Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33459 del 28/05/2014
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33459 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: GARRIBBA TITO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SEESAHYE MAHESH N. IL 08/11/1974
avverso la sentenza n. 1967/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
16/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. TITO GARRIBBA;
Data Udienza: 28/05/2014
MOTIVI DELLA DECISIONE .
§1.
SEESAHYE Mahesh ricorre contro la sentenza d’appello specificata
in epigrafe, che confermava la di lui condanna per i reati previsti dagli artt. 572, 582585, 56-614 e 635 cod. pen., e denuncia mancanza di motivazione sull’affermazione di
colpevolezza, censurando la ritenuta credibilità delle dichiarazioni della persona offesa
dal reato e assumendo che gli episodi commessi, essendo sporadici, non integrerebbe-
§2.
I motivi di ricorso sono, da un lato, manifestamente infondati,
perché la sentenza impugnata fornisce un’adeguata, convincente e logica giustificazione delle ragioni della decisione e, dall’altro, non consentiti dalla legge, perché si limitano a proporre una diversa valutazione delle risultanze procesguali senza evidenziare in
seno alle argomentazioni sviluppate in sentenza alcuna palese illogicità.
In particolare si osserva che la testimonianza della persona offesa dal reato può essere assunta, anche da sola, senza necessità di riscontri esterni, come fonte
di prova, purché sia sottoposta – come puntualmente avvenuto nel caso di specie – ad
un attento controllo di credibilità. Orbene dalle dichiarazioni della moglie risulta che il
rapporto di convivenza era contraddistinto da un clima permanente di tensione e conflittualità, determinato da plurimi e ripetitivi episodi di violenza fisica e morale posti in
essere dall’imputato che, con condotta abituale, ha realizzato il delitto di maltrattamenti in famiglia. La diversa prospettazione del fatto avanzata dal ricorrente sollecita
una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite non consentita al giudice di legittimità, che deve limitarsi a riscontrare l’esistenza di un apparato motivazionale rispettoso dei canoni logici e delle norme giuridiche.
Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606,
comma 3, cod.proc.pen. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 maggio 2014.
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ro il reato di maltrattamenti contestatogli.