Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33397 del 21/05/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 33397 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRIPODI NATALE, n. 19/10/1978 a MELITO PORTO SALVO
LOMBARDO FORTUNATO, n. 25/12/1979 a MELITO PORTO SALVO
FICARA ORAZIO, n. 22/11/1971 a REGGIO CALABRIA

avverso la sentenza della Corte d’appello di REGGIO CALABRIA in data
26/06/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. G. Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 21/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. TRIPODI NATALE, LOMBARDO FORTUNATO e FICARA ORAZIO hanno proposto
ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di REGGIO CALABRIA, emessa
in data 26/06/2012, depositata in data 24/09/2012, che, in parziale riforma della

non doversi procedere nei loro confronti in ordine ai reati di detenzione di
marijuana ed hashish a fini di spaccio loro ascritti perché estinti per prescrizione,
rideterminando la pena per le residue imputazioni di detenzione a fini di spaccio
di eroina e cocaina (capo 2: fatti contestati come commessi negli anni 2003 e
2004 in Montebello ionico, Melito Porto Salvo, Reggio Calabria ed altri luoghi)
nella misura finale di anni 3, mesi 6 di reclusione ed C 16.000,00 di multa
ciascuno, con revoca del beneficio dell’indulto concesso al LOMBARDO.

2. Con il primo ricorso, proposto personalmente dall’imputato TRIPODI NATALE,
viene dedotto un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale, articolato, motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e)
c.p.p.
La censura investe l’affermazione di responsabilità pronunciata con riferimento al
delitto di detenzione a fini di spaccio di eroina e cocaina (capo 2) sulla base di
risultanze processuali tutt’altro che univoche; il ragionamento della Corte
territoriale sarebbe stato meramente deduttivo e probabilistico, soprattutto alla
luce della presenza di significative discrasie tra le trascrizioni delle conversioni
ambientali e telefoniche intercettate ed i cc.dd. brogliacci; vi sarebbe stata,
ancora, una mancata osservanza delle previsioni di cui all’art. 192 c.p.p. in tema
di valutazione indiziaria, laddove i giudici hanno ritenuto sussistere una
colpevolezza certa sulla scorta del compendio indiziario costituito dalla predette
intercettazioni, valutandole a carico del ricorrente, ignorando però del tutto le
argomentazioni difensive; non vi sarebbe in atti alcuna prova della contestata
finalità di spaccio, ritenendola provata sulla base del predetto compendio
indiziario tramite l’indicazione di una serie di conversazioni intercettate dalle
quali si è ritenuto che il ricorrente sarebbe stato nominato quale fornitore da
alcuni tossicodipendenti, poi divenuti coimputati del medesimo; al generico
riferimento delle risultanze delle intercettazioni, in particolare, la Corte
territoriale non fa seguire la specifica indicazione di quelle chiaramente
2

sentenza del GUP del Tribunale di REGGIO CALABRIA del 7/12/2007, dichiarava

denotative di una responsabilità del ricorrente per la condotta di spaccio, come
del resto sarebbe desumibile dalla semplice lettura della parte della motivazione
dedicata alla disamina delle singole posizioni dei ricorrenti, in cui la Corte reggina
si limita invece a riproporre le medesime argomentazioni espresse dal primo
giudice, eludendo le censure sul punto poste con l’atto di appello, sicché la
motivazione finirebbe con l’essere logicamente viziata da circolarità, affermando

avrebbe motivato in termini critici l’adesione alla sentenza del primo giudice,
difettando qualsiasi riferimento fattuale o riscontri in ordine al tipo ed al
quantitativo dello stupefacente ceduto; ciò sarebbe stato, nel caso del Tripodi,
fondamentale, laddove si consideri che l’unica prova reale è costituita dal
rinvenimento nella sua autovettura di gr. 0,8 di sostanza stupefacente del tipo
cocaina; la censura, ancora, investe anche l’esistenza stessa del dolo di cessione,
mancando nella motivazione dell’impugnata sentenza l’illustrazione delle ragioni
per cui era stato ritenuto che il ricorrente avesse ceduto volontariamente lo
stupefacente.

3. Con il secondo ricorso, proposto personalmente dall’imputato LOMBARDO
FORTUNATO, vengono dedotti tre motivi, di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p.
La censura investe la motivazione dell’impugnata sentenza per aver ritenuto la
decorrenza del termine di prescrizione, calcolato alla luce della giurisprudenza
antecedente alla legge n. 251/2005, solo in relazione a tutti gli episodi
concernenti la detenzione a fini di spaccio di droghe “leggere”; la stessa, deduce
il ricorrente, sarebbe manifestamente illogica nella parte in cui ha ritenuto di
dover confermare la responsabilità penale del ricorrente quanto alla detenzione
illecita a fini di spaccio delle droghe “pesanti”; in particolare, si rileva che la
prova della responsabilità del ricorrente per tali episodi sarebbe fondata su
colloqui oggetto di captazione che hanno come protagonisti soggetti che non
hanno con il Lombardo alcuna relazione, colloqui perdipiù nei quali non vi
sarebbero riferimenti alla tipologia di sostanza stupefacente del tipi cocaina né
risulta esserne stato accertato il possesso da parte del ricorrente medesimo, non
avendo egli subito né perquisizioni né sequestri; vi sarebbe stata, quindi,
un’arbitraria interpretazione delle espressioni captate di per sé oggettivamente
non univoche (con l’espressione “pezzo del freno” si sarebbe fatto riferimento
all’hashish, mentre con quella di “latta di pittura” si sarebbe fatto riferimento alla
3

apoditticamente ciò che si chiedeva di dimostrare; la Corte territoriale non

cocaina); non vi sarebbe stato alcun approfondimento al fine di verificare se le
espressioni utilizzate, ove ritenute conducenti nel senso di una conversazione
avente ad oggetto stupefacente, riguardassero droghe “leggere”, ciò che sarebbe
avvalorato dal dato oggettivo secondo cui le operazioni di sequestro svolte nel
corso delle indagini avevano riguardato solo tale tipologia di stupefacente.

3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p.

La censura investe la motivazione dell’impugnata sentenza per aver omesso di
pronunciarsi in ordine alla richiesta, esplicitata con i motivi di appello, di
riconoscimento delle attenuanti generiche e di rideterminazione del trattamento
sanzionatorio nel minimo edittale; la sentenza d’appello, sul punto, trascura del
tutto di prendere in considerazione tali richieste.

3.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) c.p.p.
La censura investe la motivazione dell’impugnata sentenza per aver disposto la
Corte d’appello la revoca “ex officio” dell’indulto, con violazione dell’art. 1,
comma 3, legge n. 241/2006; in assenza della proposizione del gravame del PM,
la Corte d’appello avrebbe erroneamente revocato l’indulto concesso dal primo
giudice, ciò che chiaramente vietato come affermato dalla stessa giurisprudenza
di questa Corte.

4.

Con separato ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista

dall’imputato LOMBARDO FORTUNATO, vengono dedotti tre motivi, di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp.
att. cod. proc. pen.

4.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e) c.p.p.
La censura investe la motivazione dell’impugnata sentenza per aver ritenuto la
responsabilità del Lombardo per la condotta di detenzione a fini di spaccio di
sostanza stupefacente del tipo cocaina utilizzando le medesime argomentazioni
addotte al fine di fondare il giudizio di responsabilità in ordine alla posizione del
Tripodi; la Corte avrebbe tralasciato il dato, di per sé assai significativo, per il
quale il ricorrente, nonostante fosse stato interessato per oltre un mese da
operazioni di intercettazione, si fosse relazionato con il Tripodi solo per ragioni di
amicizia e per le comuni frequentazioni in ambito territoriale, non certo per
comunanza di intenti in ordine ad un’attività illecita; la Corte reggina non
avrebbe non solo individuato elementi su cui fondare la responsabilità del
Lombardo, ma non si sarebbe nemmeno curata di verificare la natura dello
4

stupefacente di cui si parlava nel corso delle conversazioni, ciò che assumeva
rilievo, nel caso in esame, soprattutto alla luce della decisione conclusiva della
Corte d’appello che ha prosciolto tutti i ricorrenti per i fatti attinenti alle cessioni
a fini di spaccio di droghe “leggere” in quanto estinti i reati per prescrizione; la
motivazione sarebbe, quindi, manifestamente illogica ove omette di specificare il
criterio in forza del quale ha attribuito al ricorrente la responsabilità per i reati di

dell’impugnata sentenza, si censura il metodo argomentativo seguito dalla Corte
d’appello per pervenire a giudizio di responsabilità penale, essendosi i giudici
limitati a richiamare dettagliatamente le singole conversazioni intercettate
riguardanti il Tripodi, ma omettendo di indicare quali sarebbero stati i rapporti
illeciti intrattenuti dal ricorrente con gli interlocutori, con conseguente violazione
del criterio indicato dall’art. 192 c.p.p. quanto alla valutazione della prova
indiziaria, quantomeno con riferimento alla questione se l’oggetto dell’illecita
cessione fosse droga pesante o leggera; la circostanza che si trattasse di hashish
e non di cocaina, peraltro, sarebbe desumibile dall’unico elemento di riscontro
oggettivo in atti, costituito dal sequestro di gr. 30 di hashish a tale Curcio, il
quale è soggetto che viene intercettato mentre parla con il ricorrente nel maggio
2004, sicchè appare verosimile che, a tutto concedere, le cessioni di
stupefacente avrebbero riguardato droghe leggere e non pesanti; inoltre, a
conforto di quanto sopra, la difesa del ricorrente rileva che laddove i giudici del
merito avevano ritenuto che l’attività illecita posta in essere dal ricorrente e dal
Tripodi sarebbe stata riscontrata dal sequestro di stupefacenti del tipo cocaina (il
riferimento è al sequestro a carico di tale Callea, eseguito nel giugno 2004)
nessuna intercettazione telefonica precedente e strettamente connessa a tali
episodi aveva coinvolto il Lombardo; quest’ultimo non aveva mai subito sequestri
né risulta aver mai avuto la disponibilità di sostanze stupefacenti, sicchè la
ritenuta responsabilità del Lombardo sarebbe stata desunta in base ad
un’arbitraria interpretazione delle espressioni utilizzate in occasione dei dialoghi
captati, secondo la già censurata attività di attribuzione del significato illecito alle
espressioni medesime (pezzo di freno o latta di pittura); non vi sarebbe alcuna
spiegazione del criterio metodologico con cui i giudici del merito avrebbero
attribuito tale significato alle espressioni utilizzate, né si è chiarito perché,
diversamente, quelle stesse espressioni ben avrebbero potuto riferirsi a droghe
leggere anziché pesanti, sicchè la motivazione della sentenza appare illogica
laddove ritiene di dover individuare come oggetto delle conversazioni la
commercializzazione di droghe pesanti, soprattutto in quei dialoghi il cui
contenuto non era stato chiarito dalla PG operante né altrimenti era stato
5

detenzione a fini di spaccio di droghe “pesanti”; nell’esaminare le pagine 69 e ss.

possibile renderlo intelligibile, così realizzando un’inammissibile inversione
dell’onere della prova con l’attribuire al ricorrente il compito di chiarire se si
fosse trattato di transazione concernente sostanze stupefacenti di tipo leggero
anzichè pesante; la Corte territoriale, conclusivamente, non avrebbe fato buon
governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte circa
l’interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate, finendo

penale per episodi di cessione di stupefacente del tipo “pesante” in mancanza di
prova dell’attività di cessione, in mancanza di prova della tipologia dello
stupefacente nonché, soprattutto, in mancanza di prova certa se il Lombardo
rivestisse nei dialoghi captati la veste di cedente o di cessionario.

4.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p., in
relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p., sub specie di omessa motivazione o di
contraddittorietà della stessa in punto di diniego delle circostanze attenuanti
generiche.
La censura investe la motivazione dell’impugnata sentenza per non aver
motivato circa il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nonostante il
puntuale motivo di appello; analogamente, la sentenza non avrebbe motivato in
ordine alla richiesta di diminuzione della pena entro il limite edittale, nonostante
la presenza di elementi oggettivi che avrebbero consentito di pervenire ad un più
mite trattamento sanzionatorio.

4.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) c.p.p., in
relazione all’art. 597, comma 3, c.p.p. con riferimento all’art. 1, comma 3, legge
n. 241/2006, avendo violato la Corte d’appello divieto di reformatio in peius.
Nonostante non vi fosse stata alcuna impugnazione del PM, la Corte territoriale
ha revocato d’ufficio il beneficio dell’indulto concesso dal primo giudice,
statuizione illegittima anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte.

5.

Con il terzo ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista

dall’imputato FICARA ORAZIO, vengono dedotti due motivi, di seguito enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod.
proc. pen.

5.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e) c.p.p.,
in riferimento agli artt. 110 c.p. e 73, d.P.R. n. 309/1990 per motivazione
insufficiente e contraddittoria.
6

acriticamente e apoditticamente per attribuire al Lombardo una responsabilità

La censura investe la motivazione dell’impugnata sentenza per aver
illogicamente ritenuto la responsabilità del ricorrente nonostante l’assenza di
elementi probatori idonei, fondandola esclusivamente sulla base di conversazioni
intercettate ma senza valutare le doglianze mosse con i motivi di appello; i
giudici avrebbero violato i criteri fissati per l’interpretazione delle conversazioni
intercettate e per la valutazione, in genere della prova indiziaria, essendo emersi

familiari del ricorrente con soggetti non coinvolti in operazioni illecite;
difetterebbero riscontri alle conversazioni intercettate, soprattutto alla luce dei
contenuti dei dialoghi tipicamente di natura familiare tra il ricorrente e gli
interlocutori, sicchè l’errore compiuto dai giudici del merito sarebbe stato quello
di attribuire natura illecita a colloqui di tipo amichevole e leciti; la motivazione
dell’impugnata sentenza sarebbe pertanto insoddisfacente dal punto di vista
logico per quanto concerne l’iter argomentativo seguito per affermare la
responsabilità del ricorrente, finendo per appiattirsi sulle proposizioni
argomentative dei primi giudici senza alcuna valutazione critica degli stessi,
sembrando i giudici d’appello accontentarsi dell’esistenza di rapporti tra il
ricorrente ed altri soggetti (il cugino Rocco e tale Bruciafreddo), senza tuttavia
verificare se il ricorrente abbia ceduto o acquistato stupefacenti ed interpretando
in chiave accusatoria le conversazioni intercettate, in assenza di elementi di
riscontro.

5.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e)
c.p.p., in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p.
La censura investe la motivazione dell’impugnata sentenza per non aver
congruamente motivato circa il mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche nonostante il puntuale motivo di appello; non sarebbe a tal fine
sufficiente il mero richiamo alla presenza di precedenti penali a carico del
ricorrente, senza esprimere ulteriori valutazioni sulla gravità del reato e sulla
capacità a delinquere del reo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. Il ricorso dev’essere accolto sebbene per ragioni diverse da quelle prospettate
dai ricorrenti.

7. Ed invero, risulta dall’impugnata sentenza che tutti gli imputati sono stati
prosciolti dalle imputazioni di cessione di droga “leggera” e che, con riguardo alle
7

dalle conversazioni captate solo colloqui riguardanti una rete di amicizie o

residue imputazioni (cessioni di eroina e cocaina), all’epoca in cui venne assunta
la decisione della Corte territoriale, la pena edittale – prevista per l’ipotesi di cui
al comma 5 dell’art. 73, TU. Stup., già riconosciuta dal primo giudice prevedeva una pena massima di anni sei di reclusione, ciò che comportava, in
base alla applicazione della regula iuris indicata dal previgente art. 157 c.p., un
termine di prescrizione di ani quindici.

bene aveva fatto applicazione del principio secondo cui i reati previsti dal d.P.R.
9 ottobre 1990, n. 309, relativi a sostanze stupefacenti inserite nelle vecchie
tabelle 1 e 3 allegate al citato decreto, commessi prima dell’entrata in vigore
della I. 5 dicembre 2005, n. 251 (o per i quali a tale data risulta emessa la
sentenza di condanna in primo grado), si prescrivono, ove sia stata ritenuta la
circostanza attenuante di cui all’art. 73 comma quinto d.P.R. n. 309 del 1990,
nel termine ordinario di dieci anni ed in quello massimo di quindici anni (Sez. 3,
n. 444 del 28/09/2011 – dep. 11/01/2012, P.G. in proc. Fauizi, Rv. 251872).
Deve, tuttavia, rilevarsi come – medio tempore – l’originaria previsione
del comma 5 dell’art. 73, T.U. Stup., abbia subito penetranti modifiche
legislative. Ed infatti, il comma in esame, successivamente alla pronuncia
dell’impugnata sentenza, è stato, un prima volta, sostituito dall’art. 2, comma 1,
lett. a), D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n. 10. Per effetto di tale modifica, com’è
noto, oltre a trasformarsi l’ipotesi del comma 5 da fattispecie circostanziale a
reato autonomo, si pervenne ad una modifica del trattamento sanzionatorio
(reclusione da uno a cinque anni e multa da euro 3.000 a euro 26.000).
La giurisprudenza di questa Corte formatasi subito dopo la predetta modifica
normativa, ebbe correttamente ad affermare che dalla riformulazione dell’
“ipotesi lieve” di condotta illecita in tema di sostanze stupefacenti, determinata
dal D.L. n. 146 del 2013, discende, con il superamento della pregressa
configurazione circostanziale, un più favorevole regime del termine di
prescrizione che, in base alla regola stabilita dall’art. 157, comma primo, cod.
pen., dovrà ora computarsi sulla base della pena edittale stabilita per la nuova
fattispecie autonoma di reato, attestandosi sulla breve misura di sei anni,
prorogabile fino alla durata di sette anni e mezzo in caso di atti interrottivi (Sez.
6, n. 14288 del 08/01/2014 – dep. 26/03/2014, Cassanelli, Rv. 259059). A tale
conclusione la Corte era pervenuta uniformandosi all’orientamento, già espresso
in precedenza dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 10625 del
06/10/1979 – dep. 07/12/1979, D’Elia, Rv. 089650), secondo cui, in tema di
successione di leggi penali nel tempo, ai fini dell’applicazione del principio di
8

La Corte d’appello, infatti, alla data della decisione impugnata (26 giugno 2012)

prevalenza della disciplina in concreto più favorevole sancito dall’art.2, comma
quarto, cod. pen., devono essere considerate non solo le modificazioni
concernenti la pena, ma anche l’incidenza del ‘novum’ sulla prescrizione del
reato, quando quest’ultima, in seguito all’applicazione della disciplina
sopravvenuta, risulti già maturata (Sez. 6, n. 14288 del 08/01/2014 – dep.
26/03/2014, Cassanelli, Rv. 259060, riguardante proprio una fattispecie relativa

quale reato autonomo dell’ipotesi lieve di condotta illecita in tema di sostanze
stupefacenti).
Già l’applicazione di tale principio di diritto, dunque, avrebbe comportato
la rivalutazione da parte di questo Collegio della disciplina più favorevole, con
conseguente individuazione della nuova formulazione del comma 5 e, dunque,
rideterminazione del termine di prescrizione, da calcolarsi nella misura massima
di ani 7 e mesi sei, interamente decorso, come del resto affermato dalla Corte
territoriale con riferimento alle ipotesi di cessione di droga “leggera”.
A ciò, peraltro, si aggiunga che, successivamente alla modifica normativa
operata con il predetto d.l. n. 146/2013, è intervenuta un ulteriore novella
(legge 16 maggio 2014, n. 79, di conversione del d.l. 20 marzo 2014, n. 36) che
ha nuovamente modificato il trattamento sanzionatorio previsto per l’ipotesi del
comma 5 dell’art. 73, T.U. Stup., riducendo ulteriormente la pena per i fatti di
lieve entità (sia se riguardanti droghe pesanti che leggere: reclusione da sei mesi
a quattro anni e multa da 1.032 a 10.329 euro); la novella, si noti, è entrata in
vigore, per espressa previsione dell’art. 1, comma 2, della citata legge n.
79/2014 “il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale”. Essendo stata pubblicata la legge in esame nella G.U. n. 115 del 20
magio 2014, la stessa è quindi entrata in vigore il giorno della presente
decisione, ossia il 21 maggio.
Avuto riguardo alla pena base individuata dalla Corte territoriale per i fatti per
cui è processo (v. pag. 82 dell’impugnata sentenza), ossia anni 5 di reclusione
ed 21.000,00 di multa, la sentenza avrebbe dovuto essere annullata con rinvio
ad altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria, per procedere alla
rideterminazione del trattamento sanzionatorio quale pena illegale ex art. 609
c.p.p. in considerazione degli attuali limiti editali (reclusione da sei mesi a
quattro anni e multa da 1.032 a 10.329).
Detta operazione è tuttavia preclusa, essendo maturato, nel frattempo, per
effetto dello ius superveniens – già il d.l. n. 146/2013 lo avrebbe, del resto,
imposto – il termine di prescrizione massima più favorevole (i cui effetti sono
immediatamente operativi, come già chiarito da Sez. U, n. 10625 del
9

alle modifiche del regime della prescrizione derivate dalla nuova configurazione

06/10/1979 – dep. 07/12/1979, D’Elia, Rv. 089650), con conseguente doveroso
annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per tutti i capi residui.

8. L’impugnata sentenza dev’essere pertanto annullata senza rinvio per essere i
reati estinti per prescrizione.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per
prescrizione.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2014

Il Consigliere est.

Il Presidente

P.Q.M.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA