Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33552 del 28/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 33552 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PREITI ANTONIO N. IL 08/06/1952
avverso la sentenza n. 889/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
09/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 28/05/2014

R. G. 44928/2013

Con atto d’impugnazione personale l’imputato Antonio Preiti ricorre per
cassazione avverso la sentenza contumaciale del 9.4.2013 con cui la Corte di Appello di
Milano ha confermato la decisione del locale Tribunale, che lo ha riconosciuto colpevole
del reato di abusivo esercizio della professione legale, condannandolo alla pena di sei mesi
di reclusione (attività defensionale svolta in una causa civile di divorzio, pur essendo stato
radiato dall’ordine degli avvocati di Monza, reato commesso 1’8.11.2005).
Con il primo motivo di ricorso si deduce erronea applicazione degli artt. 157 e 158
c.p.p. nel testo precedente la novella di cui alla legge 251/2005, atteso che la sentenza di
appello è stata notificata all’imputato contumace il 14.6.2013, cioè oltre il termine di
prescrizione spirato 1’8.5.2013. Con il secondo motivo di censura si lamenta la manifesta
illogicità della decisione di secondo grado, per avere incongruamente valutato i profili di
gravame afferenti al mancato espletamento di attività di difesa dell’imputato nella causa di
cui in regiudicanda, nella quale unico difensore della parte sarebbe stato altro legale.
Il ricorso è inammissibile per infondatezza manifesta dei motivi di ricorso.
Il primo confuso motivo di ricorso non ha pregio, poiché ai fini della prescrizione,
nell’attuale come nel previgente regime, le date di riferimento cui avere riguardo sono
quelle di emissione dei provvedimenti decisori dei gradi di giudizio, vale a dire le sentenze
di merito, e non certo quelle di notifica delle rispettive motivazioni. La sentenza di appello
è stata pronunciata il 9.4.2013, quindi ben prima del teorico spirare della prescrizione
(sette anni e sei mesi). Palese è l’infondatezza, oltre che la genericità, della seconda
doglianza, con cui si propone una rivalutazione delle fonti di prova non soltanto estranea
al presente giudizio di legittimità, ma priva di consistenza perché concernente
prospettazioni tutte vagliate dal giudice di appello, che con corretti argomenti giuridici le
ha considerate inconferenti dopo unaa puntuale rinnovata disamina dei dati processuali.
La genetica inammissibilità dell’odierno ricorso, impedendo l’instaurarsi di un
valido rapporto impugnatorio, preclude la possibilità di rilevare di ufficio l’estinzione del
reato per prescrizione maturata in data successiva alla sentenza di appello (Cass. S.U.,
22.11.2000 n. 32, De Luca, rv. 217266; Cass. S.U., 22.3.2005 n. 23428, Bracale, rv. 231164;
Cass. Sez. 3, 8.10.2009 n. 42839, Imperato, rv. 244999). All’inammissibilità della
impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, avuto riguardo
all’accertata causa di inammissibilità, si stima equo fissare in misura di euro 1.000 (mille).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 28 maggio 2014

Motivi della decisione

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