Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33367 del 11/07/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 33367 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ROSSIT ANTONIO N. IL 16/11/1959
PASCOLO SANDRO N. IL 06/06/1950
avverso la sentenza n. 747/2011 TRIBUNALE di GORIZIA, del
19/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 11/07/2014

1) Con sentenza del 19.7.2012 il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, ha
condannato Rossit Antonio e Pascolo Sandro alla pena di euro 4.000,00 di ammenda
ciascuno per il reato di cui agli artt.110 c.p. e 256 co.1 lett.a) D.L.vo 152/2006.
Ricorrono per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore, denunciando l’omessa
motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Con memoria, depositata in cancelleria in data 24.6.2014, si deduce che il ricorso è
ammissibile, non avendo il Tribunale indicato a che titolo (dolo o colpa) sia stata
affermata la penale responsabilità degli imputati.
2) Il ricorso è manifestamente infondato.
2.1) Il Tribunale, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha ritenuto la
sussistenza del reato contestato sotto il profilo oggettivo e soggettivo. Attraverso il
puntuale esame delle risultanze processuali ha accertato, invero, che il materiale
stoccato era costituito da rifiuti speciali non pericolosi e che la condotta era
riferibile agli imputati nella loro qualità, rispettivamente, di responsabile della
“Costruzioni Rossit s.r.l.” (il Rossit) e responsabile tecnico della medesima ditta (il
Pascolo).
.
Ha richiamato, quindi, il Tribunale, ineccepibilmente, il ruolo di garanzia ricoperto da
entrambi per il rispetto della normativa vigente e per il corretto svolgimento
dell’attività di gestione dei rifiuti. Sia il Rossit e che il Pascolo avevano, invero,
precisi “obblighi” in relazione a tale osservanza. E dalla motivazione complessiva della
sentenza risulta chiaramente che entrambi sono venuti meno a tali “obblighi”.
E’ indubitabile, invero, che in tema di gestione dei rifiuti, le responsabilità per la sua
corretta effettuazione, incombano su tutti i soggetti coinvolti nell’esercizio
dell’attività (cfr.ex multis Cass.pen.sez.3 n.6420 del 7.11.2007, dep.11.2.2008).
2.2) Per escludere, poi, la responsabilità nelle contravvenzioni è necessario che
l’imputato provi di aver fatto quanto era possibile per osservare la legge e che quindi
nessun rimprovero può essergli mosso neppure per negligenza o imprudenza. La buona
fede acquista giuridica rilevanza solo se si risolva, a causa di un elemento estraneo
all’agente, in uno stato soggettivo che sia tale da escludere anche la colpa. Sicché la
buona fede può esentare da responsabilità penale soltanto se il soggetto abbia violato
la legge per cause indipendenti dalla sua volontà: la violazione della norma deve
apparire, cioè, determinata da errore inevitabile che si identifica con il caso fortuito
o la forza maggiore. Ne consegue che, in presenza di un reato, completo in tutti i suoi
elementi costitutivi (come nel caso di specie), incombe all’imputato l’onere di provare
di aver fatto tutto il possibile per osservare la norma violata senza che ciò integri
alcuna inversione dell’onere della prova (cfr. ex multis Cass. sez. 1 n.13365/2013).
2.3) Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento in
favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo

OSSERVA

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 ciascuno alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma 1’11.7.2014

c.p.p.
dell’art.616
ai
sensi
1.000,00
ciascuno,
in
euro
determinare
2.3.1) Va solo aggiunto che l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di
rilevare la prescrizione, maturata dopo l’emissione della sentenza impugnata.
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a Sezioni Unite (per ultimo
sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti
decisioni, ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta formazione del
giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido
perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con
eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art.606 comma 3),
precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente
maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere
davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab
instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di
assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico,
divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti
per essersi già formato il giudicato sostanziale”.

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