Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33383 del 11/07/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 33383 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
NOVELLI PAOLO N. IL 04/11/1960
avverso la sentenza n. 1505/2013 TRIBUNALE di BERGAMO, del
23/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 11/07/2014

1) Con sentenza in data 23.5.2013 il Tribunale di Bergamo, in composizione
monocratica, ha condannato Novelli Paolo alla pena di euro 4.000,00 di ammenda per il
reato di cui all’art.18 co.1 lett.c) D.L.vo 81/2008.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello l’imputato, lamentando che il
Tribunale era pervenuto all’affermazione di responsabilità senza far luogo alle
richieste istruttorie avanzate dalla difesa.
Essendo la sentenza inappellabile (art.593 co.3 c.p.p.), gli atti sono stati trasmessi a
questa Corte ex art.568 co.5 c.p.p.
2) Il ricorso (così qualificato) è manifestamente infondato.
2.1) Non c’è dubbio che in un sistema processuale come quello vigente, caratterizzato
dalla dialettica delle parti, alle quali compete l’onere di allegare le prove a sostegno
delle rispettive richieste, il giudice debba limitarsi a valutare soprattutto la
pertinenza della prova al thema decidendum. Ogni diversa valutazione, collegata alla
attendibilità della prova e quindi al “risultato” della stessa, esula dai poteri del giudice
(l’art.190 prevede invero che le prove sono ammesse a richiesta di parte) e finirebbe
per espropriare le parti del diritto alla prova. Tale diritto alla prova non è, però,
“assoluto”, ponendo lo stesso legislatore dei limiti: il giudice è tenuto infatti ad
escludere le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o
irrilevanti (art.190 comma 1 cod.proc.pen.). Tali principi sono stati reiteratamente
ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr.ex multis Cass.pen.sez. 2 n.2350 del
21.12.2004).
2.2) Come risulta dal verbale di udienza il difensore (delegato dal difensore di
fiducia) si limitava a richiedere soltanto l’esame dell’imputato, peraltro contumace.
In ogni caso dalla motivazione della sentenza impugnata emerge la superfluità delle
richieste istruttorie della difesa, essendo stato accertato che al momento
dell’assunzione i lavoratori Giovanni Forlan e Cesarino Colombelli non erano stati
sottoposti a visita preventiva (visita che veniva espletata soltanto in data 5.5.2009).
2.3) Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere
la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento in favore
della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in
euro 1.000,00, ai sensi dell’art.616 c.p.p.
2.3.1) L’inammissibilità del ricorso preclude, poi, ogni possibilità di far valere e
rilevare d’ufficio, ai sensi dell’art.129 cod.proc.pen., l’estinzione del reato per
prescrizione, maturata dopo l’emissione della sentenza impugnata.
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a Sezioni Unite (per ultimo
sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti
decisioni, ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta formazione del
giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido
perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con

OSSERVA

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma 1’11.7.2014

eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art.606 comma 3),
precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente
maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere
davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab
instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di
assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico,
divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti
per essersi già formato il giudicato sostanziale”.
P. Q. M.

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