Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33660 del 04/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33660 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BASILE SALVATORE N. IL 07/07/1971
ENSABELLA ANTONINO N. IL 30/03/1958
GURRIERI GIUSEPPE N. IL 20/11/1972
GURRIERI SALVATORE N. IL 02/10/1973
MIANO SALVATORE N. IL 31/01/1953
MIRABILE ANGELO N. IL 02/10/1966
avverso la sentenza n. 2860/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
05/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso pe

Udito, per la parte civile, l’Avv

Data Udienza: 04/04/2014

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.
Sante Spinaci, il quale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
Udito il difensore di fiducia di Ensabella Antonino, avv.Salvatore Cannata
che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito il difensore di fiducia di Basile Salvatore, Gurrieri Salvatore, Miano
Salvatore, Mirabile Angelo e Gurrieri Giuseppe, avv.Giuseppe Salvatore
Antoci che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 1.3.2011, il Tribunale di Catania dichiarò Basile
Salvatore, Ensabella Antonino, Gurrieri Giuseppe, Gurrieri Salvatore, Miano
Salvatore, Mirabile Angelo responsabili dei reati come agli stessi
rispettivamente contestati di associazione a delinquere di tipo mafioso e di
estorsione.
Avverso tale pronunzia proposero gravame gli imputati, e la Corte
d’Appello di Catania, con sentenza del 5.3.2013, riduceva le pene e
confermava nel resto la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore degli imputati Basile Salvatore,
Gurrieri Salvatore, Miano Salvatore e Mirabile Angelo, deducendo 1) 1′
errata interpretazione della legge processuale e segnatamente dell’art.438
co.1, 4,5, e 6 c.p.p. ai sensi dell’art.606 lett.c) c.p.p., in riferimento al rigetto
della richiesta di rito abbreviato subordinato all’audizione delle persone
offese, al fine di determinare la loro attendibilità e la coerenza della
narrazione. La Corte ha ritenuto di dover avallare la decisione dei giudici di
primo grado, formulando erroneamente un giudizio sull’utilità della prova
sula scorta di quanto emerso dopo l’acquisizione della stessa, mentre tale
giudizio andava formulato ex ante.; 2) erronea applicazione della legge
penale (art.629 cpv c.p.) in relazione al capo B) estorsione Floresta (imputati
Basile, Gurrieri Salvatore e Mirabile) e vizio di motivazione risultante dal
i

:

testo e da altri atti del processo indicati nel motivo di gravame ai sensi
dell’art.606 lett.b ed e c.p.p. La richiesta estorsiva non è provenuta dal Basile,
o da Gurrieri Salvatore, i quali peraltro vennero chiamati a fare da
intermediari dallo stesso Floresta Cristofaro, nipote dell’imprenditore
estorto, e il Mirabile, quando intervenne, non fece alcuna minaccia, non

chiese e non ottenne somme di danaro. Il Mirabile poi non fornisce alcun
apporto nell’estorsione contestata ai coimputati, limitandosi a promettere un
intervento presso quei terzi, che alla luce della narrazione offerta non si è mai
esplicato. La narrazione non configura una concorsualità nel delitto rubricato
a Gurrieri o al Basile, e la carenza di ogni richiesta determina quell’esclusivo
intervento a favore del soggetto passivo delineato in sentenza ed emergente
dalle risultanze processuali; 3) erronea applicazione della legge penale
(art.629 cpv c.p.) in relazione al capo C) estorsione Lombardo (imputato
Basile) e vizio di motivazione risultante dal testo e da altri atti del processo
indicati nel motivo di gravame ai sensi dell’art.606 lett.b ed e c.p.p.
Lombardo Vincenzo, esaminato nel corso dell’udienza del 20.3.2009, affermò
di non essere stato sottoposto ad alcuna estorsione, e che nel mese di ottobre
del 2004 tale Salvo (Basile), da lui già conosciuto perché cliente della moglie,
gli aveva chiesto la cortesia di aiutare alcune persone bisognose che al
momento erano detenute. La Corte con ragionamento del tutto apodittico ha
ritenuto che la riluttanza a sottoporsi all’esame, palesata dal teste, fosse da
ricondursi ad uno stato di paura e di intimidazione. Ma la richiesta
economica non è stata conseguenza di minaccia, e il Lombardo si determinò

sua sponte ad aderire alla richiesta; 4) erronea applicazione della legge penale
(art.629 cpv c.p.) in relazione al capo D) estorsione Timpanaro (imputato
Miano Salvatore) e vizio di motivazione risultante dal testo e da altri atti del
processo indicati nel motivo di gravame ai sensi dell’art.606 lett.b ed e c.p.p.
Contraddittoria la motivazione quando assegna al Miano il ruolo di esattore,
mentre lo stesso Timpanaro afferma che il Miano non si recò mai a riscuotere
2

la somma richiesta (e dal Timpanaro rifiutata); la Corte non motiva poi in
relazione al motivo d’appello proposto dal difensore in relazione al dubbio
espresso dalla persona offesa sull’identificazione dell’imputato; 5) erronea
applicazione della legge penale (art.416 bis c.p.) in relazione al capo A)
(imputati Basile Salvatore e Gurrieri Salvatore) e vizio di motivazione

risultante dal testo e da altri atti del processo indicati nel motivo di gravame
ai sensi dell’art.606 lett.b ed e c.p.p. La Corte d’Appello, confermando in
ordine al delitto de quo il dictum del Tribunale, ne ha sposato le
argomentazioni incorrendo nella medesima violazione del canone di giudizio
sancito dall’art.192 co.2 c.p.p. Il giudizio di colpevolezza si fonda
esclusivamente su un indirizzo di indagine sviluppato dalla polizia
giudiziaria, e non dal contenuto delle intercettazioni telefoniche in atti;
illogica la valutazione della circostanza riferita dall’ispettore Ottone secondo
cui l’appartenenza del Gurrieri al gruppo mafioso del Villagio di S.Agata si
desumerebbe dal contenuto della missiva rinvenuta e sequestrata a Privitera
Alfio, trattandosi peraltro di di scritto anonimo; 6) erronea applicazione della
legge penale (art.629 cpv 81 c.p.) in relazione ai capi B) C)e D e mancanza di
motivazione ai sensi dell’art.606 lett.b ed e c.p.p. I giudici di secondo grado
hanno determinato la pena da infliggere con la sentenza tenendo conto della
continuazione interna ai sensi dell’art.81 c.p. Tale calcolo si traduce in una
violazione dell’art.629 c.p. ponendosi in contrasto con la natura del reato
punito dalla norma in oggetto. Se unica è l’azione estorsiva, la rateizzazione
del “pizzo” dà luogo non ad un reato continuato o permanente, bensì ad un
reato “a consumazione prolungata”; 7) inosservanza o erronea applicazione
della legge penale (art.7 L.203/91). Vizio di motivazione. Nel determinare la
pena inflitta agli imputati la Corte ha ritenuto di dover apportare un
aumento per la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui
all’art.7 1.203/91, omettendo di rendere noto, con adeguata motivazione,
quali siano gli elementi che hanno indotto a ritenere che gli imputati abbiano
3

utilizzato “metodi mafiosi” ovvero abbiano agito per agevolare
un’associazione di tipo mafioso. La Corte, partendo dalla premessa
dell’appartenenza dei soggetti ad un’associazione di tipo mafioso, ha
automaticamente e apoditticamente applicato l’aggravante ad effetto
speciale; 8) inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art.63

co.4 c.p.). Vizio di motivazione. La norma di cui all’art.63 co.4 c.p. è ispirata
al favor rei e l’impiego del predicato “può” sottintende l’uso di una
discrezionalità che mai può tradursi in scelta arbitraria e necessita di
motivazione congrua. Sul punto ( e quindi sulla determinazione di aumento
di pena per l’aggravante di cui all’art.7 L.203/91 e per la recidiva ex art.99
c.p.) la Corte ha omesso di motivare; 9) inosservanza o erronea applicazione
della legge penale (art.629 cpv c.p. in relazione all’art.628 co.3 nn.1 e 3 c.p.).
Una volta accertata la sussistenza delle aggravanti in questione, i giudici
avrebbero dovuto limitarsi ad applicare la pena stabilita nell’art.629 cpv c.p.
per il delitto di estorsione aggravata senza apportare quell’ulteriore aumento
in relazione all’art.628, co.3 c.p. che, in quanto previsto in sentenza determina
un’erronea applicazione della legge penale.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato Ensabella Antonio
deducendo: 1) inosservanza o errata interpretazione della legge processuale
e segnatamente dell’art.438 co.1, 4,5, e 6 c.p.p. e mancanza e manifesta
illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606 lett.b) ed e) c.p.p., in
riferimento al rigetto della richiesta di rito abbreviato subordinato
all’audizione delle persone offese. Rigettando la richiesta di abbreviato
condizionato, sulla base di erronee e illogiche valutazioni, il Tribunale prima
e la Corte poi hanno illegittimamente contratto i poteri che il codice riserva
all’imputato. Questi, infatti, nella scelta del suddetto rito deve vedere
comunque riconosciuto il proprio diritto alla difesa e quindi principalmente
a far emergere la propria estraneità ai fatti; 2) mancanza e manifesta
illogicità di motivazione ai sensi dell’art.606, co.1 lett. e c.p.p. in relazione
4

alla mancata assoluzione dal reato contestato. Il precedente dell’Ensabella
per il reato di cui all’art.416 bis c.p. è risalente nel tempo, e la condanna risale
al 1995; pertanto la partecipazione dell’Ensabella al clan mafioso in favore
del quale avrebbe agito – fondata sull’unico elemento del precedente appare priva di adeguata motivazione. Dalle dichiarazioni rese in udienza

dal Timpanaro emerge una realtà storica del tutto diversa e tale da rendere
illogica e contraddittoria la motivazione in ordine al giudizio di
responsabilità per i reati contestati; la parte offesa ha infatti escluso un
collegamento tra l’Ensabella e gli estorsori, circostanza sottaciuta totalmente
sia dalla Corte che dal Tribunale. L’Ensabella poi non ha posto in essere
alcuna attività volta alla coazione psicologica della vittima di cui tra l’altro è
amico fraterno, e semmai ha agito unicamente nell’interesse di quest’ultimo;
3) inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art.7 L.203/91) e
mancanza e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606 co.1
lett.b) ed e) c.p.p. Nel determinare la pena inflitta agli imputati la Corte ha
ritenuto di dover apportare un aumento per la ritenuta sussistenza della
circostanza aggravante di cui all’art.7 1.203/91, omettendo di rendere noto,
con adeguata motivazione, quali siano gli elementi che hanno indotto a
ritenere che gli imputati abbiano utilizzato “metodi mafiosi” ovvero abbiano
agito per agevolare un’associazione di tipo mafioso. L’aggravante in
questione non può concorrere con quella di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3,
c.p., richiamata dall’art. 629, comma secondo, c.p.; 4) illogicità e
contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata applicazione delle
attenuanti generiche, ex art.62 bis c.p. e conseguentemente alla
rideterminazione della pena nel minimo edittale. I giudicanti hanno negato le
circostanze generiche senza indicare alcuna circostanza da cui si possa
dedurre un giudizio di equiparazione ovvero di prevalenza con 1
aggravanti.

5

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato Gurrieri Giuseppe,
deducendo: 1) erronea applicazione della legge penale (art.629 cpv c.p.) in
relazione al capo B) estorsione Floresta e vizio di motivazione risultante dal
testo e da altri atti del processo indicati nel motivo di gravame ai sensi
dell’art.606 lett.b ed e c.p.p. La Corte d’Appello ha ritenuto di ravvisare gli

elementi costitutivi della fattispecie contestata su due distinti elementi: le
testimonianze rese da Floresta Raffaele e Floresta Cristofaro e l’esito delle
intercettazioni telefoniche. Ma né Gurrieri Giuseppe, né alcun altro dei
coimputati nel medesimo reato ha posto in essere condotte minacciose o
violente tali da costituire gli elementi del delitto di estorsione. E la Corte
etnea, utilizzando il medesimo ragionamento deduttivo predisposto dal
tribunale, invertendo i termini del sillogismo, “muove dalla datio della
somma di euro 1000,00 agli imputati per desumere automaticamente
l’esistenza del reato di estorsione”. Nessun vaglio poi delle dichiarazioni di
Floresta Cristof aro che non agisce solo nell’interesse dello zio, atteso il
contenuto delle sue stesse dichiarazioni (egli stesso aveva deciso di chiedere
allo zio la somma dalle stesso consegnata nel dicembre del 2004 al fine di
ringraziare gli imputati) ; 2) erronea applicazione della legge penale (art.629
cpv 81 c.p.) in relazione ai capi B) C)e D e mancanza di motivazione ai sensi
dell’art.606 lett.b ed e c.p.p. I giudici di secondo grado hanno determinato la
pena da infliggere con la sentenza tenendo conto della continuazione interna
ai sensi dell’art.81 c.p. Tale calcolo si traduce in una violazione dell’art.629
c.p. ponendosi in contrasto con la natura del reato punito dalla norma in
oggetto. Se l’unica è l’azione estorsiva, la rateizzazione del “pizzo” dà luogo
non ad un reato continuato o permanente, bensì ad un reato “a
consumazione prolungata”; 3) inosservanza o erronea applicazione della
legge penale (art.7 L.203/91). Vizio di motivazione. Nel determinare la pena
inflitta agli imputati la Corte ha ritenuto di dover apportare un aumento per
la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art.7 1.203/91,
6

omettendo di rendere noto, con adeguata motivazione, quali siano gli
elementi che hanno indotto a ritenere che gli imputati abbiano utilizzato
//

metodi mafiosi” ovvero abbiano agito per agevolare un’associazione di tipo

mafioso. La Corte, partendo dalla premessa dell’appartenenza dei soggetti ad
un’associazione di tipo mafioso, ha automaticamente e apoditticamente

applicato l’aggravante ad effetto speciale. Il Gurrieri non si recò mai di sua
iniziativa dal Floresta Raffaele, né dal nipote, ma fu quest’ultimo a
contattarlo e a richiedere il suo intervento. La mafiosità apoditticamente
asserita dal Tribunale viene smentita dalla stessa parte offesa in
dibattimento; 3) erronea applicazione della legge penale (art.416 bis c.p.) in
relazione al capo A) e vizio di motivazione risultante dal testo e da altri atti
del processo indicati nel motivo di gravame ai sensi dell’art.606 lett.b ed e
c.p.p. La Corte d’Appello, confermando in ordine al delitto de quo il dictum
del Tribunale, ne ha sposato le argomentazioni incorrendo nella medesima
violazione del canone di giudizio sancito dall’art.192 co.2 c.p.p. Il giudizio di
colpevolezza si fonda esclusivamente su la comprovata esistenza del gruppo
mafioso denominato “Villaggio S.Agata” a sua volta affiliato alla famiglia
catanese dei Santapaola, nonchè sui precedenti dell’imputato, ma non sul
contenuto delle intercettazioni telefoniche in atti, dalle quali si evince
tutt’altro che un’ammissione di responsabilità. Illogica la valutazione della
circostanza riferita dall’ispettore Ottone secondo cui l’appartenenza del
Gurrieri al gruppo mafioso del Villagio di S.Agata si desumerebbe dal
contenuto della missiva rinvenuta e sequestrata a Privitera Alfio (lettera nella
quale si invitavano gli appartenenti al gruppo di Monte Po ad uccidere
esponenti del gruppo avverso del “Villaggio S.Agata”, uno dei quali era
appunto il “Puffo” ovvero Gurrieri Salvatore), trattandosi peraltro di scritto
anonimo; 4) inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art.63
co.4 c.p.). Vizio di motivazione. La norma di cui all’art.63 co.4 c.p. è ispirata
al favor rei e l’impiego del predicato “può” sottintende l’uso di una
7

discrezionalità che mai può tradursi in scelta arbitraria e necessita di
motivazione congrua. Sul punto ( e quindi sulla determinazione di aumento
di pena per l’aggravante di cui all’art.7 L.203/91 e per la recidiva ex art.99
c.p.) la Corte ha omesso di motivare; 5) inosservanza o erronea applicazione
della legge penale (art.629 cpv c.p. in relazione all’art.628 co.3 nn.1 e 3 c.p.).

Una volta accertata la sussistenza delle aggravanti in questione, i giudici
avrebbero dovuto limitarsi ad applicare la pena stabilita nell’art.629 cpv c.p.
per il delitto di estorsione aggravata senza apportare quell’ulteriore aumento
in relazione all’art.628, co.3 c.p. che, in quanto previsto in sentenza determina
un’erronea applicazione della legge penale.
Chiedono pertanto tutti l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

1.

Il primo motivo del ricorso presentato in favore degli imputati

Basile Salvatore, Gurrieri Salvatore, Miano Salvatore e Mirabile Angelo è
sostanzialmente identico al primo motivo del ricorso di Ensabella Antonino,
e pertanto gli stessi possono essere esaminati congiuntamente.
1.1 Entrambi i motivi sono infondati. Effettivamente, in tema di
giudizio abbreviato subordinato ad integrazione probatoria, la valutazione
della fondatezza del rigetto della richiesta da parte del giudice deve essere
effettuata con giudizio “ex ante”, con riferimento alle condizioni probatorie
esistenti al momento della decisione sul rito, non dovendosi tenere conto
degli accertamenti e degli elementi emersi successivamente a tale decisione
(v. Cass.Sez.II, Sent. n. 51817/2013 Rv. 258116). La Corte territoriale, però,
contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non ha effettuato alcun
giudizio “ex post”, bensì – con motivazione ampia ed esente da evidenti vizi
logici – ha ritenuto sostanzialmente fondato il rigetto di rito abbreviato
condizionato da parte del Gup prima e del Giudice di primo grado poi, in
8

quanto la richiesta di abbreviato condizionato, avanzata all’udienza del
6.2.2009 dagli imputati Basile, Miano, Gurrieri Salvatore ed Ensabella, era del
tutto generica e concernente l’esame delle parti offese già sentite nella fase
delle indagini preliminari.
1.2 Rileva il Collegio che è certamente ammissibile la richiesta di

giudizio abbreviato condizionata all’acquisizione della testimonianza di
persone, che già hanno reso sommarie informazioni nel corso delle indagini
preliminari, purchè, però, l’espletamento della prova sia effettivamente utile
a verificare i profili di contraddizione e gli elementi carenti della prima
deposizione e la richiesta medesima precisi la rilevanza di tali criticità ai fini
della vabtazione dei temi di prova riguardanti l’affermazione o l’esclusione
della responsabilità, la qualificazione del titolo di reato e la sussistenza delle
circostanze ( cfr. Cass.Sez.I, sent.n. 31881/2011, Rv. 250898).
1.3 li rito abbreviato condizionato presuppone, infatti, la necessità di
un’integrazione probatoria, non essendo ammissibile che attraverso la
relativa richiesta si persegua in sostanza lo scopo di attivare il meccanismo
del contraddittorio nella formazione della prova, in contrasto con la natura
del rito speciale, normalmente indirizzato a una decisione allo stato degli atti.
E la valutazione della “necessità” dell’integrazione probatoria nel rito
abbreviato (sia d’ufficio che su richiesta dell’imputato) non è condizionata
alla sua complessità o alla lunghezza dei tempi dell’accertamento probatorio
e non si identifica con l’assoluta impossibilità di decidere o con l’incertezza
della prova, ma presuppone, da un lato, l’incompletezza di un’informazione
probatoria in atti, dall’altro, una prognosi di positivo completamento del
materiale a disposizione per il tramite dell’attività integrativa (da ultimo, v.
Cass. Sez.V, Sent. n. 600/2013 Rv. 258676).
Ne consegue che, per l’identificazione del carattere di necessità della
integrazione probatoria richiesta, debba farsi riferimento ad un titolo
specifico della prova, più stringente di quello previsto dai tradizionali
9

requisiti di pertinenza,rilevanza e non superfluità di cui all’art. 190 c.p.p.,
comma 1, a norma del quale il giudice può escludere solo le prove vietate
dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue e irrilevanti. Il valore
probante dell’elemento da acquisire, cui fa riferimento l’art. 438 c.p.p.,
comma 5, va individuato piuttosto nell’oggettiva e sicura utilità o idoneità

del probabile risultato probatorio ad assicurare il completo accertamento dei
fatti rilevanti nel giudizio, nell’ambito dell’intero perimetro disegnato per
l’oggetto della prova dalla disposizione generale di cui all’art. 187 c.p.p..
1.4 Tanto premesso, ne discende la non censurabilità del rigetto
dell’eccezione preliminare da parte della Corte; la stessa genericità della
richiesta – così come rilevato dalla Corte territoriale – non consentiva, infatti,

“ex ante” di cogliere l’indispensabilità dell’accertamento probatorio sollecitato
dagli imputati con l’audizione dei testi, cui avevano subordinato la richiesta
di rito abbreviato.
2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso presentato in favore
di Basile, Gurrieri Salvatore e Mirabile (capo B, estorsione ai danni di
Floresta), di Basile (capo C, estorsione ai danni di Lombardo), di

Miano

(capo D, estorsione ai danni di Timpanaro), ed primo motivo del ricorso in
favore di Gurrieri Giuseppe (capo B, estorsione ai danni di Floresta) sono
esaminabili congiuntamente sia per la stretta connessione di quelli
riguardanti il reato commesso ai danni di Floresta, che per il fatto di essere
tutti fondati su analoghe censure, attinenti per lo più alla ricostruzione dei
fatti di cui ai vari episodi estorsivi.
2.2 Le doglianze in questione sono prive di consistenza, e formulate in
termini di una inammissibile richiesta di rivalutazione di fatti.
I ricorrenti, infatti, pur avendo formalmente denunciato la violazione
delle regole in materia di valutazione della prova, l’erronea applicazione di
norme penali (art.629 c.p.) e il vizio di motivazione in relazione
all’attendibilità delle dichiarazione delle parti offese, nonché il
10

”travisamento della prova” in relazione a diverse risultanze processuali,
hanno, tuttavia, nella sostanza, svolto ragioni che costituiscono una critica
del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello con la
finalità di ottenere una nuova valutazione delle prove stesse; e ciò non è
consentito in questa sede. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione

quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito,
senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione da parte
del ricorrente di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenuta
più adeguata (Cass., Sez. un., 2 luglio 1997, Dessimone).
2.3 La nuova formulazione dell’art.606 lett. e) c.p.p., in ragione delle
modifiche apportate dall’art.8 della 1.46/2006, consente – per la deduzione
dei vizi di motivazione – il riferimento agli “altri atti del processo
specificamente indicati nei motivi di gravame”, e riguarda anche gli atti a
contenuto probatorio (c.d. “travisamento della prova” consistente
nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della
valutazione di una prova) nei casi in cui il dato probatorio, travisato o
omesso, abbia il carattere di decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica (Cass.Sez.II, 13994/2006; Sez.II,
45256/2007 Rv.238515).
Resta fermo che è a carico del ricorrente l’onere di specifica indicazione
di tali atti e di illustrazione della necessità del loro esame ai fini della
decisione, ovvero, per il caso in cui l’esame sia stato compiuto, della
manifesta illogicità o contraddittorietà del risultato raggiunto.
2.4 Così definite le coordinate del controllo sulla motivazione, rileva il
Collegio che alla Corte di Cassazione non è, comunque, consentito di
procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella
prospettiva dei ricorrenti, ad una ricostruzione dei medesimi in termini
diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito. Per le stesse ragioni, non
11

sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli “atti del processo”,
possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto
delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva
al giudice del merito.
In altri termini, al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede

di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati
dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di
una migliore capacità esplicativa.
2.5 Nel caso di specie, va poi ricordato che ci si trova dinanzi ad una
“doppia conforme” e cioè ad una doppia pronuncia di eguale segno, e
pertanto il vizio di “travisamento della prova”, di cui alla lettera e) come
modificato dalla 1.n.46/2006, può essere rilevato in sede di legittimità solo
nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione, non
avanzata dai ricorrenti) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è
stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella
motivazione del provvedimento di secondo grado, “non potendo, nel caso di
c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede
di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla
critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio
non esaminati dal primo giudice” ( v. Cass.Sez.IV, sent. n. 19710/2009 Rv.
243636; sent.n. 5223/07, Rv. 236130).
2.6 La Corte, con motivazione congrua ed esente da evidenti vizi logici
ha ampiamente illustrato le ragioni del rigetto dei motivi d’appello rispetto a
tutti gli episodi estorsivi, rilevando che: anche gli intermediari rispondono
dell’estorsione allorchè risulti la coscienza e volontà di contribuire con il
proprio comportamento al raggiungimento dello scopo perseguito da colui
che esercita la pretesa illecita; nel caso Floresta, alle dichiarazioni dell
12

vittime fungevano da riscontro le conversazioni intercettate sulle utenze
telefoniche in uso ai quattro imputati (v.pagg.11 e 12 della sentenza
impugnata e 10 della sentenza di primo grado); nell’episodio Lombardo, a
riscontro della deposizione del teste vi erano alcune conversazioni intercorse
con cadenza mensile tra Lombardo Vincenzo, Lombardo Giuseppe e il Basile

nel corso delle quali è chiaro il riferimento ad appuntamenti per la
corresponsione della somma di denaro pattuita (v.pag.15 della sentenza
impugnata); in quello ai danni di Timpanaro, le dichiarazioni della parte
offesa trovano adeguato riscontro oggettivo nella vicinanza dei soggetti
coinvolti al gruppo mafioso del Villaggio di S.Agata, aliunde acquisita
(v.pag.22 e segg.della sentenza di primo grado). Ensabella è poi intervenuto
nell’estorsione in due momenti e in entrambe le occasioni il suo intervento è
stato proficuo, con ciò manifestando il suo potere all’interno del clan
mafioso, tanto da consentire l’intervento prima del Miano poi del
Cannizzaro, capo indiscusso della cosca.
3. Il quinto motivo del ricorso in favore di Basile Salvatore e Gurrieri
Salvatore è del tutto analogo al quarto motivo del ricorso in favore di
Gurrieri Giuseppe; anche questi possono essere esaminati congiuntamente.
Entrambe le doglianze sono prive di consistenza, e formulate in termini di
una inammissibile richiesta di rivalutazione di fatti; circa il dedotto vizio del
“travisamento della prova”, valgono le stesse considerazioni di cui al punto
2. Anche in relazione al capo a) dell’imputazione (per il reato di associazione
mafiosa contestato a Basile, Gurrieri Salvatore e Gurrieri Giuseppe, la Corte
ha adeguatamente e logicamente motivato sull’esistenza sia del clan
Santapaola che del gruppo criminale del Villaggio Sant’Agata, quale emerge
dalle sentenze irrevocabili di condanna in relazione alle estorsioni al bar
St.Moritz (sentenza del 4.7.2006) e all’ipermercato Eurospin (sentenza del
12.1.2009) nei confronti di Basile Salvatore (la prima), e di Basile Salvatore,
Ensabella Antonino, Gurrieri Giuseppe, Gurrieri Salvatore e altri
13

seconda), nonché sull’appartenenza degli imputati al gruppo malavitoso del
Villaggio Sant’Agata (sentenze di condanna, indagini in relazione al tentato
omicidio di Mirabile Alfio, missiva sequestrata a Privitera Pietro,
conversazione tra i due fratelli Mirabile all’interno dell’Ospedale,
conversazioni ambientali registrate sulle auto di Gurrieri Giuseppe e Basile

Salvatore (v.pagg.18-20 della sentenza impugnata e 26-32 della sentenza di
primo grado).
4. Il sesto motivo del ricorso in favore di Basile, Gurrieri Salvatore e
Mirabile e Miano è pressocchè identico al secondo motivo del ricorso in
favore di Gurrieri Giuseppe. In esse i ricorrenti lamentano l’erronea
applicazione della continuazione interna da parte della Corte d’Appello, in
quanto la rateizzazione del c.d. “pizzo” da luogo a un reato a consumazione
prolungata. Entrambi i motivi sono infondati e vanno respinti.
4.1 Infatti, se è vero che la rateizzazione del pizzo dà luogo ad un reato
a consumazione prolungata o progressiva in cui la condotta originaria
provoca un evento che continua a prodursi nel tempo con la riscossione degli
illeciti profitti, man mano maturati (v. Cass.Sez.II, Sent. n. 11922/2012 Rv.
254799; Sez.V, Sent. n. 4919/2010 Rv. 249249), è altrettanto vero che nel caso
di specie la Corte ha correttamente calcolato l’aumento di mesi due ed euro
200,00 di multa per la continuazione interna sulla pena stabilita per il reato di
cui al capo B) contestato a Basile, Gurrieri Giuseppe, Gurrieri Salvatore e
Mirabile, dal momento che trattasi di “reato consumato con condotte poste
in essere in tempi diversi” (v.pag. 14). Dalle risultanze processuali è infatti
emerso che i Floresta ebbero a versare agli imputati nel dicembre 2004 la
somma di euro 500, e verso Pasqua 2005 la somma di euro 400 a seguito di
ulteriori e autonome richieste, e non della rateizzazione dell’unica richiesta
estorsiva (v.pagg. 7-9 della sentenza di primo grado). Lo stesso dicasi in
riferimento all’estorsione nei confronti di Lombardo, risultando provata la

14

reiterazione dei pagamenti effettuati nel tempo dalla parte offesa a seguito di
plurime e non di un’unica condotta estorsiva.
5. Il settimo motivo del ricorso in favore di Basile, Gurrieri Salvatore,
Miano e Mirabile, il terzo del ricorso in favore di Gurrieri Giuseppe e il terzo
del ricorso di Ensabela Antonino possono essere trattati unitariamente, in

quanto tutti a afferenti all’applicazione dell’aggravante di cui all’art.7
1.203/91. Anche questi motivi sono privi di fondamento, e vanno rigettati.
5.1 La Corte, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, ha
congruamente e logicamente motivato in relazione alla sussistenza
dell’aggravante di cui all’art.7 L.203/91, rilevando che gli imputati facevano
parte di un’associazione mafiosa e, in quanto tali, usando un comportamento
oggettivamente idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica
sulle vittime, erano intervenuti con la cosciente ed univoca volontà di
agevolare l’attività del gruppo mafioso di appartenenza nella qualità di
correi degli ignoti estortori, in grado, inoltre di paralizzare le richieste
estorsive di costoro (v.pagg.13-14 in riferimento all’estorsione Floresta); che il
Basile era certamente inserito nel gruppo mafioso del villaggio Sant’Agata e
che le somme vennero in tal caso richieste per aiutare le famiglie dei carcerati
(v.pag.15 in riferimento all’estorsione Lombardo); che le modalità della
richiesta estorsiva (vi facciamo saltare in aria) sono chiaramente con metodo
mafioso e coscientemente finalizzate ad agevolare il gruppo di appartenenza
(v.pag.17 in riferimento all’estorsione Timpanaro). Le Sezioni Unite di
questa Corte (v. S. U., Sent. n. 10 del 28/03/2001 Rv. 218378), chiamate ad
intervenire per comporre un contrasto giurisprudenziale, hanno da tempo
stabilito che, in tema di rapina ed estorsione, la circostanza aggravante di cui
all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n.
203 (impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati o
finalità di agevolare, con il delitto posto in essere, l’attività dell’associazione
per delinquere di stampo mafioso) può concorrere con quella di cui all’art.
15

628, comma 3, n. 3 e 629, comma 2, cod. pen. (violenza o minaccia poste in
essere dall’appartenente a un’associazione di stampo mafioso).
6. Anche l’ottavo e il nono motivo del ricorso in favore di Basile,
Gurrieri Salvatore, Miano e Mirabile, il quinto e il sesto del ricorso di
Gurrieri Giuseppe sono infondati.

delitto di rapina sia in relazione al delitto di estorsione (v. Cass., sez. V, Sent.
n. 4621/2000 Rv. 217770), essendo sufficiente il concorso anche d’una sola
aggravante per l’ aumento di pena, che tale aumento subisce l’ulteriore
incremento previsto dall’art. 63 comma 4 c.p., quando concorrano più d’una
delle aggravanti previste dall’art. 628.
6.2 In ordine al trattamento sanzionatorio, rilevasi, poi, che solo con i
motivi aggiunti venne dedotto, in appello, in maniera peraltro generica,
l’erronea applicazione degli art.133 c.p., 81 c.p., 63 co.4 c.p. e 99 c.p., sicchè
nessuno specifico obbligo di motivazione vi era sul punto da parte della
Corte.
La Corte territoriale, comunque, premesso che non vi erano i
presupposti per concedere agli imputati le circostanze attenuanti, in
considerazione del loro comportamento, né per escludere la recidiva, “attesa
la negativa personalità degli imputati dediti a reati che implicano violenza
alle persone e pertanto espressione di una qualificata pericolosità sociale”,
avendo ritenuto di ridurre le pene, “in considerazione dell’entità delle
somme, e delle modalità delle condotte non improntate a particolare
violenza”, ha sinteticamente ma sufficientemente motivato in relazione alla
dosimetria della pena, e agli aumenti (invero limitati) per le aggravanti,
tenuto conto della personalità degli imputati e del tipo di intervento di
ciascuno nell’attività estorsiva.
7. Il quarto motivo del ricorso di Ensabella è manifestamente infondato,
e privo della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art 591

6.1 E’ giurisprudenza indiscussa di questa Corte, sia in relazione al

lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni svolte dal giudice d’appello, che non
risultano viziate da illogicità manifeste. La concessione delle attenuanti
generiche risponde a una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o
negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in
misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della

attenuanti non vanno intese come oggetto di una benevola concessione da
parte del giudice, ne’ l’applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di
elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come riconoscimento
della esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di positivo
apprezzamento(Cass.Sez.I, Sent. n. 46954/2004 Rv. 230591). Nella specie la
Corte territoriale ha spiegato di non ritenere il meritevole delle invocate
attenuanti per la sua negativa personalità (ha commesso il fatto mentre era
sottoposto alla misura della sorveglianza speciale) e per il suo
comportamento processuale. Si tratta di considerazioni ampiamente
giustificative del diniego, che le censure del ricorrente non valgono
minimamente a scalfire.
In considerazione dell’infondatezza di alcuni motivi e
dell’inammissibilità di altri, ricorsi vanno rigettati,
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati
al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Tali

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