Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33572 del 28/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 33572 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
NAPOLITANO LUCA N. IL 22/02/1978
avverso la sentenza n. 2556/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del
27/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 28/05/2014

R. G. 45323 /2013

Fatto e diritto

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore dell’imputato,
deducendo erronea applicazione dell’art. 56 D.Lgs. 274/2000 e difetto e illogicità della
motivazione, poiché i giudici di appello si sarebbero limitati a far proprie le conclusioni
espresse dalla decisione di primo grado, non tenendo conto della pienezza delle dichiarazioni
testimoniali dell’agente di polizia Monterosso (il ricorrente sarebbe stato trovato in casa in
occasione di un successivo controllo immediatamente seguente il primo) e non procedendo a
una nuova analisi dei dati processuali. In ogni caso, si aggiunge, nel contegno del prevenuto
mancherebbe il dolo del reato, non avendo lo stesso inteso sottrarsi all’esecuzione della pena
o sottrarsi ai controlli della polizia giudiziaria.
Il ricorso è inammissibile per indeducibilità e infondatezza palese delle censure.

Con l’indicata decisione la Corte di Appello di Catania ha confermato la sentenza del
Tribunale di Modica, che ha dichiarato Luca Napolitano colpevole del reato di elusione del
regime esecutivo penale punito dall’art. 56 co. 1 D.Lgs. 274/2000 con riguardo alla sanzione
della permanenza domiciliare inflittagli con sentenza del Giudice di Pace di Modica. Condotta
illecita per la quale il prevenuto è stato condannato alla pena di due mesi di reclusione.

Giova premettere che la sanzione penale della permanenza domiciliare prevista
dall’art. 33 co. 1 D.Lgs. 274/2000 (recante disciplina del giudizio penale davanti al Giudice di
Pace) è una misura esecutiva inframurale equiparabile ad ogni effetto (al pari della
detenzione domiciliare ex art. 47 ter O.G. e della misura cautelare degli arresti domiciliari)
alla custodia in carcere, che -in ragione di un meno pressante contesto di ragioni di natura
socialpreventiva connesso alla tipologia dei reati attribuiti alla cognizione del giudice di paceil condannato è ammesso a sopportare in luogo diverso dal carcere, cioè presso la propria
abitazione.
Tutti i limiti, di natura spaziale, motoria e relazionale, imposti con la custodia in
carcere allo status libertatis del soggetto sono per intero riprodotti nella permanenza
domestica. La violazione di tali limiti e dei corrispondenti obblighi comportamentali realizza il
reato di cui all’art. 56 co. 1 D.Lgs. 274/2000, da omologarsi in tutto alla condotta di evasione
ex art. 385 c.p., rispetto alla quale è soltanto punito con pena più lieve. La fattispecie è
integrata da un reato proprio a forma libera. Il bene protetto, cioè l’esigenza della
amministrazione della giustizia di assicurare il rispetto delle decisioni giudiziarie limitative
della libertà, realizzata con lo strumento della permanenza domiciliare, può essere offeso con
qualsiasi modalità esecutiva e quali che siano i motivi che inducono il soggetto ad eludere la
vigilanza sul suo stato di stabile “domiciliarità” e a sottrarsi allo stesso. La struttura normativa
della fattispecie è realizzata, infatti, da qualsiasi forma di sottrazione o elusione rispetto alla
misura domestica ed al suo stretto ambito spaziale di rigorosa interpretazione, senza
necessità alcuna di ulteriori evenienze fattuali.
Il reato è perfezionato dal semplice volontario e consapevole allontanamento dalla
sede domiciliare, pur se le motivazioni dell’agire non si traducano nella decisione di sottrarsi
in via definitiva alla misura esecutiva domestica. Il reato è connotato da dolo generico,
essendo sufficiente che la condotta di uscita (id est evasione) del condannato dallo stretto
ambito del suo domicilio sia sorretta dalla consapevolezza di fruire in modo indebito di una
libertà di movimento spazio-temporale preclusa dalla corretta esecuzione della pena
domiciliare. Ciò che vale a sgombrare il campo dalle censure in punto di dolo sollevate con il
ricorso. Con l’ovvia conseguenza che il fatto di allontanarsi dal domicilio non può essere
assimilato ad una mera violazione delle prescrizioni attinenti agli obblighi imposti con la
sanzione domestica con effetti escludenti il reato di evasione speciale ex art. 56 D.Lgs. cit.
Per il semplice motivo che la permanenza del soggetto negli stretti confini del suo domicilio
rappresenta per definizione l’obbligo essenziale del sottoposto alla pena e non una semplice
imposizione accessoria a tale obbligo.
Tanto chiarito, l’attuale ricorso propone una acritica replica dei motivi di appello
oggetto di adeguata analisi da parte della Corte territoriale all’esito di una rinnovata disamina
delle evenienze processuali. Evenienze che segnalano come, diversamente da quanto assume /

i

2

La genetica inammissibilità del ricorso per cassazione, impedendo l’instaurarsi di un
valido rapporto impugnatorio, preclude la possibilità di rilevare di ufficio l’estinzione del reato
per prescrizione sopravvenuta alla sentenza di secondo grado (S.U., 22.11.2000 n. 32, De
Luca, rv. 217266; S.U., 22.3.2005 n. 23428, Bracale, rv. 231164; Sez. 3, 8.10.2009 n.
42839, Imperato, rv. 244999).
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente alla rifusione
delle spese processuali e al versamento dell’equa somma di euro 1.000 (mille) in favore della
cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 28 maggio 2014

il ricorrente, il prevenuto sia stato reperito nella sua abitazione soltanto il giorno seguente i
due ravvicinati controlli compiuti il giorno prima ed asseveranti l’oggettiva assenza dalla
abitazione del prevenuto e di suoi familiari (cfr. sentenza C.A.: “…la difesa ha voluto giocare
sull’equivoco derivante dalle dichiarazioni del teste Monterosso, che eseguiva un primo
controllo il 25.2.2006, data in cui nessuno veniva rinvenuto all’interno dell’abitazione, ed un
secondo il giorno successivo, in cui l’imputato veniva rinvenuto nell’abitazione”). Come
precisa la sentenza di primo grado, il 25.2.2006 la p.g. ha eseguito “reiterati controlli”
nell’arco di mezz’ora in due differenti ingressi dell’abitazione del condannato, in tutti e due i
casi non trovandolo nell’abitazione.

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