Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33556 del 28/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 33556 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SCURRANO COSIMO N. IL 27/09/1953
avverso la sentenza n. 1113/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
09/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 28/05/2014

R. G. 45027/2013

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Bari ha dichiarato
estinto per prescrizione il reato contravvenzionale di cui all’art. 660 c.p., confermando
la penale responsabilità di Cosimo Scurrano per i reati di calunnia (falsa accusa di
rapina commessa in suo danno rivolta ad un congiunto della moglie divorziata e ad
altra persona) e omesso versamento dell’assegno di mantenimento in favore della
moglie divorziata. Fatti reato, unificati da continuazione, per i quali al prevenuto è stata
inflitta, la pena di due anni, undici mesi e venti giorni di reclusione.
Contro la sentenza di appello ricorre con atto personale l’imputato, deducendo
violazione di legge e carenza di motivazione in riferimento alla inadeguata valutazione
dei motivi di gravame, non avendo i giudici di secondo grado idoneamente considerato
gli elementi difensivi enunciati da esso prevenuto, dando apodittico credito alla versione
delle parti accusatrici. Ciò pur in assenza di utili indici di riscontro della effettiva falsità
delle accuse integranti il contestato reato ex art. 368 c.p. e pur inserendosi la vicenda
nel quadro di ripetuti dissapori e denunce-querele reciproche intercorse dopo il divorzio
dell’imputato tra costui e i familiari della ex consorte.
Il ricorso è inammissibile.
Le censure, attinenti al merito della (sola) regiudicanda di calunnia, sono
indeducibili e comunque manifestamente infondate. Con le stesse, infatti, si prospetta
una rivisitazione meramente fattuale (e per di più sommaria) delle fonti di prova, pur
adeguatamente vagliate dalla ampia decisione di appello, che non ha mancato di
rilevare l’evidente discrasia della tesi difensiva dell’imputato alla luce delle emergenze
processuali complessivamente valutate.
All’inammissibilità della impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle
ammende, che stimasi equo determinare in misura di euro 1.000,00 (mille).
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 28 maggio 2014

Fatto e diritto

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