Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33368 del 15/01/2013


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Penale Ord. Sez. 5 Num. 33368 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MICHELI PAOLO

ORDINANZA

nel procedimento per la correzione di errore materiale relativo al dispositivo della
sentenza n. 37302 emessa da questa Corte all’udienza del 12/06/2012

visti gli atti;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Edtlardo
Scardaccione, che h richiesto disporsi la correzione;
udito per Scipioni Coloniela e Del Pizzo Francesco l’Avv. Massimo Krogh, che ha
concluso rimettendotli alle determinazioni della Corte

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe, questa Corte così argomentava:

nit
i

1. Il Giudice per le indagic preliminari del Tribunale di Cuneo, con decreto del
15/04/2011, depositato il giorn successivo, dichiarava non luogo a provvedere su una
precedente richiesta dell’ufficio del P. M. in sede, di archiviazione del procedimento n.
545/2011 R.G.N.R., iscritto a carico di Daniela Scipioni e Francesco Del Pizzo per addebiti
di bancarotta. Contestualmente, revocava un’udienza già fissata in proposito per il 12
maggio successivo. Il provvedimento era redatto in calce ad una nota della Procura

Data Udienza: 15/01/2013

1. Il ricorso deve essere ritenuto inammissibile, riguardando un provvedimento non
suscettibile di impugnazione.
Innanzi tutto, va rilevato che nell’interesse della Scipioni e del Del Pizzo non si invoca
l’abnormità del decreto, testualmente definito quale atto «al limite dell’abnormità»: né,
del resto, potrebbe ritenersi abnorme un provvedimento da cui non risulta in alcun modo
derivata una qualunque stesi processuale, visto che l’effetto concreto che si produsse da
un lato non fu consegUenza delle determinazioni del G.i.p. (dipese bensì dalla revoca della
richiesta di archiviazione, atto del P. M.), e dall’altro comportò che la fase delle indagini
preliminari riprendesse pieno svolgimento.
Ciò premesso, ritiene la Corte che non sia prevista alcuna possibilità di impugnazione
avverso un decreto che si limiti a dichiarare il non luogo a provvedere su una richiesta di
archiviazione, prendendo atto della revoca di quest’ultima, e disponga non celebrarsi più
un’udienza camerale già programmata; rilievo che appare preliminare ed assorbente
rispetto alle stesse censure mosse dai ricorrenti. Nel caso in esame, non si ravvisa
peraltro alcuna violazione del principio di irretrattabilità dell’azione penale, non essendosi
esercitata per definizione alcuna azione penale laddove l’ufficio del P.M. si sia determinato
a richiedere l’archiviazione.
2. Infine, non sembra comunque meritevole di condivisione il principio affermato
nella sentenza diffusamente riportata nel corpo del ricorso (Cass., Sez. II, n. 10575 del
28/01/2003, Scuto), secondo cui il G.i.p. conserverebbe il potere di disporre lo
svolgimento di ulteriori indagini ex art. 409, comma 4, cod. proc. pen., pure a seguito di
revoca della richiesta di archiviazione: una volta revocata detta richiesta, infatti, il P.M.
torna ad essere titolane del potere-dovere di svolgere ogni attività di indagine che ritenga
necessaria, con Il solo limite dell’inutilizzabilità che derivi dall’eventualmente già
intervenuta scadenza dei termini previsti dall’art. 407 cod. proc. pen.. Non vi è alcuna
necessità di rinvenire altrove, in ipotesi in provvedimenti del G.i.p. e con riguardo soltanto
ad atti determinati, la fonte da cui promani il potere-dovere anzidetto: ergo, un’ordinanza
con la quale il G.i.p. disponga ulteriori indagini, in un caso siffatto, sarebbe inutiliter data.

2

generale della Repubblica presso la Corte di appello di Torino, con cui si revocava la
suddetta richiesta di archiviazione del P.M. di Cuneo, dandosi atto:
– che il procedimento era stato evocato dalla Procura generale con decreto del 12 aprile
2011;
– che il G.i.p. aveva appunto, su quella richiesta, fissato udienza camerale per il 12
maggio 2011;
– che a tale incombente l’ufficio del P.g. non avrebbe potuto presenziare, a causa di
udienze precedentemente fissate.
2. Hanno proposto ricorso per cessazione, articolato in un unico motivo, i difensori /
procuratori speciali delle persone sottoposte a indagini, deducendo inosservanza della
legge processuale, in relazione all’art. 178 cod. proc. pen., per difetto assoluto di
motivazione del decreto, nonché per violazione delle regole del contraddittorio e sulla
irretrattabilità dell’azione penale.
I ricorrenti segnalano che la stessa motivazione con cui la Procura generale aveva
dichiarato di revocare la richiesta di archiviazione doveva ritenersi al limite dell’abnormità,
essendo fondata non già su argomenti giuridici bensì su questioni di fatto irrilevanti
(essendo l’ufficio del P.M. impersonale) e non documentate; al limite dell’abnormità era
parimenti il decreto oggetto di gravame, avendo disposto la revoca unilaterale di
un’udienza già fissata, e che avrebbe dovuto prevedere il contraddittorio fra le parti,
quantomeno per consentire agli aventi diritto di discutere sulla ritualità o meno delle
ragioni evidenziate dal P.g. per dedurre la propria impossibilità di parteciparvi.
In ogni caso, sarebbero stati violati gli ara. 178 e 61 cod. proc. pen. in punto di
osservanza delle disposizioni sull’intervento dell’indagato e sull’obbligo del rispetto del
contraddittorio, sancito peraltro da numerosi arresti giurisprudenziali, anche della
C.E.D.U.; e sarebbe revvisabile altresì, come testualmente si esprimono i ricorrenti, «una
regressione dell’azione penale, già esercitata attraverso la richiesta di archiviazione. In
sostanza, nel caso concreto si è tolto al giudice un procedimento su cui lo stesso doveva
pronunciarsi; violandosi in tal modo anche l’art. 178, lett. b), cod. proc. pen. in tema di
irretrattabilità dell’azione penale». Su quest’ultimo punto, il ricorso richiama un
precedente giurisprudenziale (Cass., Sez. II, n. 10575 del 28 gennaio 2003, Scuto).
3. Gli stessi difensori, in replica alla requisitoria scritta del Procuratore generale,
hanno altresì depositato memoria in data 23/05/2012, insistendo per raccoglimento del
ricorso e ribadendo che il G.i.p. avrebbe dovuto, al più, differire l’udienza già fissata e non
revocarla, non potendo essere espropriato del potere decisorio di cui era stato ritualmente
investito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Già dal raffronto con l’ultima parte della motivazione, emerge con chiarezza
l’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza sopra riportata,
laddove la condanna alle spese del procedimento ed al versamento di una
somma in favore della Cassa delle Ammende, conseguente alla declaratoria di
inammissibilità, appare riguardare un solo ricorrente. Si impone pertanto la
correzione del provvedimento, nei termini di cui appresso.

P. Q. M.

Dispone la correzione del dispositivo della sentenza 12/06/2012 di questa
Sezione, n. 37302/2012, nel senso che alle parole “il ricorrente”, deve essere
sostituita la dicitura “i ricorrenti, ciascuno,”; provveda la Cancelleria alle
annotazioni di rito.

Così deciso il 15/01/2013.

Del resto, a ben diverse conclusioni dovrebbe pervenirsi, come si ricava dalle
indicazioni di un precedente giurisprudenziale ben più aderente alla fattispecie concreta,
qualora il G.i.p. si pronunci per l’archiviazione: ciò in quanto «il Pubblico Ministero può
sempre revocare la richiesta di archiviazione sulla quale il Giudice non si sia ancora
pronunciato, per cui è da ritenere abnorme il provvedimento con il quale il Giudice per le
Indagini preliminari, in presenza dl detta revoca, disponga invece l’archiviazione» (Cass.,
Sez. H, n. 18774 de118/04/2007, Battisti, Rv 236405).
3. Dalla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna di ciascun ricorrente al
pagamento delle spese del grado, nonché al versamento della sanzione pecuniaria di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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