per consentire allo stesso di rivestire la veste di socio
occulto della Lago di Como S.r.l. Veniva rilevato che indubbiamente Tagliaferri nella
telefonata del 5 febbraio faceva esplicito riferimento alla partecipazione del Rinaldin e
ad una quota del 5% anche se tale partecipazione occulta sembrava essere stata celata
nelle quote del Fossati, ma veniva sottolineato che non era dato comprendere se
l’imputato avesse pagato originariamente o dovesse ancora pagare. Veniva altresì
indicato che nella successiva conversazione del 15 febbraio si faceva nuovamente
riferimento ad un 5% di LR (Luca Rinaldin) ma non era dato comprendere se la qualità
di socio occulto era stata effettivamente assunta perché gli interlocutori avevano
affermato: “se Rinaldin vuole deve cercarsi un prestanome che firmi”, frase che portava
il tribunale a ritenere che l’imputato non avesse ancora assunto la veste di socio. Così
come con riferimento alla somma di € 20.000, 00 fornita da Rinaldin i primi giudici
ritenevano pacificamente provato che la stessa era confluita nella Lago di Como S.r.l.,
somma depositata sul conto di Airoldi presso la Bnl e che nella contabile bancaria
relativa all’operazione di versamento era indicato “o/c Airoldi Stefano vers. Socio”, il
problema era però quello di verificare se era stata fornita la prova certa relativamente
all’imputazione del predetto pagamento, perchè secondo l’accusa la somma era stata
versato quale corrispettivo delle quote della Lago di Como S.r.l., mentre per l’imputato
la causale era diversa. La versione dell’imputato, resa attraverso spontanee
dichiarazioni, secondo il Tribunale si prestava a vari rilievi, tutti espressamente indicati,
però secondo il Tribunale detta certa corresponsione poi da altri versata nelle casse
della Lago di Como S.r.l., a fronte delle mancate dichiarazioni accusatorie del
Tagliaferri, anche tenendo conto del contenuto delle intercettazioni telefoniche, non
forniva prova certa della partecipazione dell’imputato alla predetta società e per
l’effetto della sua partecipazione ai reati di cui ai capi A) e B) e imponeva
un’assoluzione ai sensi del secondo comma dell’art. 530 c.p.p.
I fatti di cui al capo D) erano provati dalle fatture in atti e dalle dichiarazioni pressoché
confessorie di Rinaldin unitamente a quelle rese da Folcio e Tagliaferri. Così come la
prova del reato di cui al capo F ) veniva individuata sulla base delle dichiarazioni di

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ore 14,59 e veniva affermato che la lettura unitaria delle intercettazioni non consentiva

Folcio e Tagliaferri e delle intercettazioni telefoniche.
La corte d’appello decidendo a seguito di impugnazione proposta dal pubblico ministero
e dall’imputato, premessa l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in sede di indagine da
Tagliaferri e Bin ai sensi dell’articolo 500 comma due codice procedura penale e
l’inattendibilità di quelle rese in sede dibattimentale perché smentite dalle risultanze
oggettive delle intercettazioni, si è confrontata con la decisione di insufficienza
probatoria del primo giudice e ha ritenuto Rinaldin pienamente compartecipe

gestiva l’operazione ed è giunta a tali conclusioni sulla scorta di elementi di prova in
parte diversi e in parte diversamente valutati. Ha infatti ritenuto che il tenore
inequivoco delle intercettazioni telefoniche, specificatamente richiamate in sentenza in
ordine cronologico, provava in maniera certa che Rinaldin era compartecipe
dell’operazione “Lido di Menaggio” alla cui buona riuscita aveva un interesse non solo
politico, ma anche economico come emergeva nella conversazione n. 1573 del 2
febbraio 2007, nella quale si fa riferimento ad una partecipazione occulta di Rinaldin per
una quota del 5% in forza di un versamento di Fossati Carlo già effettuato per Rinaldin
( …. e Luca non ha cacciato?…, eh, no credo che li debba a Carlo…..Luca è dentro se
Luca vuole restare in ombra …..) ,

situazione confermata nella conv. N. 2405 del

15.2.2007 dalla quale risultava che Fossati Carlo pagava per le quote sino al 35%,
mentre la sua quota era del 20% e gli interlocutori si dicevano che sarebbe stato
opportuno che LR (Luca Rinaldin) che aveva un 5% e gli altri soci occulti trovassero un
prestanome che firmasse al loro posto ( …. però lui (Fossati) paga per 35 …. Lui firma
anche per gli altri no? …. Allora se LR vuole 5 va bene si trovi il suo prestanome…. Carlo
il 20% rischia per il 20% se poi lui vuole rischiare per il 35 è un problema suo…),
ancora nelle conv. nn. 2405,4161 e 4481 del marzo 2007 dove veniva ribadita la
cointeressenza dell’imputato nelle partecipazioni in argomento con riferimento anche
all’intestazione fittizia della quota ( Luca deve ancora pagare …..ha detto che gliele da
Fossati, il 5…. Bisogna fissare dal notaio …per cambiare sia per Luca che per il figlio di
Emilio…). E infatti nella conversazione n. 5291 del 4.5.2007 intercorsa fra Folcio e Carlo
Fossati il primo confermava al secondo che il lunedì successivo Rinaldin avrebbe versato
i contanti richiesti per la propria partecipazione societaria e 1’8.5.2007 conv. n. 5493
Folcio comunicava ad Emilio che nel pomeriggio gli avrebbe consegnato il denaro
versato da Rinaldin. Nella stessa giornata (conv. n. 5502) Folcio comunicava alla moglie
che stava andando a versare il denaro di Rinaldin e riprendeva la moglie per aver fatto
al telefono il nome di quest’ultimo( la donna: ah scusa perché può essere che siamo
controllati?).

Dal tenore della conversazione i giudici d’Appello traevano ulteriore

conferma della partecipazione occulta di Rinaldin sottolineando che, se si fosse trattato
di un mero prestito, come sostenuto dall’imputato, non vi sarebbe stato motivo per non

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dell’operazione lido di Menaggio perché socio occulto della Lago di Como S.r.l. che

parlarne al telefono
I giudici d’appello si confrontavano anche con la tesi difensiva dell’imputato che
ritenevano implausibile. Secondo Rinaldin la somma di € 20.000,00 versata in contanti
a Folcio e depositata sul conto del socio palese Airoldi Stefano presso la Bnl, confluita
poi nella Lago di Como S.r.l. era stata da lui versata perché Tagliaferri gli aveva detto
che avevano bisogno di denaro per risolvere i loro problemi finanziari e quindi se
l’imputato avesse versato quanto doveva per saldare le fatture della Net Service il

finanziari, la somma sarebbe stata versata sul conto della Net Service ed in quel
momento gli sarebbero state quietanzate le fatture. Secondo la Corte di merito
l’inverosimiglianza di tale tesi risultava in maniera evidente dalle modalità di
pagamento in contanti, dal timore manifestato da Folcio che si venisse a conoscenza di
tale versamento e dalla consequenzialità del versamento rispetto alle conversazioni
intercettate in cui si parlava apertamente della partecipazione occulta del Rinaldin. Ma
secondo i giudici d’Appello ulteriore conferma della partecipazione occulta veniva dalla
conversazione n. 7126 intercettata il 15.6.2007 sul’utenza Folcio nel corso della quale
Luca Rinaldin faceva espresso riferimento alla sua quota ( Luca: ma il Lido è poi
partito? Marco: eh no parte il 20 ….e poi non abbiamo più un ruolo così
preponderante …..per vari motivi abbiamo ceduto parte delle quote…. Luca: compresa
la mia?…. Marco : no, no la tua è ancora in capo ad Umberto….)
Secondo i giudici d’appello proprio il chiaro e univoco contenuto delle conversazioni
intercettate rendeva inattendibili le dichiarazioni rese nel dibattimento a favore del
Rinaldin.
Il ricorrente oltre ad essere pienamente compartecipe dell’operazione Lido di Menaggio
sapeva anche che per ottenere il contributo erano state utilizzate fatture gonfiate come
attestato dalle conversazioni telefoniche specificatamente richiamate nella sentenza
impugnata dalla quale risulta che appena scoperta la falsa fatturazione Rinaldin ne era
stato informato, ma nonostante ciò era rimasto partecipe dell’operazione che era
proseguita con ulteriore falsa fatturazione che aveva consentito l’erogazione anche della
seconda tranches del contributo, contribuendo così alla realizzazione del reato.
La Corte territoriale ha dimostrato in maniera specifica l’insostenibilità degli argomenti
più rilevanti di perplessità indicati nella sentenza di primo grado, e, con rigorosa analisi,
seguita da completa e convincente motivazione, si è sovrapposta a tutto campo alla
decisione del primo giudice, dando ragione delle scelte operate e della maggiore
considerazione accordata alle intercettazioni telefoniche il cui chiaro ed univoco
contenuto, specificamente richiamato in sequenza cronologica, conduceva in maniera
inequivoca al convincimento opposto rispetto a quello perplesso espresso dal Tribunale
la cui decisione di insufficienza probatoria non poteva essere condivisa.

10

/4/

denaro sarebbe stato utilizzato per restituire i fondi a Conti, ma, risolti i problemi

A fronte di tutto quanto esposto dai giudici di appello il ricorrente con i motivi sub 1,
contestando il giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni di Tagliaferri e Bin, che in
dibattimento avevano sostanzialmente ritrattato quanto riferito nel corso degli
interrogatori resi in sede di indagini preliminari con riferimento alle accuse formulate nei
confronti del Rinaldin, sostenendo che le stesse trovavano conferma nelle dichiarazioni
rese da altri testi escussi in aula quali Maurizio Conti e Carlo Fossati, contrappone
generiche contestazioni, con le quali si propone solo una non consentita – in questa sede
di legittimità – diversa lettura degli elementi valutati dai giudici di appello che hanno dato

deposizioni a favore rese in dibattimento e la certa partecipazione del ricorrente
all’operazione Lido di Menaggio, senza evidenziare alcuna manifesta illogicità o
contraddizione della motivazione che non sia il richiamo alla pronuncia di insufficienza
probatoria del primo giudice superata dalla Corte d’Appello o alla generica non
riconducibilità al Rinaldin della conversazione n. 7126 e al mancato esame della
conversazione n. 435 (utenza Tagliaferri)
Le censure indicate nel motivo in esame, al pari di quelle indicate nel motivo sub 3) sono
generiche perché non tengono conto delle argomentazioni della Corte di appello,
limitandosi ad affermare che le stesse sono inosservanti dei principi giuridici fissati dagli
arresti di questa Corte in tema di obbligo rafforzato di motivazione in caso di ribaltamento
della sentenza assolutoria di primo grado. La mancanza di specificità del motivo, invero,
dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche
per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le
esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a
mente dell’art. 591 cod. proc. pen., comma primo, lett. c), all’inammissibilità. Il ricorrente
con i motivi in esame non solo sollecita genericamente una rilettura degli elementi di fatto,
riservata in via esclusiva al giudice di merito, ma disattende le coerenti argomentazioni del
giudice territoriale che ha correttamente motivato la responsabilità del Rinaldin in ordine
ai reati di cui ai capi A) e B)
Il motivo sub 2 è manifestamente infondato essendo contestato il reato a titolo di
concorso. Infatti, in base alla concezione unitaria del concorso di persone nel reato,
accolta dall’art. 110 C.P., l’attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da
qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o
alcune delle fasi di ideazione, organizzazione ed esecuzione, alla realizzazione collettiva,
anche soltanto mediante il rafforzamento dell’altrui proposito criminoso o l’agevolazione
dell’opera dei concorrenti; in sostanza, quando il partecipe, per effetto della sua condotta
cosciente idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione
del reato, egli risponde non solo degli atti da lui compiuti, ma anche di quelli posti in

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t/i/

conto come dal tenore delle conversazioni intercettate emergesse l’inattendibilità delle

essere dagli altri, convergenti nell’offesa all’interesse protetto dalla norma incriminatrice
(cfr. Cass., Sez. I, 3.4.1989, Maricca; 12.1.1990, Ahmetovic; 11.9.1990, Ciancimino;
12.7.1991, Cantone; 24.7.1992, Rendina; 27.5.1994, Corsi;Sez. IV 7.7.1993, Mangani ed
altri; Sez. V 31.5.1990,Rabito;19.2.1994, Zanotti; Sez. VI 8.3.1991, Iankson; 24.8.1993,
La Torre;7.4.1994, D’Episcopo). Ne segue che non è neppure necessario un previo accordo
diretto alla causazione dell’evento, ben potendo il concorso esplicarsi in un intervento di
carattere estemporaneo sopravvenuto a sostegno dell’azione altrui, ancora in corso

27.1.1996, Figlia e altro; Sez. II 16.7.1992, Ortu). Nel caso di specie la corte d’appello ha
dato conto con motivazione coerente, logica e giuridicamente corretta che il Rinaldin
nonostante ormai sapesse che la prima frase del contributo era stata ottenuta con una
falsa fatturazione è rimasto partecipe dell’operazione Lido di Menaggio che è proseguita
con ulteriore falsa fatturazione che ha consentito l’erogazione anche della seconda
tranches del contributo, avallando così la falsa fatturazione già avvenuta e approvando la
continuazione della falsa fatturazione per ottenere i contributi altrimenti non spettanti
Manifestamente infondata è anche la doglianza sub 6). In virtù di consolidato
orientamento giurisprudenziale, cui deve darsi continuità, il delitto p. e p. ex art. 640 bis
c.p. si consuma nel tempo e nel luogo in cui il soggetto attivo concretamente percepisce
l’ingiusto profitto consistente nelle indebite erogazioni pubbliche: solo in tale momento si
consolida la loro definitiva perdita da parte del deceptus.
Essendo il reato de quo a consumazione prolungata tempus e locus commissi delicti
coincidono con quello di riscossione dell’ultima tranche di finanziamento, ove questo abbia
luogo – appunto – in via frazionata (cfr : Cass. Sez. 2^ n. 31044 dell’11.7.08, dep.
24.7.08, rv. 240659; Cass. Sez. 2^ n. 26256 del 24.4.07, dep. 6.7.07, rv. 237299;
analoga conclusione vale per il delitto di cui all’art. 640 c.p.: cfr. Cass. S.U. n. 18 del
21.6.2000, dep. 1.8.2000, rv. 216429; n. 28683 del 09/07/2010 Rv. 247671). Nel caso
di specie il reato, contestato a Rinaldin a titolo di concorso si è consumato con l’erogazione
dell’ultima tranche.
Con riguardo alla doglianza indicata nel motivo sub 4) non può che ribadirsi quanto
ripetutamente affermato da questa Corte regolatrice che ha affermato che l’apparato
motivazionale del provvedimento, che può anche essere succinto, deve dare dimostrazione
dell’iter cognitivo e valutativo seguito dal decidente per giungere ad un certo risultato
decisorio, in modo che sia salvaguardato la facoltà di critica da parte di chi ha titolo per
impugnare o contestare la decisione e l’esercizio del potere di controllo da parte
dell’organo funzionalmente sovraordinato.
Più specificamente deve rilevarsi che l’ambito della necessaria autonoma motivazione del
Giudice d’appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte
dall’appellante. Se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già

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quand’anche iniziata all’insaputa del correo (cfr. Cass., Sez. I, 23.4.1982, Bonsignore;

adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni
generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può
motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti,
generici o manifestamente infondati.
Quando, invece, le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado siano state
specificamente censurate dall’appellante, sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ex
art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), se il giudice del gravame si limita a respingere tali

ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non
consistenza dei motivi di impugnazione. Nel caso di specie il ricorrente si è limitato a
reiterare in sede di gravame le medesime doglianze avanzate in primo grado e riproposte
in questa sede.
Con riguardo al motivo in esame ritiene il Collegio che la Corte di Appello, pur con
estrema sinteticità espositiva, non abbia reso una motivazione definibile mancante, e
dunque viziata ai sensi dell’art. 606, lett. e), c.p.p., ma si sia mantenuta nei limiti entro
cui, secondo i principi giurisprudenziali in materia, è consentito al giudice
dell’impugnazione giustificare la propria decisione con riferimento alle argomentazioni
svolte nel provvedimento sottoposto al suo esame.
In questa sede il ricorrente ripropone le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dai
giudici di primo e secondo grado, dovendosi gli stessi considerare, per di più, specifici non
tenendo conto delle ragioni indicate nel provvedimento impugnato dove si dà atto che è
pacifico che le fatture di cui all’imputazione sub D) sono state presentate alla Regione per
il rimborso quando l’imputato non le aveva ancora pagate e che è indubbio che il diritto al
rimborso deve avvenire secondo la relativa normativa previo effettivo sostenimento di tale
spesa da parte del richiedente, con la conseguenza che la presentazione di una fattura per
il rimborso, senza specificare che non è stata onorata, crea una situazione ingannevole in
ordine al diritto al rimborso.
Anche il motivo sub 5) è manifestamente infondato. In presenza di una causa di estinzione
del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza
impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere
immediatamente alla declaratoria della causa estintiva.( Cass. N. 7718 del 1996 Rv.
205548, N. 10998 del 2001 Rv. 218653, N. 15125 del 2003 Rv. 225635, N. 48524 del
2003 Rv. 228503, N. 4177 del 2004 Rv. 227098, N. 24327 del 2004 Rv. 228973, N. 4233
del 2009Rv. 242959, N. 14450 del 2009 Rv. 244001; SSUU n. 35490 del 2009).
La doglianza di cui al punto 7) è inammissibile perché generica. Lamenta il ricorrente vizio
di motivazione in ordine al diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche e
all’entità della pena.
La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen. è

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censure e a richiamare la contestata motivazione in termini apodittici o meramente

oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata
sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione,
purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure
quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti
indicati nell’interesse dell’imputato (Cass. sez.VI 24 settembre 2008 n.42688, Caridi;
sez.VI 4 dicembre 2003 n.7707, Anaclerio).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il

parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti
decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale
valutazione (Cass. sez.VI 16 giugno 2010 n.34364, Giovane, Sez. 6, Sentenza n. 34364
del 16/06/2010 Ud. (dep. 23/09/2010) Rv. 248244)
Nella fattispecie la Corte territoriale ha motivato il diniego delle attenuanti generiche sulla
scorta di un giudizio in fatto ( ruolo rivestito dall’imputato e affidamento tradito della
collettività) non censurabile in questa sede.
Con riguardo alla doglianza in punto pena deve rilevarsi che la specifica e dettagliata
motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto se la pena sia di
gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere
sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del
tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla
gravità del reato o alla capacità a delinquere, come è avvenuto nel caso di specie dove la
pena è stata fissata in misura prossima ai minimi edittali.
Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende
dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi.
L’inammissibilità del ricorso preclude l’accesso al rapporto di impugnazione ed impedisce
la declaratoria di prescrizione maturata dopo la pronuncia impugnata (Sez. un., 27 giugno
2001, Cavalera, Cass. Sez. un. 23428/05 Bracale).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma il 23.4.2014
Il Consigliere estensore

…………_.7
G’ovanna VERGA

Il Presidente
Mar” GENTILE

giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle

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