Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33370 del 14/06/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 33370 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: IPPOLITO FRANCESCO

SENTENZA
sul ricorso proposto (la
Procuratore generale della Repubblica della Corte di Appello di Trento

nel procedimento penale nei confronti di
ANDRISANO Giulio, nato a Mesagne il 22/07/1960
e da
CROSINA Manuel, nato a Riva del Garda il 12/06/1986
MAGAGNINO Cristoforo, nato a Brindisi il 15/12/1970
LA BARBERA Giovanni, nato a Palermo il 02/03/1989
contro la sentenza della Corte di appello di Trento, emessa in data 02/04/2010;
– udita la relazione in camera di consiglio del cons. F. Ippolito;
– udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore
generale O. Cedrangolo che ha concluso per l’annullamento con rinvio per
Andrisano e per l’inammissibilità degli altri ricorsi;
Ritenuto in fatto
1. I quattro imputati sopra elencati, insieme ad altri coimputati, furono tratti
a giudizio per rispondere tutti del delitto cui agli artt, 110 cod. pen. e 74 d.P.R.
309/1990, nonché di vari episodi di violazione dell’art. 73 dello stesso d.P.R.; Giulio
Andrisano anche del reato di cui all’art. 9, comma secondo, I. 27 dicembre 1956, n.
1423; Giovanni La Barbera anche del delitto di concorso in estorsione in danno di
Abdou DIOP.

2. In esito a rito abbreviato, il giudice per l’udienza preliminare del tribunale
di Trenta condannò i quatto imputati per violazione dell’art. 73 d.P.R. 309/90,

Data Udienza: 14/06/2013

escludendo il reato associativo per tutti e il delitto di concorso in estorsione per il La
Barbera; condannò l’Andrisano per il delitto di cui all’art. 9 I. n. 1423/1956.
3. La Corte d’appello di Trento, con la decisione in epigrafe indicata ha
rigettato l’appello del P.M. sul reato associativo, ha derubricato i due fatti contestati
di reclusione; ha assolto l’Andrisano dal concorso in detenzione illecita di sostanza
stupefacente, determinando la pena per la violazione della residua violazione
dell’art. 9 cit. (ritenuta di natura contravvenzionale) in un anno e otto mesi di
arresto; ha rigettato l’appello del Magagnino e del Crosina, confermando la
condanna del primo alla pena di 4 anni di reclusione ed C 20.000 di multa e quella
del secondo alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione ed C 2.000 di multa.
4. Ricorrono per cassazione, con separati ricorsi, gli imputati Crosina, La
Barbera e Magagnino, nonché il Procuratore generale presso la Corte d’appello di
Trento, che impugna la sentenza limitatamente alla posizione di Giulio Andrisano.
Considerato in diritto

1. Il ricorso di Manuel Crosina è inammissibile. L’unico motivo dedotto, sotto
la rubrica della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, integra
una censura non consentita, prospettando genericamente l’esistenza di non meglio
precisati elementi soggettivi “travisati dalla Corte d’appello che fanno propendere
per una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella paventata (sicl n.d.r.) dai
giudici”.
2. Ugualmente inammissibile è il ricorso di Giovanni La Barbera, che
denuncia, ex art. 606.1 lett. e) c.p.p., mancanza e manifesta illogicità della
motivazione della sentenza, “essendo la stessa sentenza frutto di mere valutazioni
ed interpretazioni personali dei giudici in ordine all’accadimento dei fatti rispetto alle
prove contenute in atti”.
A tale generica censura, il ricorrente aggiunge che la Corte territoriale
avrebbe, semmai, dovuto ravvisare nella condotta dell’imputato gli estremi del
reato di detenzione di sostanze stupefacenti.
Francamente non si riesce a capire l’interesse dell’imputato a simile confusa

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al La Barbera in favoreggiamento reale continuato, determinando la pena in mesi 5

e più grave prospettazione delittuosa, che risulta ancor più singolare se si considera
che secondo il ricorrente “sotto tale profilo, il sig. La Barbera non è soggetto
imputabile, considerato che il reato suddetto può essere contestato solo nell’ipotesi
in cui il reo sia trovato in possesso di un ingente quantitativo di sostanza

3. Fondato è, invece, il ricorso di Cristoforo Magagnino, che – ex art. 606.1
lett. b) ed e) c.p.p. deduce erronea applicazione delle norma penale e vizio di
motivazione per mancanza e per manifesta illogicità motivazione della sentenza
Impugnata in riferimento agli specifici motivi dell’appellante, là dove criticava la
sentenza di primo grado e la contestazione originaria, nella parte in cui veniva
confuso il ruolo attribuito all’imputato nella negoziazione della droga (cedente o
acquirente) rispetto alle emergenze probatorie processuali.
Sul punto il giudice d’appello ha sbrigativamente rilevato che il primo
episodio che riguarda l’imputato “è quello relativo ad una cessione a lui fatta […] da
Loggia Sabrina, per un controvalore di 700 euro pagati dal Magagnino. Questo è il
fatto accertato quale risulta dalle intercettazioni e dalla relazione del R.O.S. dei C.C.
e quale, su tali basi, ben noto alla parte. Nella formulazione dell’accusa, però, per
evidente errore, i ruoli erano stati invertiti ed il Magagnino era stato indicato come
colui che aveva ricevuto 700 euro dalla Loggia a pagamento del i?rezzo di droga
cedutale”.
Osserva il Collegio che, a norma

dell’art. 429.1 lett.

c) c.p.p., la

contestazione consiste nell’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, con
l’indicazione dei relativi articoli di legge. Altrettanto chiaro e preciso deve essere
l’addebito ritenuto dal giudice che afferma la colpevolezza dell’imputato.
L’inversione di ruolo tra cedente e acquirente della droga è elemento rilevante e non
può essere liquidato con una superficiale sottovalutazione, ritenendo che la
condotta effettiva dell’imputato era da lui ben conosciuta, giacché sulla
contestazione e sull’addebito ritenuto dal giudice di primo grado – soprattutto
considerando che Sabrina Logghia è stata assolta dal giudice di primo grado per
non aver commesso il fatto – fu fondata la difesa dell’appellante, cosicché la
conclusione della Corte territoriale si traduce in una mancanza di correlazione tra
contestazione e condanna.
Analoga considerazione va fatto per l’episodio concernente il rapporto del

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stupefacente”.

Magagnino con il Lomma, cosicché la confusione di addebiti relativi al ricorrente
impone l’annullamento nei suoi confronti dell’intera sentenza impugnata e di quella
di primo grado, con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica di Trento
per l’ulteriore.

della legge penale, del Pubblico Ministero nei confronti di Giulio Andrisano in ordine
al reato continuato di cui al capo c) ed all’annullamento della statuizione di revoca
del condono concesso dalla Corte d’appello di Lecce, risultando evidente l’erronea
qualificazione giuridica operata dalla Corte territoriale per avere assegnato natura
contravvenzionale alla violazione dell’art. 9 della legge 27 dicembre 1956 n. 1423,
che ha invece natura delittuosa, quando – come nella specie – all’inosservanza degli
obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale, si aggiunge anche la
violazione dell’obbligo di soggiorno.
La sentenza va, perciò, annullata, nei confronti di Giulio Andrisano, con
rinvio ad altra sezione della Corte d’appello per nuovo giudizio.
5. All’inammissibilità dei ricorsi di Crosina e La Barbera segue la condanna
dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria, che
si ritiene adeguato determinare nella somma di 1.000 euro, in relazione alla natura
delle questioni dedotte.
P.Q.M.
La Corte in accoglimento del ricorso del PG annulla la sentenza impugnata nei
confronti di Andrisano Giulio limitatamente al reato di cui all’art.9 legge 27
dicembre 1956 n.1423 e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Sezione di Bolzano
della Corte di appello di Trento; annulla la medesima sentenza, nonché quella del 2
luglio 2009 del GUP del Tribunale di Trento, nei confronti di Magagnino Cristoforo e
dispone la trasmissione degli atti al P.M. presso il Tribunale di Trento per l’ulteriore
corso.
Dichiara inammissibili gli altri ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Roma, 14 giugno 2013

4. Va accolto anche il ricorso, per inosservanza ed erronea applicazione

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