Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3356 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 3356 Anno 2016
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Casamonica Massimiliano, nato a Roma il 30/11/1977
avverso l’ordinanza del 13/04/2015 della Corte di appello di Perugia
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Mogini;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Massimo Galli, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte di appello di Perugia dichiarava
inammissibile l’istanza di revisione presentata da Massimiliano Casamonica per la
revoca parziale della sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Roma il 9
giugno 2011, con la quale era stato dichiarato responsabile dei reati di cui all’art.
74, comma secondo e 73 T.U. n. 309 del 1990 e condannato alla pena di cinque
anni e quattro mesi di reclusione.
Massimiliano Casannonica, in particolare, era stato ritenuto aver fatto parte
di un’associazione operante fino al gennaio 2009, dedita al narcotraffico,
composta da Giuseppe, Domenico, Enrico e Guerrino (quest’ultimo giudicato
separatamente) Casamonica, e che utilizzava come base logistica le abitazioni
dei fratelli Casannonica in Roma, vicolo di Porta Furba 59.

Data Udienza: 12/11/2015

La richiesta di revisione, proposta a norma dell’art. 630, comma 1, lett. a)
e c) cod. proc. pen., si fondava su due successive sentenze emesse
rispettivamente dal Tribunale di Roma il 19 febbraio 2012 nei confronti di Enrico
Casamonica e dalla Corte di appello di Roma, sezione per i minorenni, il 22
febbraio 2012 nei confronti del minore Guerrino Casamonica.
Secondo la Corte adita, l’istanza doveva ritenersi prima facie inammissibile,
in quanto, in ordine alla prima delle suddette sentenze, non ne emergeva dagli

di giudicati, versandosi piuttosto nell’ipotesi di diversa valutazione giuridica degli
stessi fatti.
La Corte di appello riteneva in ogni caso – sulla base dei dati prospettati e
senza qualsivoglia tipo di approfondimento – manifestamente infondata la
prospettazione difensiva in ordine alla prima delle citate sentenze, non
emergendo da quest’ultima fatti incompatibili con quelli su cui era fondata la
sentenza di condanna, oggetto della richiesta di revisione.
Con tale sentenza del Tribunale di Roma, si legge nell’ordinanza
impugnata, Enrico Casamonica era stato condannato per spaccio di cocaina
risalente al 6 settembre 2006 ed assolto per la detenzione di grammi 900 di
cocaina, rinvenuti un mese più tardi in un’abitazione nel complesso edilizio
situato nel citato vicolo di Porta Furba.
Il Tribunale aveva nella specie ritenuto che non vi fossero elementi
sufficienti per dimostrare la sicura riferibilità all’imputato della cocaina rinvenuta
nella abitazione, posto che non erano provato che detto appartamento fosse nel
suo uso, benché vi fosse stata reperita una sua foto e fosse stato visto
allontanarsi repentinamente alla vista degli operanti, e nonostante l’identità
quali-quantitativa della cocaina ceduta da questi e quella sequestrata.
Il medesimo Giudice aveva rilevato che erano emersi elementi probatori a
carico degli altri esponenti della famiglia Casamonica, trovati in loco (Concetta
Casamonica aveva cercato di strappare la chiave dell’appartamento nel quale
erano stato rinvenuto lo stupefacente e nel sottostante appartamento erano
presenti Domenico e Pasquale Casamonica, dove erano state reperite tracce di
attività illecita).
Secondo la Corte perugina, la sentenza del Tribunale non aveva la forza di
disarticolare il ragionamento probatorio della sentenza di condanna quanto
all’esistenza di una base logistica in Roma, via di Porta Furba, posto che essa
veniva a confermare un modus operandi identico a quello accertato dalla Corte di
appello e soltanto ad escludere la riferibilità della cocaina sequestrata ad Enrico
Casamonica, mentre il convincimento della Corte territoriale era stato basato su

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atti l’irrevocabilità e, per la seconda sentenza prodotta, non ricorreva il contrasto

prove raccolte nel 2008 e sul rinvenimento il 27 giugno 2008 di grammi 820 di
cocaina.

2. Avverso la suddetta ordinanza, ricorre per cassazione con ricorso ex art.
634 c.p.p. l’avv. Claudio Sforza, quale difensore di Massimiliano Casamonica,
deducendo quale motivo di impugnazione la violazione di cui all’art. 606, comma
1, lett. e) cod. proc. pen. e la violazione del principio del contraddittorio.

avrebbe travalicato i limiti di un mero esame preliminare sull”ammissibilità
dell’istanza, finendo per addentrarsi negli intrecci processuali della vicenda
riguardante i Casannonica, confutando in modo dettagliato tutte le tematiche
sottoposte dalla difesa.
Pertanto, la Corte territoriale non si era limitata ad una astratta valutazione
prima facie del novum addotto a sostegno della richiesta di revisione, ma aveva

proceduto ad un apprezzamento di merito sulla rilevanza probatoria delle
risultanze delle due sentenze evocate (pronunciate dal Tribunale di Roma il 19
febbraio 2012 nei confronti di Enrico Casamonica e dalla Corte di appello di
Roma, sezione per i minorenni, il 22 febbraio 2012 nei confronti del minore
Guerrino Casamonica) che doveva essere riservato alla fase rescissoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2.

Quanto alla sentenza del Tribunale di Roma, il Collegio osserva

preliminarmente che, pur essendo ragionevole ritenere che la sentenza sia
divenuta definitiva, ciò non è sufficiente per rendere ammissibile il ricorso.
È invero pacifico in tema di revisione, in punto di irrevocabilità della
sentenza inconciliabile, che i requisiti di forma devono essere esaminati – per
evidenti ragioni di economia processuale – già nella fase delibatoria “preliminare”
(Sez. 5, n. 7263 del 29/12/1998 – dep. 01/04/1999, Caruso, Rv. 212925).
L’assenza di tale necessario adempimento probatorio rende pertanto non
ammissibile il chiesto giudizio di revisione.
Peraltro, anche a voler tacere di tale assorbente rilievo, la stessa istanza
appare, come osservato dai Giudici a quibus, non presentare neppure quei
necessari requisiti di sostanza richiesti ai fini dell’ammissibilità dall’art. 634 cod.
proc. pen.

Secondo il ricorrente, la Corte di appello, adottando la procedura de plano,

a

Come è stato più volte affermato (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001 – dep.
09/01/2002, Pisano, Rv. 220441; Sez. 1, n. 40815 del 14/10/2010, Ferorelli e
altro, Rv. 248463), la delibazione preliminare circa l’ammissibilità della domanda
di revisione deve, per quel che concerne la valutazione della sussistenza di
ciascuna delle ipotesi di cui all’art. 630 cod. proc. pen., arrestarsi all’obiettivo
riscontro della presenza, nell’allegazione difensiva, di specifiche situazioni
riconducibili a quelle ritenute dalla legge sintomatiche della probabilità di errore
giudiziario e della ingiustizia della sentenza irrevocabile, di cui si chiede la
revisione.
Ai fini dell’inammissibilità l’attributo “manifesta” che contrassegna
l’infondatezza della domanda di revisione va dunque ricollegato alla
assolutamente evidente “incapacità delle ragioni poste a base della richiesta a
consentire una verifica circa l’esito del giudizio”: con la precisazione che tale
capacità deve ritenersi requisito “tutto intrinseco alla domanda”, o meglio alla
forza persuasiva della richiesta da sola considerata, essendo riservata invece alla
fase del merito ogni valutazione sulla effettiva idoneità di tale allegazioni a
travolgere, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato.
Orbene, deve constatarsi che la ordinanza oggetto di impugnazione ha fatto
buon governo dei suddetti principi, non avendo riscontrato prima facie quella
invocata inconciliabilità di cui all’art. 630, comma primo, lett. a), cod. proc. pen.
Va premesso invero che il concetto di inconciliabilità accolto da detta norma
non deve essere inteso in termini di mero contrasto di principio tra due sentenze,
bensì con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui
queste ultime si fondano (tra tante, Sez. 6, n. 20029 del 27/02/2014, Corrado,
Rv. 259449).
La Corte territoriale ha nel caso in esame escluso, con motivazione priva di
vizi logici, che nella stessa richiesta del Casamonica fossero riscontrabili i
presupposti per la revisione della condanna, ovvero l’inconciliabilità tra i
giudicati, nel senso ora precisato.
La richiesta mirava infatti a dimostrare che la nuova sentenza, per i fatti in
essa accertati, avrebbe privato la condanna per associazione di cui all’art. 74
T.U. 309 del 1990 degli elementi dimostrativi del vincolo associativo, ovvero
dell’esistenza in vicolo di Porta Furba della base logistica del sodalizio e di uno
degli episodi sintomatici dell’attività associativa.
Come ha ineccepibilmente osservato la Corte perugina, la nuova sentenza
non ha alcuna rilevanza in ordine al primo assunto, in quanto essa ha solo
affermato che non era riferibile ad Enrico Casamonica l’appartamento al secondo
piano, che invece poteva essere aperto con chiave detenuta al piano inferiore

,

sotto il controllo degli altri Casamonica, tra i quali appunto Domenico,
condannato con l’odierno ricorrente per il reato associativo. Come ha sottolineato
la ordinanza impugnata, la sentenza del Tribunale verrebbe

a contrario

addirittura a confermare l’utilizzo di quelle modalità consolidate per i contatti con
gli acquirenti e l’utilizzo della predetta base logistica.
Quanto al secondo assunto, la stessa Corte territoriale ha osservato che le
prove del vincolo associativo erano state tratte dalla sentenza di condanna

in particolare il fondamentale rinvenimento di grammi 820 di cocaina) e
comunque riferiti ad un arco temporale lungo.
E’ evidente che la valutazione compiuta dalla Corte perugina si sia attenuta
al modello delineato dalla giurisprudenza di legittimità: la inidoneità della nuova
sentenza a scardinare il ragionamento probatorio della sentenza di condanna era
tale da dar luogo alla sua immediata rilevabilità in base ad un semplice e
sommario esame delibativo, senza la necessità di un approfondito e completo
esame di merito.
Siamo pertanto in presenza di quei casi in cui l’infondatezza risulta
percepibile immediatamente, senza la necessità di alcun particolare
approfondimento, come è proprio, appunto, di una delibazione preliminare, che
ben può – come nel caso di specie – rilevare mediante il confronto tra i fatti
storici accertati segni di inconferenza o non persuasività nei limiti in cui essi
siano constatabili ictu oculi (ex plurimis, Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, Di
Piazza, Rv. 259779).

3. Relativamente alla sentenza della Corte di appello, sezione per i
minorenni, del 22 febbraio 2012 emessa nei confronti di Guerrino Casamonica, le
censure versate in atti appaiono anch’esse inammissibili per manifesta
infondatezza.
Correttamente infatti i Giudici a quibus hanno escluso i presupposti per farsi
luogo a revisione, in quanto la domanda del ricorrente non ha prospettato affatto
una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici sui quali le due sentenze si
fondano, quanto piuttosto solo una loro diversa qualificazione giuridica. Ipotesi
pacificamente esclusa dalla giurisprudenza di legittimità (tra tante, Sez. 6, n.
15796 del 03/04/, Strappa, Rv. 259804).
Ciò che è emendabile infatti con la revisione è l’errore di fatto e non la
valutazione del fatto, sicché non è ammissibile l’istanza di revisione che fa perno
sulla circostanza che lo stesso quadro probatorio sia stato diversamente
utilizzato in due diversi procedimenti.
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oggetto di revisione essenzialmente da altri episodi risalenti al 2008 (tra i quali

Le deduzioni difensive, che a tal riguardo evocano anche l’ipotesi di cui
all’art. 630, comma 1 lett. c) cod. proc. pen., non appaiono all’evidenza scalfire
quanto affermato dalla Corte perugina, mirando le stesse solo a fornire una
diversa chiave interpretativa dei fatti accertati.
A ciò va aggiunto che l’art. 631 cod. proc. pen., nel fissare i limiti della
revisione, dispone che “gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono,
a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare, se accertati,

Nel caso di specie, la richiesta di revisione, anche laddove diretta
all’ottenimento di un più mite trattamento sanzionatorio per effetto della
riqualificazione del reato ascritto, fuoriesce chiaramente dal perimetro
dell’istituto in esame (tra le tante, Sez. 6, n. 12307 del 03/03/2008, Racco, Rv.
239328; Sez. 1, n. 23927 del 23/05/2007, Pietroiusti, Rv. 236844).

4. Alla luce di quanto premesso, il ricorso va dichiarato inammissibile. Alla
declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al
pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di euro 1.000 a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso il 12/11/2015.

che il condannato deve essere prosciolto a norma degli articoli 529, 530 o 531”.

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