Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33373 del 11/07/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 33373 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ACCAMO FELICE N. IL 15/02/1940
avverso la sentenza n. 2349/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
17/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 11/07/2014

1) Con sentenza in data 17.5.2013 la Corte di Appello di Ancona ha confermato la
sentenza del Tribunale di Urbino, in composizione monocratica, resa il 3.6.2010, con la
quale Accamo Felice era stato condannato alla pena di mesi 1 di arresto ed euro
12.000,00 di ammenda per i reati di cui agli artt.44 lett.b) DPR 380/2001 (capo a), 93
e 95 DPR 380/2001 (capo b), 94 e 95 DPR 380/2001 (capo c), unificati sotto il vincolo
della continuazione; pena sospesa subordinatamente alla demolizione delle opere
abusive.
Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, denunciando la mancanza,
contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione alla errata qualificazione
dei fatti, nonché la mancanza di motivazione in ordine all’eccezione di prescrizione ed
infine la erronea applicazione dell’art.157 c.p.
2) Il ricorso è manifestamente infondato.
2.1) La Corte territoriale ha accertato, in punto di fatto, che l’originario manufatto
(adibito a porcilaia) era stato demolito e poi ricostruito destinandolo a civile
abitazione (come emergeva incontestabilmente dalla presenza di impianti elettrici ed
idrici, allocazione di un piano doccia, predisposizione di impianti per servizi igienici e
scarichi di cucina).
Trattandosi della realizzazione di un organismo edilizio completamente diverso da
quello preesistente (con mutamento della destinazione d’uso), ineccepibilmente ha
ritenuto la Corte territoriale che occorresse permesso di costruire.
2.2) Quanto alla eccepita prescrizione, a parte il fatto che non risulta che la
questione fosse stata oggetto di specifica doglianza con l’atto di gravame, dalla
motivazione della sentenza impugnata emerge, comunque, che i lavori erano, al
momento del sopralluogo del 16.1.2009, ancora in corso (erano in fase di
completamento le opere in precedenza descritte).
Ed è pacifico, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che in materia edilizia la
cessazione della permanenza e quindi la consumazione del reato si abbia solo con il
completamento dell’opera comprese le rifiniture; altra cosa è, invece, la nozione di
ultimazione contenuta nell’art.31 L.47 del 1985 (che anticipa tale momento a quello
della ultimazione della struttura) che è applicabile solo in materia di condono edilizio
(cfr. ex multis Cass.pen.sez.3 n.33013 del 3.6.2003; sez. 3 n.8172 del 27.1.2010;
Cass.sez.un. n.17178 del 24.10.2002).
Anche di recente, dopo il richiamo dell’orientamento di questa Corte sul concetto di
ultimazione dell’immobile abusivo, si è specificato che deve trattarsi di “…un edificio
concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come
si ricava dal disposto dell’art. 25, comma 1, del T.U., che fissa, entro quindici giorni
dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento, il termine per la presentazione
allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di agibilità. Le opere
devono essere, inoltre, valutate nel loro complesso, non potendosi, in base al concetto
unitario di costruzione, considerare separatamente i singoli componenti (Sez. 3″

OSSERVA

4048, 29 gennaio 2003; Sez. 3″ n. 34876, 9 settembre 2009). Tali caratteristiche
riguardano, inoltre, anche le parti che costituiscono annessi dell’abitazione (Sez. 3″ n.
8172, 2 marzo 2010).
2.2) Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere
la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento in favore
della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in
euro 1.000,00, ai sensi dell’art.616 c.p.p.
2.2.1) Va solo aggiunto che l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di
dichiarare la prescrizione maturata nel gennaio 2014 (essendo il termine massimo di
prescrizione, tenuto conto anche della interruzione ex artt.160 e 161 c.p., di anni
cinque) dopo l’emissione della sentenza impugnata.
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo
sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti
decisioni, ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta formazione del
giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido
perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con
eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art.606 comma 3),
precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente
maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere
davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab
instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di
assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico,
divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti
per essersi già formato il giudicato sostanziale”.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma 1’11.7.2014

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