Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3358 del 20/12/2017

Penale Sent. Sez. 6 Num. 3358 Anno 2018
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: CORBO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
A.A.

avverso la sentenza del 12/09/2016 della Corte d’appello di Roma

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Simone
Perelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito, per la parte civile costituita Antonio D’Agostino, l’avvocato Alessandro
Boschi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese del grado;
udito, per la ricorrente, l’avvocato Antonio Temporali, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 12 settembre 2016, la Corte di appello di
Roma, in riforma della sentenza dichiarativa di responsabilità penale emessa dal

Data Udienza: 20/12/2017

Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Roma, ha dichiarato non doversi
procedere nei confronti di A.A. in ordine al reato di falsa
testimonianza per essere lo stesso estinto per prescrizione, mentre ha
confermato le statuizioni civili a carico della medesima imputata in favore della
parte civile D.D..
Precisamente, secondo la sentenza impugnata, A.A., in data
23 gennaio 2008, deponendo come testimone in un processo civile, avrebbe reso
false dichiarazioni asserendo di essere stata presente all’aggressione subita da

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di
appello indicata in epigrafe l’avvocato Antonio Temporali, quale difensore di
fiducia di A.A..
Ha presentato memoria l’avvocato Alessandro Boschi, difensore della parte
civile D.D..

3. Il ricorso presentato nell’interesse di A.A. è articolato in
quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art.
606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo all’accertamento del
fatto.
Si deduce che la mancata presenza dell’imputata all’aggressione subita da
Francesco Paolo Lioce alle ore 22,00 del 7 ottobre 2001, è desunta dall’impegno
che la donna aveva a quell’ora come scrutatrice presso il seggio elettorale di via
Vetricio Spurinna in Roma, sebbene sia certo che A.A. si fosse
allontanata dal seggio alle ore 21,00 di quella sera per cenare in un ristorante
con Lioce, con D.D., e con la compagna di quest’ultimo, Muzska
Loranda. Si precisa, innanzitutto, che il verbale delle operazioni elettorali non è
stato mai acquisito, e che il presidente del seggio non è stato mai escusso. Si
osserva, poi, che nessun indizio a carico dell’imputata può essere fondato sul
dato della mancata verbalizzazione della presenza della A.A. da parte
degli agenti di polizia municipale, ai quali Lioce chiese soccorso dopo
l’aggressione, o da parte dei Carabinieri, i quali intervennero subito dopo,
sequestrando il coltello usato per l’aggressione a casa di D.D. e
raccogliendo le dichiarazioni confessorie del medesimo.
3.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, a norma dell’art.
606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avendo riguardo alla imputazione coatta
disposta dal Giudice per le indagini preliminari a seguito di opposizione alla /
richiesta di archiviazione formulata dall’odierna parte civile.
2

Francesco Paolo Lioce, mentre era invece in altro luogo.

Si deduce che l’imputazione coatta è stata ordinata in accoglimento
dell’opposizione del denunciante alla richiesta di archiviazione, sebbene, per
giurisprudenza costante, lo stesso non è persona offesa del reato di falsa
testimonianza e non è pertanto legittimato ad avvalersi di tale rimedio. Si
aggiunge che il provvedimento del G.i.p. non era impugnabile dall’imputata e che
la violazione, in quanto concernente l’iniziativa del pubblico ministero
nell’esercizio dell’azione penale, dà luogo ad una nullità assoluta ed insanabile a
norma dell’art. 179, comma 1, cod. proc. pen., con conseguente invalidità

3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli
artt. 530, comma 2, 533, comma 1, e 527, comma 3, cod. proc. pen., a norma
dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla sussistenza
del fatto, in applicazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Si deduce che la prova dell’assenza dell’imputata dal luogo dell’aggressione,
in applicazione del principio secondo cui la colpevolezza può essere affermata
solo quando è superato ogni ragionevole dubbio, non può essere fondata
sull’osservazione che la sua presenza nel posto da essa indicato «non sarebbe
stata compatibile con l’espletamento delle operazioni elettorali a meno di non
ritenere falso il verbale di chiusura delle stesse». Si tratta, infatti di una mera
congettura, tanto più che il verbale delle operazioni elettorali non è stato mai
acquisito, e che il presidente del seggio non è stato mai escusso.
3.4. Con il quarto motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento
all’art. 384, secondo comma, cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b),
cod. proc. pen., avendo riguardo alla esclusione della causa di non punibilità
prevista in caso di deposizione assunta senza aver previamente informato il
dichiarante della facoltà di astenersi.
Si deduce che erroneamente è stata ritenuta non applicabile nel processo
civile la disciplina di cui all’art. 199 cod. proc. pen. nella parte relativa all’obbligo
per il giudice di informare l’imputata della facoltà di astenersi, quale convivente
dell’attore, Francesco Paolo Lioce. Invero, l’art. 249 cod. proc. civ. estende al
processo civile le disposizioni relative alla facoltà d’astensione dei testimoni nel
processo penale di cui agli artt. 200, 201 e 202 cod. proc. pen.: il mancato
richiamo dell’art. 199 cod. proc. pen. o è una mera, macroscopica, dimenticanza,
o, altrimenti, dà luogo ad una illegittimità costituzionale per disparità di
trattamento.

4.

La memoria presentata nell’interesse della parte civile Antonio ,

D.D. replica analiticamente a tutti i motivi del ricorso.

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derivata di tutti gli atti successivi.

Con riferimento al primo motivo, si deduce che gli elementi a carico
dell’imputata sono molteplici. In particolare, si richiamano le dichiarazioni di
D.D. e della sua convivente Muzska Loranda: quest’ultima ha
riferito che la ricorrente, terminata la cena, si separò dai commensali per far
ritorno al seggio elettorale, mentre l’altro ha detto che l’imputata, dopo la fine
delle operazioni elettorali, essendo ritornata a casa e non avendovi trovato il
compagno, contattò Muzska Loranda per avere notizie. Si riportano poi
analiticamente le risultanze delle indagini della polizia municipale e dei

l’aggressione, dalle quali non risulta la presenza di alcuno a fianco di
quest’ultimo; si rappresenta, inoltre, che la circostanza è rilevante perché la
A.A., deponendo davanti al giudice civile, riferì: «ci siamo avvicinati alla
Polizia Municipale che stazionava poco distante per chiedere aiuto per chiamare
l’ambulanza».
Con riferimento al secondo motivo, si osserva, innanzitutto, che il processo
è stato definito nelle forme del rito abbreviato e che nessuna eccezione in ordine
alla nullità dell’ordinanza di imputazione coatta del G.i.p. è stata formulata nel
corso del giudizio di primo grado. Si aggiunge, inoltre, che il potere del Giudice
per le indagini preliminari di ordinare al pubblico ministero la formulazione
dell’imputazione prescinde da opposizioni della persona offesa.
Con riferimento al terzo motivo, si rileva che la pluralità delle fonti di prova
a carico dell’imputata esclude la violazione del principio secondo cui la
colpevolezza può essere affermata solo quando è superato ogni ragionevole
dubbio.
Con riferimento al quarto motivo, si rappresenta che l’inapplicabilità dell’art.
199 cod. proc. pen. nel processo civile è affermata dalla costante giurisprudenza
di legittimità, ed è giustificata dalla differente natura degli interessi che
assumono rilievo in quest’ultimo rispetto a quello penale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è complessivamente infondato per le ragioni di seguito
precisate.

2. Per ragioni di ordine logico, la prima questione da esaminare è quella
posta nel secondo motivo di ricorso, che attiene alla validità dell’esercizio
dell’azione penale e degli atti successivi.
2.1. Secondo la ricorrente, sarebbe affetto da nullità assoluta ed insanabile,
a norma dell’art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., il provvedimento con

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carabinieri intervenuti presso il Pronto Soccorso, dove si era recato Lioce dopo

cui il G.i.p. ha disposto la formulazione dell’imputazione, accogliendo
l’opposizione alla richiesta di archiviazione dell’odierna parte civile, sebbene la
stessa non fosse da ritenere persona offesa, trattandosi di reato di falsa
testimonianza, e, quindi, non fosse legittimata ad avvalersi di tale rimedio. Di
conseguenza, sarebbero affetti da nullità derivata tutti gli atti successivi, a
partire dalla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal Pubblico ministero su
ordine del G.i.p. e per finire alla sentenza impugnata.
2.2. E’ utile premettere che, secondo un consolidato orientamento della

giudice per le indagini preliminari, ordina la restituzione degli atti al P.M. affinché
questi provveda alla notifica della richiesta di archiviazione nei confronti della
persona offesa che ne abbia fatto ritualmente domanda e che non risulti
avvisata, anche nel caso in cui l’avviso sia stato sollecitato dal giudice in favore
di un soggetto privo dell’effettiva qualità di persona offesa (così, tra le altre, Sez.
6, n. 53185 del 29/11/2016, Sonnante, Rv. 269499, specificamente relativa a
vicenda in cui il G.i.p. aveva disposto la notifica dell’avviso al denunciante del
reato di falsa testimonianza, nonché Sez. 3, n. 3010 del 09/07/1996,
Cammarata, Rv. 206060). Il coerente sviluppo di questo orientamento induce a
concludere che non sono atti abnormi nemmeno lo svolgimento di una camera di
consiglio in ordine alla richiesta di archiviazione presentata dal Pubblico
ministero alla quale partecipi un soggetto in realtà privo della qualità di persona
offesa ovvero la decisione assunta, da parte del G.i.p., previa valutazione
dell’atto di opposizione proveniente da un soggetto che non può qualificarsi come
persona offesa.
In ogni caso, poi, e in disparte dai profili di abnormità, pur volendo ritenere
nullo o inefficace l’atto di opposizione proveniente da soggetto privo della
qualifica di persona offesa, non può essere ritenuto nullo il successivo
provvedimento del giudice che ordina al pubblico ministero di formulare
l’imputazione.
Invero, la disciplina fissata nell’art. 409 cod. proc. pen. prevede
espressamente che il giudice per le indagini preliminari, adito dal pubblico
ministero con richiesta di archiviazione, possa ordinare all’Autorità requirente di
formulare l’imputazione, anche in assenza di opposizione della persona offesa.
Non è applicabile, poi, l’art. 185, comma 1, cod. proc. pen., a norma del
quale «la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da
quello dichiarato nullo». Ed infatti, secondo l’orientamento della giurisprudenza,
condiviso dal Collegio, in forza della disposizione appena citata, per rapporto di
“dipendenza” deve intendersi solo un «rapporto di dipendenza effettiva ovvero
un nesso per cui l’atto dichiarato nullo costituisca la ineliminabile premessa
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giurisprudenza di legittimità, non è abnorme il provvedimento con il quale il

logica e giuridica di quello successivo» (così, in motivazione, Sez. 2, n. 18681 del
28/04/2010, Spinelli, Rv. 246993, nonché, per una compiuta elaborazione, Sez.
1, n. 1988 del 22/12/1997, dep. 1998, Nikolic, Rv. 209844). Come si è
precedentemente rilevato, l’ordine del G.i.p. di formulare l’imputazione,
rigettando la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, costituisce
esplicazione di un potere che prescinde dalla presenza di un atto di opposizione
della persona offesa; né, d’altro canto, la presentazione di un’istanza di tale tipo
impone al giudice di ordinare la formulazione dell’imputazione. Di conseguenza,

rigettare o meno una richiesta di archiviazione, ed anche disporre di ufficio la
formulazione dell’imputazione, deve escludersi che la preventiva valutazione, da
parte dello stesso, di un’opposizione proveniente da soggetto non legittimato
possa costituire «la ineliminabile premessa logica e giuridica» dell’ordine, rivolto
al pubblico ministero, di formulare l’imputazione. Sulla base della considerazione
appena riferita, quindi, è ragionevole negare che l’ordine del G.i.p. al pubblico
ministero di formulare l’imputazione, pur se preceduto da un’opposizione alla
richiesta di archiviazione proveniente da un soggetto non legittimato, “dipenda”
da questo atto e sia, perciò, affetto dal vizio di invalidità derivata.
Può quindi affermarsi che non è affetto da nullità il provvedimento del
giudice che ordina al pubblico ministero di formulare l’imputazione, rigettando la
richiesta di archiviazione, anche quando la decisione faccia seguito ad
opposizione presentata contro tale richiesta da soggetto non legittimato perché
privo della qualità di persona offesa.
2.3. Posto il principio appena indicato, è conseguenziale ritenere che, a
maggior ragione, non può essere posta in discussione la validità dell’iniziativa del
Pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale determinata da un ordine del
giudice che segue al rigetto di richiesta di archiviazione contro la quale è stata
presentata opposizione da soggetto non legittimato.
E’ corretto concludere, quindi, che, nel presente processo, non si sia
verificata alcuna nullità assoluta ed insanabile concernente l’iniziativa del
pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale.

3. Il primo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente
perché riguardano entrambi il tema della ricostruzione del fatto.
Si tratta di motivi privi della specificità normativamente richiesta dall’art.
581, comma 1, lett. c) [ora d)], cod. proc. pen., perché non si confrontano
compiutamente con le ragioni esposte nella sentenza impugnata; le censure,
inoltre, non evidenziano vizi logici o giuridici della motivazione della Corte
d’appello.
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se il giudice per le indagini può autonomamente determinarsi nel decidere se

Invero, il ricorso insiste nel sostenere che i giudici di merito hanno ritenuto
l’impossibilità per l’imputata di essere sul luogo dove avvenne il ferimento di
Francesco Paolo Lioce, e quindi di avervi assistito, valorizzando: a) l’astratta
incompatibilità della presenza della donna nel punto e nel momento indicati nella
deposizione testimoniale davanti al giudice civile con il contestuale impegno della
stessa presso l’ufficio elettorale presso il quale svolgeva le funzioni di scrutatrice,
pur senza acquisire il verbale del seggio; b) il dato negativo costituito dalla
mancata menzione della ricorrente negli atti formati dagli agenti di polizia

La sentenza impugnata, però, richiamando la pronuncia di primo grado,
rappresenta che la mancata presenza di A.A. sul luogo del
ferimento di Lioce al momento del fatto risulta dimostrata non solo dalla
mancata menzione della donna negli atti di polizia giudiziaria compiuti subito
dopo l’aggressione e al Pronto Soccorso, ma anche dalle dichiarazioni di Antonio
D.D. e della sua convivente Muzska Loranda, alle quali però il ricorso non
compie alcun cenno; ciò, sebbene il giudice di secondo grado rilevi
espressamente che, secondo il racconto di Muzska Loranda, l’imputata, dopo
aver cenato con lei, D.D. e Lioce, si era allontanata per tornare al seggio
elettorale dove svolgeva le funzioni di scrutatrice. La Corte di appello, inoltre,
specifica puntualmente la ragione per cui ritiene rilevante il dato della mancata
menzione della presenza della ricorrente negli atti redatti dalle «due distinte
pattuglie» dei vigili e dei Carabinieri: «La A.A., d’altra parte, non ha
dichiarato al Giudice civile di essere andata a cercare aiuto o di essersi
allontanata nel momento in cui il Lioce veniva soccorso dal 118, ciò che del resto
sarebbe stato illogico […]». Il riferimento al ritorno dell’imputata al seggio
elettorale dopo la cena e prima del ferimento, infine, è compiuto in una
prospettiva meramente confermativa degli elementi istruttori precedentemente
indicati, quale fatto che si pone in logica coerenza con le risultanze di questi.

4. Il quarto motivo contesta la mancata applicazione della causa di non
punibilità di cui all’art. 384, secondo comma, cod. pen.
Secondo l’atto di impugnazione, la ricorrente, anche nel processo civile,
avrebbe dovuto essere avvertita della facoltà di astenersi dal rendere
testimonianza, in applicazione del principio fissato dall’art. 199 cod. proc. pen.
Tuttavia, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità,
condiviso dal Collegio, quello secondo cui non può essere applicata l’esimente di
cui all’art. 384, secondo comma, cod. pen. all’imputato del delitto di falsa
testimonianza per dichiarazioni rese nell’ambito di un giudizio civile, in quanto in
relazione a questo l’art. 249 cod. proc. civ. si riferisce solo alla facoltà di

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municipale e dai carabinieri subito dopo l’aggressione subita da Lioce.

astensione per il segreto professionale, per il segreto d’ufficio e per il segreto di
stato, e non richiama anche l’art. 199 cod. proc. pen., che attiene alla facoltà di
astenersi dal deporre dei prossimi congiunti dell’imputato (cfr., specificamente,
Sez. 6, n. 49542 del 11/11/2014, Flarà, Rv. 261222, nonché Sez. 6, n. 42977
del 29/09/2003, Regoli, Rv. 226938).
Inoltre, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
prospettata con riferimento al mancato richiamo all’art. 199 cod. proc. pen. da
parte dell’art. 249 cod. proc. civ., ovviamente ai fini dell’applicabilità della causa

osserva Sez. 6, n. 49542 del 2014, Flarà, cit.: «Non può non rilevarsi,
d’altronde, come la stessa Corte costituzionale (da ultimo, con l’ordinanza n. 113
del 10 aprile 2009, ed ancor prima con la sentenza n. 204 del 17-27 giugno
1997) abbia in più occasioni, e sotto più profili, dichiarato la manifesta
inammissibilità delle questioni di costituzionalità sollevate con riferimento all’art.
249 c.p.c., nella parte in cui tale disposizione non consente la facoltà di
astensione dall’obbligo di testimoniare dei prossimi congiunti delle parti del
processo civile, richiamando sia l’autonomia che contraddistingue i sistemi
processuali civili e penali, tra loro non comparabili ai fini della violazione del
principio di eguaglianza, sia le molteplici soluzioni – la cui scelta non è
evidentemente sindacabile per via giurisdizionale – attraverso le quali il
legislatore può pervenire al bilanciamento, anche in maniera diversa da quanto
avvenga nel processo penale, dei contrapposti interessi della solidarietà familiare
e dell’accertamento della verità nel processo civile.».

5. All’infondatezza delle censure, segue il rigetto del ricorso e la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle
spese sostenute nel grado dalla parte civile costituita D.D., che
liquida in euro trennilacinquecento, oltre spese generali nella misura del quindici
per cento, IVA e CPA.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte
civile costituita D.D., che liquida in euro tremilacinquecento, oltre
spese generali nella misura del quindici per cento, IVA e CPA.
Così deciso il 20 dicembre 2017

di non punibilità di cui all’art. 384, secondo comma, cod. pen. Invero, come

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