Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33413 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 33413 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CONTI ALBERTO N. IL 06/11/1956
avverso la sentenza n. 1007/2011 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 09/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. /-/ Asgtho GALL i
che ha concluso per f a t4A.A ,, Uo, – o c.9(-,
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Data Udienza: 26/06/2014

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 9/4/2013, la Corte d’appello di Bologna confermava la
sentenza con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, in data 22/2/2010, il
Tribunale di Piacenza aveva dichiarato Conti Alberto colpevole del reato di furto
in abitazione (accertato il 21/1/2004) allo stesso contestato al capo

a) della

rubrica, dichiarando invece non doversi procedere nei confronti dello stesso e
della coimputata Schiavi Stefania in ordine all’analogo reato loro ascritto in

generiche, ritenute equivalenti alla contestata recidiva reiterata e alla pure
contestata aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen., applicata la riduzione per
la scelta del rito, lo condannava quindi alla pena di un anno e due mesi di
reclusione ed euro 400,00 di multa (così rideterminata in riduzione rispetto a
quella che in primo grado era stata commisurata sulla base del più grave reato
sub b

dichiarato prescritto in appello – con l’aumento per il reato sub a,

ritenuto in continuazione).

2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’imputato, per
mezzo del proprio difensore, sulla base di due motivi.

2.1. Con il primo deduce violazione di legge in ordine alla qualificazione
giuridica del fatto come furto in abitazione, ai sensi dell’art. 624-bis cod. pen.
anziché come furto semplice, da dichiararsi improcedibile per difetto di querela.
Sostiene che la fattispecie prevista dalla norma incriminatrice non può
essere estesa al punto da ricomprendere anche le ipotesi di furto attuate in locali
adibiti esclusivamente all’esercizio di un’attività commerciale, in cui è totalmente
assente lo scopo abitativo, e che pertanto erronea deve ritenersi la qualificazione
giuridica prospettata nel caso di specie dai giudici di merito.

2.2. Con il secondo motivo deduce ancora violazione di legge in ordine alla
ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen..
Osserva che la condotta posta in essere nel caso di specie non rientra nella
fattispecie astratta definita dalla norma, poiché nessun danneggiamento o
trasformazione della cosa è stato provocato.

Considerato in diritto

4. È fondata la doglianza con la quale si censura la qualificazione del reato
come furto in abitazione ai sensi dell’art. 624-bis cod. pen..

2

concorso al capo b) perché estinto per prescrizione. Concesse le attenuanti

4.1. Com’è noto tale disposizione, introdotta dall’art. 2 legge 26 marzo
2001, n. 128, innovando rispetto alla previsione contenuta nell’art. 625 n. 1 cod.
pen., che indicava quale aggravante del furto la condotta realizzatasi attraverso
la introduzione o l’intrattenersi in un edificio destinato ad altrui

«abitazione»,

prevede – configurandola quale fattispecie autonoma di reato, al fine di sottrarla
al giudizio di bilanciamento, e sanzionandola con pena più severa – la condotta
dell’impossessamento mediante introduzione in un luogo destinato a «privata

La locuzione utilizzata ha recepito in parte i risultati della precedente
elaborazione giurisprudenziale sulla nozione di

«abitazione»

presente nel

soppresso n. 1 dell’art. 625 cod. pen. ma anche nella rubrica della nuova norma.
Infatti, già nel vigore della previgente previsione, la nozione di abitazione,
evocando quella del luogo finalizzato a soddisfare esigenze della vita domestica e
familiare, aveva consentito di includervi anche locali che, pur non comunicando
direttamente con l’abitazione, sono tuttavia destinati a soddisfare esigenze della
vita domestica e familiare (Sez. 5, n. 11077 del 14/10/1992 – dep. 17/11/1992,
De Battisti, Rv. 192547), come le autorimesse (Sez. 2, n. 22937 del 29/05/2012
– dep. 12/06/2012, Muffatti e altro, Rv. 253193; Sez. 5, n. 21948 del
02/02/2001 – dep. 31/05/2001, Pinto G, Rv. 219027); i cortili i quali, pur non
essendo adibiti a vera e propria abitazione, costituiscono parte integrante del
luogo abitato per essere destinati, con carattere di indispensabile strumentalità,
all’attuazione delle esigenze della vita abitativa (Sez. 2, n. 6287 del 29/10/1990
– dep. 10/06/1991, Busatta, Rv. 187399); le scale (Sez. 2, n. 5202 del
06/06/1988 – dep. 13/04/1989, Savagni, Rv. 181005); il negozio
intercomunicante con alcuni vani adibiti ad abitazione (Sez. 2, n. 3951 del
25/11/1980 – dep. 30/04/1981, Scarano, Rv. 148594); un’area privata di
pertinenza dell’abitazione condotta in locazione dallo stesso autore del fatto
(Sez. 2, n. 22909 del 22/05/2012 – dep. 12/06/2012, Baldi, Rv. 253191); la
stanza d’ospedale destinata all’uso del personale paramedico (Sez. 5, n. 3703
del 02/02/1993 – dep. 16/04/1993, Mangano, Rv. 194349); uno spazio di una
abitazione distinto e appartato dalla parte (solo) nella quale l’autore del furto era
stato autorizzato ad accedere, essendo necessario distinguere, in funzione del
consenso espresso dal soggetto passivo, tra i diversi locali che compongono
l’abitazione (Sez. 2, n. 8276 del 16/05/1988 – dep. 09/06/1989, Mattioni, Rv.
181523).
A maggior ragione la rilevanza di luoghi non strettamente riconducibili al
concetto di abitazione emerge dalla formulazione della nuova norma, essendo
quella di «privata dimora»

nozione più ampia e comprensiva di quella di

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dimora» ovvero nelle sue pertinenze.

«abitazione» (come è dimostrato anche dalla formulazione dell’art. 614 cod.
pen., ove sono entrambi presenti), in essa rientrando tutti quei luoghi non
pubblici nei quali le persone si trattengono per compiere, anche in modo
transitorio e contingente, atti della loro vita privata ovvero attività di carattere
culturale, professionale e politico.
Si è quindi ritenuto che vi rientrano, ad es.: gli studi professionali, gli spazi
di esercizi commerciali o di stabilimenti industriali nei quali la persona offesa
possa svolgere, anche in modo contingente, atti di vita privata (Sez. 5, n. 30957

18/09/2007 – dep. 22/11/2007, P.G. in proc. Salvadori, Rv. 238493; Sez. 5, n.
43671 del 17/09/2003 – dep. 14/11/2003, Sgaramella, Rv. 226415; Sez. 4, n.
18810 del 26/02/2003 – dep. 18/04/2003, P.M. in proc. Solimano, Rv. 224568),
compreso anche un pubblico esercizio, nelle ore di chiusura, utilizzato dal
proprietario per lo svolgimento di un’attività lavorativa, sia pure inerente alla
gestione del locale stesso (v. Sez. 4, n. 32232 del 10/06/2009 – dep.
06/08/2009, P.G. in proc. Caglioni, Rv. 244432); la portineria di un condominio
(Sez. 5, n. 28192 del 25/03/2008 – dep. 09/07/2008, Taglialatela, Rv. 240442);
le aree condominiali, anche quando le stesse non siano nella disponibilità
esclusiva dei singoli condomini (Sez. 4, n. 4215 del 10/01/2013 – dep.
28/01/2013, B., Rv. 255080); il cortile condominiale, che costituisca pertinenza
di una privata dimora (Sez. 7, n. 3959 del 02/10/2012 – dep. 24/01/2013,
Romano, Rv. 255100); uno studio odontoiatrico (Sez. 5, n. 10187 del
15/02/2011 – dep. 14/03/2011, Gelasio, Rv. 249850); l’interno di un campo da
tennis inserito in un complesso alberghiero (Sez. 5, n. 4569 del 22/12/2010 dep. 08/02/2011, Bifara, Rv. 249268); una baracca adibita a spogliatoio in un
cantiere edile (Sez. 5, n. 32093 del 25/06/2010 – dep. 20/08/2010, Truzzi e
altro, Rv. 248356); l’area di uno stabilimento adibita a deposito merci
considerato che lo stabilimento rappresenta uno degli snodi fondamentali in cui
si svolge la vita privata dell’imprenditore, atteso che i beni prodotti devono
essere necessariamente depositati al suo interno al fine di organizzare e stabilire
quantità correlate all’andamento prevedibile della domanda nonchè cadenze e
prezzi di vendita (Sez. 5, n. 33993 del 05/07/2010 – dep. 21/09/2010,
Cannavale e altri, Rv. 248421).
Né si richiede che, per poter esser ritenuto «destinato a privata dimora», il
luogo dal quale siano sottratte le cose sia munito di particolari accorgimenti per
impedire l’ingresso del pubblico, essendo sufficiente che si tratti di area distinta e
appartata e come tale facilmente riconoscibile, o per la sua effettiva utilizzazione
o per le modalità della sua sistemazione (per esempio l’arredamento) da cui sia
desumibile lo scopo abitativo o comunque la destinazione a privata occupazione

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del 02/07/2010 – dep. 03/08/2010, Cirlincione, Rv. 247765; Sez. 5, n. 43089 del

(cfr. Sez. 2, n. 23402 del 18/05/2005 – dep. 21/06/2005, Pangallo, Rv. 231885;
Sez. 4, n. 40245 del 30/09/2008 – dep. 28/10/2008, P.M. in proc. Aljmi, Rv.
241331, che ha ritenuto privata dimora, ai fini del disposto dell’art. 624-bis c.p.,
la sagrestia, in quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a
quelle di culto, servente non solo edificio sacro, ma alla stessa casa canonica;
nonchè, Sez. 4, n. 20022 del 16/04/2008 – dep. 19/05/2008, Castri, Rv.
239980, che, parimenti, ha ritenuto corretta la qualificazione ex art. 624-bis c.p.
del furto commesso all’interno di un palazzo di giustizia, in un locale adibito a

trattenevano, seppure soltanto temporaneamente, per compiere atti della
propria vita quotidiana, e che non poteva definirsi come pubblico o aperto al
pubblico per il solo fatto che fosse accessibile a più di un avvocato; sez. 5, n.
22725 del 05/05/2010 – dep. 14/06/2010, P.G. in proc. Dunca, Rv. 247969, che
ha qualificato nei detti termini un locale destinato a ripostiglio posto all’interno di
esercizio commerciale, ancorché non munito di particolari accorgimenti per
impedire l’ingresso del pubblico; Sez. 4, n. 37908 del 25/06/2009 – dep.
25/09/2009, Apprezzo, Rv. 244980, che ha ritenuto costituire privata dimora agli
effetti della norma citata il locale di servizio posto nel retro di una farmacia, la
cui porta era rimasta socchiusa, durante l’orario di apertura; Sez. 5, n. 4569 del
22/12/2010 – dep. 08/02/2011, Bifara, Rv. 249268, che ha ritenuto integrare il
delitto di furto in abitazione la condotta di colui che commetta il furto all’interno
di un campo di tennis inserito in un complesso alberghiero, considerato che esso
costituisce pertinenza dell’albergo e luogo nel quale i soggetti che ivi si
intrattengono, anche solo per svolgere attività ludica, pongono in essere atti
relativi alla propria sfera privata).

4.2. Pur in relazione a tale più ampio campo semantico rilevante ai fini della
identificazione del concetto di «privata dimora» non appare dubbio tuttavia che,
al fine di individuare una linea di discrimine tra la più grave fattispecie
sanzionata dall’art. 624-bis cod. pen. e quella di cui all’art. 624 cod. pen.,
occorre pur sempre – pena altrimenti una tendenziale e arbitraria
sovrapposizione delle due ipotesi – che il luogo nel quale è perpetrato il furto
abbia per sua struttura o per l’uso che ne è fatto in concreto una destinazione
legata e riservata alla esplicazione di attività proprie della vita privata della
persona offesa, ancorché non necessariamente coincidenti con quelle
propriamente domestiche o familiari ma identificabili anche con attività
produttiva, professionale, culturale, politica.
Deve cioè trattarsi di luoghi deputati allo svolgimento di attività che
richiedano una qualche apprezzabile permanenza, ancorché transitoria e

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spogliatoi degli avvocati: trattavasi, infatti, di luogo in cui gli avvocati si

contingente, della persona offesa, per taluna delle finalità predette.
Ciò del resto conformemente alla ratio

della previsione che è quella della

tutela della sicurezza fisica della vittima che si trovi all’interno di luoghi nei quali
essa soggiorni sia pure per breve tempo per attività privata, essendo inoltre tale
tipo di condotta sintomatico di una maggiore audacia e pericolosità dell’agente e,
quindi, determinante un maggiore allarme sociale.
Nell’ipotesi in esame tale requisito non può ritenersi motivatamente
accertato: si tratta, infatti, di furto di merce (scarpe) custodita dentro un furgone

pertanto riferimento a un luogo del quale non può ritenersi autoevidente
l’ipotizzata destinazione a

«privata dimora» sia pure nei sensi predetti, in

mancanza, in particolare, di alcuna emergenza in ordine alla effettiva
destinazione del capannone medesimo.

5. È invece inammissibile, per difetto di specificità, il secondo motivo.
Sul punto, invero, il ricorrente si limita all’affermazione del tutto apodittica
secondo cui, nel caso di specie, «nessun danneggiamento o trasformazione della
cosa è stato provocato».
Con ogni evidenza, tale affermazione si risolve nella mera generica
prospettazione di una ricostruzione del fatto contraria a quella cui è giunto il
giudice del merito, in assenza di alcun rilievo o argomento critico idoneo a
evidenziare vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione sul punto adottata.
Su tali basi, l’affermazione secondo cui il giudice sarebbe incorso in
violazione di legge per aver ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 625 n.
2 cod. pen. si appalesa manifestamente infondata ovvero, in realtà,
inammissibilmente volta a richiedere una surrettizia rivalutazione del fatto,
certamente non consentita in questa sede.

6. Ne discende anche l’infondatezza dell’assunto del ricorrente secondo cui il
reato avrebbe dovuto dichiararsi improcedibile per difetto di querela. Pur nella
accolta diversa qualificazione del fatto, infatti, la riconosciuta sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. proc. pen. rende il reato perseguibile
d’ufficio, non ostandovi il giudizio di equivalenza con le pur riconosciute
attenuanti generiche, questo infatti incidendo solo sul trattamento sanzionatorio
ma non privando l’aggravante degli altri connessi effetti penali, tra i quali quello
di rendere il reato base procedibile ex officio (v. ex aliis Sez. 4, n. 1045 del
15/12/2006 – dep. 17/01/2007, Terlimbacco, Rv. 236019).

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parcheggiato all’interno di un capannone di proprietà della persona offesa e si ha

7. La diversa qualificazione del fatto cui necessariamente conducono le
considerazioni sopra esposte (par. 4) comporta, però, la necessità di considerare
un diverso termine prescrizionale che, alla data della presente decisione, deve
ritenersi maturato.
Trattandosi infatti di fatto anteriore all’entrata in vigore della legge 5
dicembre 2005, n. 251 (c.d. legge ex Cirielli) ma essendo stata la sentenza di
primo grado pronunciata in epoca successiva (22/2/2010), in forza delle
disposizioni transitorie contenute nell’art. 10, commi 2 e 3, I. cit., occorre aver

disciplina in concreto più favorevole.
In ragione di tale criterio, nella specie deve trovare applicazione il termine
prescrizionale previsto dall’art. 157 cod. pen. nella formulazione antecedente alle
modifiche introdotte dalla citata legge. A tal fine, in forza di tale previsione,
essendo state nella specie concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti
alla recidiva e alla ulteriore contestata aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod.
pen., deve aversi riguardo alla pena detentiva prevista per il furto semplice (da
sei mesi a tre anni), discendendone che il termine prescrizionale deve ritenersi
pari ad anni cinque, prolungato della metà per effetto degli atti interruttivi ai
sensi dell’art. 160, comma terzo, cod. pen. nella previgente formulazione, per un
totale dunque di sette anni e mezzo.
Ne discende che, alla data della odierna decisione – anche tenendosi conto
della sospensione derivante dal rinvio dell’udienza del 18/12/2009 a quella
successiva del 25/1/2010, disposto su richiesta della difesa

all’imputato di rendere spontanee dichiarazioni»

«per consentire

la prescrizione deve ritenersi

ad oggi già maturata e, segnatamente, alla data del 27/8/2011.

7. In ragione delle considerazioni che precedono, deve dunque pronunciarsi
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere anche il
residuo reato ascritto al ricorrente sub lett.

a) della rubrica, estinto per

prescrizione.

P.Q.M.

Annulla nei confronti di Conti Alberto la sentenza impugnata senza rinvio
perché estinto per prescrizione il reato di cui all’art. 624 e 625, primo comma, n.
2 c.p. così qualificato il fatto di cui al capo A) di imputazione, con la già
riconosciuta equivalenza tra le concesse attenuanti generiche e le aggravanti.
Così deciso il 26/6/2014

riguardo, ai fini dell’individuazione del regime prescrizionale applicabile, alla

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