Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33336 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33336 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPUANO ROSARIO N. IL 17/09/1965
ESPOSITO LUIGI N. IL 04/06/1960
FERRARA ANGELO N. IL 29/10/1968
GAROFANO GIUSEPPINA N. IL 08/08/1963
IMPROTA BRUNO N. IL 08/08/1963
LISO LEONARDO N. IL 14/01/1977
MONTANINO ANTONIO N. IL 06/11/1977
PANEBIANCO CARLO N. IL 04/11/1952
PASCUAS OLAYA LUIS ENRIQUE N. IL 19/10/1965
RENNELLA MARIO N. IL 15/09/1958
RUSSO ANTONIO N. IL 11/01/1976
SACCO CARMINE N. IL 09/10/1980
avverso la sentenza n. 833/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
05/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha conc

Data Udienza: 05/04/2013

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.Aldo

nei confronti di Esposito Luigi, Garofano Giuseppina, Improta Bruno, Capuano
Rosario, Russo Antonio, Pascuas Olaya Luis Enrique e Sacco Carmine;
l’annullamento con rinvio limitatamente all’art.7 1.203/91, con rigetto nel resto per
Ferrara Angelo, Liso Leonardo, Rennella Mario, e Panebianco Carlo;
L’annullamento senza rinvio limitatamente al capo 27 e all’art.7. 1.203/91, con
rigetto nel resto, nei confronti di Montanino Antonio.
Uditi i difensori avv.Gaetano Balice e Michele Vittorio Anelli, difensori di fiducia di
Leonardo Liso, avv.Massimo Caiano, difensore di fiducia di Carlo Panebianco e
quale sostituto processuale dell’avv.Domenico Dello Iacono, difensore di fiducia di
Angelo Ferrara, avv.JVIanfredo Fiermonti difensore di fiducia di Pascuas Olaya Luis
Enrique che hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9.7.2010, a seguito di rito abbreviato, il GUP presso il
Tribunale di Napoli dichiarò i ricorrenti, unitamente ad altri imputati
responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti (associazione ex art.74 dpr
309/90 allo scopo di commettere più delitti tra quelli di cui all’art.73 del dpr
309/90, con l’aggravante di cui all’art.7 1.203/91 e varie ipotesi di delitti di
cui all’art.73 dpr 309/90), e li condannò alle pene di cui alla sentenza.
Avverso tale pronunzia proposero gravame i difensori dei ricorrenti
nonché altri imputati, e la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del
5.12.2011, disponeva correggersi l’errore materiale contenuto nella sentenza
di primo grado nella formulazione del capo 2) nel senso che, dopo le parole

Policastro, che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili

”del delitto p. e p. dall’art.74 commi 1, 2, e 3 del dpr 309/90″ devono
intendersi inserite le parole “e 7 della legge 203/91” e dopo le parole “in
numero superiore a dieci” devono intendersi aggiunte le seguenti “con
l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’organizzazione
camorristica diretta da Di Lauro Paolo, operante in Napoli, quartiere di
Secondigliano e nei Comuni di Melito, Mugnano, Arzano e Casavatore ed

avvalendosi delle condizioni di cui all’art.416 bis cp”, nonché l’errore
materiale contenuto nella formulazione del capo 3) nel senso che dopo le
parole “del delitto p. e p. dall’art.74 commi 1, 2, e 3 del dpr 309/90” devono
intendersi inserite le parole “e 7 della legge 203/91” e dopo le parole “in
numero superiore a dieci” devono intendersi aggiunte le seguenti “con
l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare le organizzazioni
camorristiche denominate clan Licciardi e Alleanza di Secondigliano,
operanti in Napoli, ed avvalendosi delle condizioni di cui all’art.416 bis cp”,
e, per quanto riguarda gli attuali ricorrenti: assolveva Panebianco Carlo dai
reati di cui ai capi 27, 29, e 31, e rideterminava la pena nei suoi confronti per
le residue imputazioni già unificate ai sensi dell’art.81 cpv c.p. con i fatti di
cui alla sentenza della Corte d’Appello di Palermo del 4.5.2005, irrevocabile il
4.3.2006, in anni dieci mesi quattro di reclusione, rideterminava la pena per
Esposito Luigi in anni sei mesi quattro di reclusione ed euro trentamila di
multa, per Improta Bruno in anni tre mesi sei di reclusione ed euro
diciottomila di multa, per Russo Antonio in anni dieci e mesi otto di
reclusione, per Sacco Carmine in anni tre mesi otto di reclusione.
Confermava nel resto la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione l’imputato CAPUANO Rosario, deducendo la
violazione dell’art.606 lett.c) e) c.p.p., in relazione all’art.530 co.2 c.p.p.per
errata interpretazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità
della motivazione, in relazione al giudizio di responsabilità;
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, ESPOSITO Luigi,
deducendo la violazione dell’art.606 lett.b) e) c.p.p., per errata
interpretazione dell’art.129 c.p.p., mancanza e manifesta illogicità della
motivazione, in relazione al giudizio di responsabilità;
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Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, FERRARA Angelo,
deducendo: 1) la violazione dell’art.606 lett.c) e) c.p.p. per errata
interpretazione della legge penale e illogica motivazione in relazione all’art.7
d.1.152/1991;
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, GAROFANO
Giuseppina, deducendo la violazione dell’art.606 lett.b) e) c.p.p. per

inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale in relazione

all’art.80 d.p.r. 309/1990 e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione in punto responsabilità e sussistenza dell’aggravante
contestata.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato IMPROTA Bruno,
deducendo: 1) la violazione dell’art.606 lett.b)c) e) c.p.p.in relazione agli
artt.129, 110 c.p., 73 e 80 dpr 309/1990e
Aitrr
u
er errata interpretazione della legge
,
penale e omessa valutazione d g a ine del proscioglimento a seguito della
rinuncia dei motivi di appello ad eccezione di quelli relativi alla pena; 2) la
violazione dell’art406 lett. b) ed e) per errata interpretazione della legge
penale e mancanza, illogicità e contraddittorietà delle motivazioni in punto
determinazione della pena;
Ricorre per

(p assazione il difensore dell’imputato

LISO Leonardo,

avv.Gaetano Ba1k4 deducendo: 1) la violazione dell’art.606 lett. b) ed e)
c.p.p. per inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale in
relazione all’art.74 dpr 309/1990, mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione in punto responsabilità nella parte in cui si
afferma che il Liso aveva contatti solo con Venditti Salvatore e al contempo si
inserisce il Liso nel reato associativo; 2) la violazione dell’art.606 lett. b) c.p.p.
per inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale in
relazione all’art.73 dpr 309/90 in relazione ai capi 66 e 73, inosservanza del
principio “in dubio pro reo”; 3) la violazione dell’art.606 lett. b) e) c.p.p. per
inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale in relazione
all’art.7 1.203/91, e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione nella parte in cui nel capo di imputazione si afferma che la

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condotta era finalizzata ad agevolare il clan Licciardi mentre a pagina 19 si
afferma che la droga doveva pervenire al clan Sacco.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato

LISO Leonardo,

avv.Michele Vittorio Anelli, deducendo: 1) la violazione dell’art.606 lett.b)e)
c.p.p. per errata interpretazione della legge penale e carenza e manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento

psicologico e materiale del reato associativo, ritenuto semplicisticamente
sulla sola deduzione circa l’attività di spaccio tra il Liso e il Venditti; 2) la
violazione dell’art.606 lett. e) per mancanza, illogicità e contraddittorietà
delle motivazioni in relazione a tutti i capi di imputazione di cui all’art.73
dpr 309/1990; 3) la violazione dell’art.606 lett. e) c.p.p. per mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
sussistenza dell’aggravante di cui all’art.7 1.n.203/ 91; 4) la violazione
dell’art.606 lett. e) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, MONTANINO
Antonio, deducenclo: 1) la violazione dell’art.606 lett.b)c) e) c.p.p. errata
interpretazione della legge penale, mancanza, illogicità e contraddittorietà
delle motivazioni in relazione alla sussistenza dei reati di cui agli artt.74 e 73
dpr 309/1990, in considerazione dell’intervento marginale e del tutto
neutrale dell’imputato (conversazioni nn.29 e 30 del 29.7.2002), e di una sola
intercettazione del tutto irrilevante (in riferimento alla paventata cessione a
tali “Gnomo e Davide”) sulla base della quale illogicamente è stato dedotto
che l’imputato è correo di Russo Antonio; e in particolare in relazione al capo
27, in riferimento al quale nonostante che la Corte d’Appello escluda il
coinvolgimento del ricorrente dai fatti in parole, l’intervento del Montanino
diviene “non occasionale” ma “usuale”, e la “conoscenza” della vicenda si
tramuta in un interesse funzionale alla realizzazione dell’evento. La sentenza
trae poi lo stabile inserimento nell’organizzazione dell’imputato dal ruolo di
rilievo nel gruppo, ma le fonti probatorie segnalate nella descrizione dei
singoli reati fine al più inseriscono la condotta del Montanino nella fase di
vendita al dettaglio della droga, senza cenno alcuno alla paventata gestion

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della “contabilità”; 2) la violazione dell’art.606 lett. b) c) ed e) c.p.p. per
inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale e mancanza,
e contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto
sussistenza dell’aggravante di cui all’art.7 1.n.203/1991, non desumendosi in
alcun modo dal contesto probatorio che il reato associativo contestato al capo
2 fosse riconducibile ad un più ampio contesto associativo; 3) la violazione

dell’art.606 lett. b) ed e) c.p.p. per inosservanza ed errata applicazione di
norme della legge penale e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione in ordine alla determinazione della pena e sulla mancata
concessione delle attenuanti generiche.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, PANEBIANCO Carlo
deducendo: 1) la violazione dell’art.606 lett.b) c) ed e) c.p.p. per errata
interpretazione della legge penale, mancanza, illogicità e contraddittorietà
delle motivazioni in relazione agli artt. 292 e 192 c.p.p. e all’art.74 dpr
309/90; 2) la violazione dell’art.606 lett.b)c) ed e) per errata interpretazione
della legge penale,4nancanza, illogicità e contraddittorietà delle motivazioni
in relazione all’art.7 L.203/91; 3) la violazione dell’art.606 lett.b)c) ed e) per
errata interpretazione della legge penale,mancanza, illogicità e
contraddittorietà delle motivazioni in relazione all’art. 73 dpr 309/90. In
relazione al reato Osociativo le argomentazioni della sentenza sono del tutto
contraddittorie e non tengono conto delle argomentazioni di cui all’appello,
“contraddicendo in maniera evidente l’accertata estraneità del ricorrente alle
condotte di cui ai capi 27, 29, 31. Le due condotte attribuite all’imputato
risalgono al 12.9.2002 e al 28.9.2002 (capi 36 e 38); tale circostanza di fatto
contraddice e smentisce la ritenuta continuità e stabilità nel rapporto
associativo. A ciò aggiungasi che non risulta il ruolo ricoperto dal
Panebianco nell’associazione, indicato genericamente come
“fiancheggiatore”, e che dagli atti risultano solo gli episodi di cui ai capi 36 e
38 che coinvolgevano il Panebianco con i coimputati Russo e Ferrara, ritenuti
intranei al gruppo. L’impugnata sentenza non ha indicato alcun elemento
sulla scorta del quale poter pervenire all’affermazione che il Panebianco
abbia inteso agevolare le attività dell’organizzazione camorristica indicata al
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capo 2 della rubrica. L’unico argomento utilizzato è rappresentato dalla
deduzione che tutti gli atti di cessione e/ o mera detenzione di sostanza
stupefacente contestati nell’indagine venivano svolti nell’interesse di un
gruppo operante nel territorio controllato dal clan Di Lauro. Quanto ai
singoli capi di imputazione per violazioni all’art.73 dpr 309/90, manca la
prova della cessione di alcuni provini di sostanza stupefacente alla coppia

Russo-Ferrara in rappresentazione del Montanino (capo 36),
dell’attribuibilità al Panebiano delle conversazioni telefoniche captate (capo
37), del concorso nelle condotte della coppia Russo-Ferrara(capo 38),
dell’imputabilità al Panebiaco dei fatti di cui ai capi 39, 40 e 41. In
particolare, per quanto riguarda il capo 40 nulla riferiscono i verbalizzanti
circa l’occultamento della sostanza stupefacente effettuato dal Donatiello
all’interno dell’autovettura al momento dell’uscita dall’abitazione del
Panebianco.; 4) la violazione dell’art.606 lett.b)c) ed e) per errata
interpretazione della legge penale,mancanza, illogicità e contraddittorietà
delle motivazioni ln relazione agli artt.81 e 133 c.p. I fatti giudicati con la
sentenza della Corte d’appello di Palermo vanno individuati come più gravi
rispetto ai fatti giuOicati con la sentenza impugnata attesa la omogeneità dei
beni giuridici e la pratica contestualità delle condotte.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, PASCUAS OLAYA
Luis Enrique, deducendo: 1) la violazione dell’art.606 co.1 lett. b) ed e) c.p.p.
per inosservanza ed errata applicazione di norme della legge penale in
relazione agli artt. 81 c.p. e 671 c.p.p. e mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione in quanto nonostante che altri Giudici
di merito abbiano riconosciuto il vincolo della continuazione tra i delitti
oggetto delle diverse sentenze tra cui quella in cui l’attuale ricorrente appare
con vecchio pseudonimo (alias), la Corte d’Appello ha rigettato la specifica
doglianza affermando apoditticamente che l’odierno ricorrente non sarebbe
“…la persona giudicata dalla Corte d’appello di Napoli”; 2) la violazione
dell’art.606 lett. b) ed e) c.p.p. per inosservanza ed errata applicazione di
norme della legge penale in relazione all’art.8. L.n.203/ 91 e mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sul punto, non
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essendo stata concessa l’attenuante in parola nonostante il suo status di
collaboratore; 3) la violazione dell’art.606 lett. b) ed e) c.p.p. per inosservanza
ed errata applicazione di norme della legge penale in relazione all’art.133 c.p.
e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in
ordine alla determinazione della pena e sulla mancata concessione delle
attenuanti generiche.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, RENNELLA Mario,
deducendo: la violazione dell’art.606 lett. e) per mancanza, illogicità e
contraddittorietà delle motivazioni in relazione a)al giudizio di
responsabilità pet il reato associativo, stante il ruolo assolutamente
marginale dell’imputato, b) alla mancata concessione per le ipotesi delittuose
di cui all’art.73 dpr 309/90 dell’attenuante di cui al quinto comma,
nonostante che l’imputato, quale assaggiatore venisse in possesso solo di
campioni in quantità minima, c) all’aggravante di cui all’art.7 1.203/91 in
riferimento alla quOe manca la prova dell’elemento psicologico del reato.
Ricorre per Oassazione l’imputato, RUSSO

Antonio, deducendo la

violazione dell’art.606 lett. e) c.p.p. mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena e alla
disciplina di cui all’art.63 co.4 c.p. in presenza di più aggravanti ad effetto
speciale.
Ricorre per cassazione l’imputato SACCO Carmine, deducendo la
violazione de1l’art606 lett. e) per mancanza, illogicità e contraddittorietà
delle motivazioni in ordine alla determinazione della pena senza alcuna
valutazione circa la collaborazione prestata nel corso delle indagini.
Chiedono tutti l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

1. CAPUANO Rosario.
Il ricorso è inammissibile in quanto privo della specificità, prescritta
dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p., a fronte delle
motivazioni svolte dal giudice d’appello, che non risultano viziate da
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illogicità manifeste. La motivazione della Corte territoriale, che va
necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti,
di primo grado, si appalesa completa, priva di vizi logici, del tutto aderente
alle premesse fatttsli acquisite in atti, compatibile con il senso comune; ciò in
quanto nell’impugnata sentenza i detti giudici hanno proceduto ad una
coerente ricostruzione dei fatti e ad una corretta valutazione dei dati

snoda attraverso tiri iter argomentativo nel quale sono stati enunciati i fatti
probatori ( convosazioni telefoniche e ambientali; incontri significativi e
rapporti dell’imputato con Boccia Tommaso e Russo Antonio v.pag.10 della
sentenza impugnata ) ed esplicitato il processo logico posto a sostegno della
valutazione effettuata anche in riferimento alla pena adeguata all’entità dei
fatti e alla personalità dell’imputato gravato da recidiva specifica e reiterata,
e che non consente a questa Corte di legittimità di procedere ad una diversa
lettura dei dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove.
2. ESPOSTO Luigi.
Il ricorso è i4ammissibile in relazione ad entrambi i motivi. Per quanto
riguarda la denunciata omessa motivazione in relazione all’art.129 c.p., rileva
il Collegio che l’imputato ha rinunciato a tutti i motivi d’appello ad eccezione
di quello relativo alla misura della pena, e che questa Corte ha affermato i
principi, condivisi da questo Collegio, che la rinuncia ai motivi ha effetti
preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di
legittimità, in quanto l’effetto devolutivo dell’impugnazione circoscrive la
cognizione del giudice del gravame ai soli punti della decisione ai quali si
riferiscono i motivi proposti (cfr.Cass.Sez.II, Sent. n. 3593 /2010 Rv. 249269),
e che, a seguito dell’abrogazione del c.d. patteggiamento in appello (art. 599,
commi quarto e quinto, cod. proc. pen.), la rinunzia parziale ai motivi di
appello deve ritenersi incondizionata e determina il passaggio in giudicato
della sentenza gravata limitatamente ai capi oggetto di rinunzia; ne consegue
che la Corte di appello non ha l’onere di motivare in ordine ad essi
(cfr.Cass.Sez.II, Sent. n. 46053/2012 Rv. 255069). Per quanto concerne, invece,
la pena, è sufficiente osservare che si tratta di una doglianza del tutto

probatori, con una motivazione fondata su precisi elementi di giudizio, che si

generica, priva di qualsivoglia elemento di collegamento con la vicenda
concreta sottoposta all’esame della Corte e, in quanto tale, del tutto inidonea
ad introdurre legittimamente il ricorso davanti a questa Corte.
3. FERRARA Angelo
Con un unico motivo, il Ferrara censura la sentenza nella parte in cui ha
affermato la sussistenza dell’aggravante di cui all’art.7 d.1.152/1991 sulla

stupefacente di due soggetti, quali il Montanino e il Russo, asserendo, senza
alcun riscontro oggettivo che l’area geografica ove tale attività illecita
insisteva era sottoposta all’egemonia del Clan Di Lauro e, pertanto, ad esso
direttamente riconducibile. E in atti, al di là del mero rapporto di parentela di
Montanino Antonio con il germano ucciso nella faida tra il clan Di Lauro e il
gruppo degli scissionisti, non vi è una sola sentenza, ovvero informativa di
polizia giudiziaria, dalla quale emerga che l’attività illecita sanzionata era
rivolta ad agevolare un’associazione di tipo mafioso.
Il motivo è infondato.
3.1 La “ratio” dell’art.7 D.L. n. 152 del 1991, convertito in legge n. 203
del 1991, secondo cui i delitti devono essere commessi avvalendosi delle
condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività di
associazioni di tipo mafioso, non è solo quella di aggravare la pena per chi
utilizza metodi mafiosi o agisce al fine di agevolare associazioni mafiose, ma
anche nei confronti di chi – pur non organicamente inquadrato in tali
associazioni – agisca con metodi mafiosi o, comunque, dia un contributo al
raggiungimento dei fini di un’associazione mafiosa (v.Cass.Sez.II, Sent. n.
44402/2004 Rv. 231010). La norma prevede due ipotesi distinte, quantunque
logicamente connesse. La prima ricorre quando l’agente o gli agenti, pur
senza essere partecipi o concorrere in reati associativi, delinquono con
metodo mafioso. In tal caso non è necessario che l’associazione mafiosa,
costituente il logico presupposto della più grave condotta dell’agente, sia in
concreto precisamente delineata come entità ontologicamente presente nella
realtà fenomenica; essa può essere anche semplicemente presumibile, nel
senso che la condotta stessa, per le modalità che la distinguono, sia già di per

mera scorta della partecipazione al sodalizio finalizzato alla cessione dello

sé tale da evocare nel soggetto passivo l’esistenza di consorterie e sodalizi
amplificatori della valenza criminale del reato commesso. La seconda,
postulando che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l’attività
di un’associazione di tipo mafioso, implica invece necessariamente l’esistenza
reale, e non più semplicemente supposta, di un’associazione di stampo
mafioso, essendo impensabile un aggravamento di pena per il

favoreggiamento di un sodalizio semplicemente evocato (cfr.Cass.Sez.I, Sent.
n. 1327/1994).
L’aggravante in questione, in entrambe le forme in cui può atteggiarsi, è
applicabile a tutti coloro che, in concreto, ne realizzano gli estremi, sia che
essi siano partecipi di un sodalizio di stampo mafioso sia che risultino ad
esso estranei (v. Cass.Sez. Un. 22 gennaio 2001, n. 10; Sez.I, Sent. n.
17532/2012 Rv. 252649; Sez.II, Sent.n. 20228/2006 Rv.234651). La circostanza
aggravante in questione – integrata dalla finalità di agevolare l’associazione
di tipo mafioso – ba poi natura oggettiva e si trasmette, pertanto, a tutti i
concorrenti nel regto, di guisa che è sufficiente che l’aspetto volitivo espresso nella norma con il riferimento al “fine di agevolare” l’associazione
mafiosa – sussista in capo ad alcuni, o anche ad uno soltanto, dei predetti
concorrenti nel medesimo reato (v.Cass.Sez.V, Sent. n. 10966/2012 Rv.
255206)
3.2 Tanto premesso, rileva il Collegio che la motivazione della sentenza
impugnata, sul punto, supera il vaglio di legittimità demandato a questa
Corte, alla quale non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata
valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad
una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal
giudice del merito.
A riguardo, è poi sufficiente osservare che la sussistenza
dell’aggravante non è stata ravvisata, come asserito dal ricorrente (e in modo
analogo anche dagli altri imputati, che hanno dedotto lo stesso motivo) sulla
base di una mera presunzione in relazione al contesto territoriale ed
ambientale, pacificamente caratterizzato dalla presenza invasiva e diffusa di

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consorterie camorristiche, bensì sulla valutazione di specifici elementi
probatori.
3.3 La motivazione della Corte territoriale, che pur sinteticamente ha
risposto a tutti i motivi d’appello, ivi compreso quello sulla sussistenza della
contestata aggravante, va poi necessariamente integrata con quella di primo
grado, nella quale il giudice dell’udienza preliminare indica, tra gli elementi

alcune sentenze con autorità di giudicato che hanno accertato l’esistenza
delle organizzazioni criminali denominate clan Di Lauro e Alleanza di
Secondigliano, ed osserva che a far riferire le condotte partecipative alla
organizzazione di cui ai capi 2) e 3) rispettivamente ai clan Di Lauro e
Licciardi e all’Alleanza di Secondigliano contribuisce, per il capo 2) la
sentenza del Gup presso il Tribunale di Napoli del 26 aprile 2006, che ha
accertato come il clan facente capo a Paolo Di Lauro effettuasse un controllo
capillare sul territorio e traesse le sue maggiori fonti di guadagno proprio
dalla gestione diretta o indiretta di tutte le attività legate al traffico di
stupefacenti, sia cpn riferimento alle importazioni che allo smercio sul
mercato dello stessp. Ugualmente è a dirsi con riferimento all’ipotesi di cui al
capo 3), anche in virtù delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e in
particolare di Sacco Carmine, che ha indicato “le piazze di droga”(tra le quali
la 167 gestita da Sacco Claudio e Selva Giacomo, quella di eroina gestita da
Massimo Vacca e Rennella Mario, passate sotto la gestione degli scissionisti,
dietro compenso di euro 10.000,00 al mese), e il sistema posto in essere dai
clan: chi provvedeva alle vendite e gestiva una piazza era obbligato o a
ricevere un apporto mensile rinunciando ai guadagni ovvero a rifornirsi “a
sistema”, acquistando da persone indicate dal clan Sacco-Bocchetti. Il
controllo nel settore della droga da parte delle organizzazioni camorristiche
era tale da prevedere, infatti, anche acquisti pilotati ricorrendo a soggetti
indicati quali “canali ufficiali”. Nella medesima sentenza, e in riferimento a
tutti gli imputati al quale è stata contestata e ritenuta sussistente l’aggravante
in questione, si specifica poi che la consapevolezza di attuare una propria
personale condotta di fatto ausiliatrice di un gruppo camorristico si coniuga

probatori presi in considerazione ai fini dell’aggravante di cui all’art.7,

ad una cosciente relazione di diretta causalità efficiente rispetto al sostegno
reso agli scopi di arricchimento del gruppo camorristico, “ponendosi il
traffico di droga come una forma di autofinanziamento dell’associazione
mafiosa” (v.pagg.31,37 e 38, 1095 e 1096 della sentenza di primo grado).
3.4 Per quanto riguarda, in particolare, la posizione del Ferrara si
evidenzia che lo siesso risulta inserito nel gruppo di trafficanti che avevano

la loro sede nel lotto U nella zona di Scarnpia-Napoli, in rapporto di
dipendenza dal Rtisso Antonio, all’interno del gruppo gestito da Montanino
Fulvio; e che la vicinanza diretta del Ferrara a soggetti quali il Montanino ed
il Russo in un contesto che, come acquisito in modo oggettivo anche dalle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e rimasto accertato nella sentenza
del Gup del Tribunale di Napoli del 26.4.2006, era gestito da Paolo Di Lauro,
rende certa la ricorrenza dell’aggravante in questione (v.pag.1090 della
sentenza di primo grado)
4.GAROFAN9 Giuseppina
4.1 Il primo Motivo del ricorso della Garofano è privo della specificità,
prescritta dall’art. 481, lett. c), in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p., a fronte
delle motivazioni ~lie dal giudice d’appello, che non risultano viziate da
illogicità manifeste. Rileva, infatti, a riguardo la Corte che dalle
conversazioni oggetto di intercettazione emerge chiaramente il
coinvolgimento dell’imputata in quanto il Lentano, recatosi in Spagna per
l’approvigionamentp della sostanza stupefacente, dall’estero teneva
costantemente informata la Garofano dell’esito del viaggio e sollecitava dalla
stessa l’invio di notevoli somme di danaro necessarie per l’acquisto della
droga (dai due ai tre-quattro milioni all’occorrenza, v.pag.15 della sentenza
impugnata).
4.2 Il secondo motivo è infondato. Come ben evidenziano i giudici di
merito, nelle conversazioni captate è chiaro il riferimento all’acquisto di
ingenti quantitativi di droga per svariati chilogrammi di cocaina (dieci e più
chili); in particolare in una conversazione il Lentano incarica la Garofano di
riferire al Bocchetti di aver ricevuto dieci giacchette, ossia dieci chili di droga,
e in altre parla di somme consistenti per l’acquisto dello stupefacen
12

(v.pag.15 della sentenza impugnata) A ciò aggiungasi che il Lentano aveva
manifestato nel corso di una conversazione di voler entrare in contatto con
Diaferio Pasqualè, arrestato poi dalla polizia iberica nel corso di
un’operazione nells quale venivano sequestrati circa ventidue chili di cocaina
e un chilo di erotha(v.pag.538 della sentenza di primo grado). Lo stesso
Lentano, dopo il viaggio in Spagna, viene tratto in arresto il 19.2.2003 e

trovato in possesso di un chilogrammo di cocaina, mentre in altra occasione
(dicembre 2002) era stata oggetto di sequestro altro quantitativo della stessa
sostanza del peso 4i 365 grammi, sicchè la sussistenza dell’aggravante di cui
all’art.80 del d.p.r. 309/90 appare congruamente motivata, nel pieno rispetto
del principio di diritto enunciato di recente da questa Corte (v.S.U.
sent.n.36285/ 2012 Rv.253150, per la quale non è di norma ravvisabile
l’aggravante dell’ingente quantitativo, quando la quantità di stupefacente sia
inferiore a 2000 volte il valore massimo in milligrammi determinato per ogni
sostanza nella tabega allegata al d.m.11.4.2006), essendo il valore soglia della
cocaina di 750 mill!gramrni. In tema di detenzione di sostanze stupefacenti,
l’aggravante della itigente quantità è poi configurabile anche se la materiale
disponibilità della Sostanza sia frazionata tra più persone (cfr.Cass.Sez.VI,
sent.n.47984/ 2012 gv 254276).

5. IMPROTA Bruno
Il ricorso è inagnmissibile in relazione ad entrambi i motivi, per le stesse
ragioni di cui al punto 2 in relazione al ricorso dell’Esposito. Anche l’Improta
ha rinunciato in sede d’appello a tutti i motivi ad eccezione di quelli sulla
pena. Del tutto generiche le doglianze sulla pena, oggetto di riduzione in
appello per la coressione delle circostanze attenuanti con giudizio di
prevalenza.

6. LISO Leonsrdo
6.1 II primo e il secondo motivo del ricorso dell’avv.Balice sono del
tutto analoghi al primo e secondo motivo del ricorso dell’avv.Anelli; i motivi
in questione sono tutti privi della specificità, prescritta dall’art. 581, lett. c), in
relazione all’art 591 lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni svolte dal giudice
d’appello, che non risultano viziate da illogicità manifeste. La Corte

13

territoriale, con ampia e logica motivazione, ha risposto a tutti i motivi
d’appello, pur ritenuti affetti da assoluta genericità, indicando gli elementi di
prova sia in ordine ai singoli episodi contestati ai sensi dell’art.73 dpr 309/90
che in ordine al reato associativo, ed evidenziando la condotta svolta
dall’indagato in modo stabile e continuativo nell’attività di reperimento di
sostanze stupefacenti, per rifornire il Venditti per la successiva cessione ad

esponenti del gruppo di Sacco Claudio.
6.2 Con il terzo motivo di entrambi i ricorsi, il Liso lamenta l’erronea
applicazione della legge penale in relazione all’art.7 della legge 203 del 1991 e
la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui afferma che la droga
doveva pervenire al clan Sacco, mentre nel capo di imputazione la condotta
viene descritta come finalizzata ad agevolare il clan Licciardi.
I motivi sono infondati.
Premesso circa l’aggravante in questione quanto sopra rilevato ai punti
3.1, 3.2, e 3.3, rileva il Collegio che al capo 3 di imputazione l’aggravante
viene contestata per aver commesso il fatto “al fine di agevolare le
organizzazioni carnorristiche denominate clan Licciardi e Alleanza di
Secondigliano, operanti in Napoli, ed avvalendosi delle condizioni di cui
all’art.416 bis cp”, e il ricorrente ben sa che il clan Sacco, e il clan SaccoBocchetti, per un periodo alleati del clan Licciardi, facevano tutti parte della
c.d. Alleanza di Secondigliano, di cui si parla diffusamente nella sentenza di
primo grado in riferimento al suddetto capo di imputazione, e alle
dichiarazioni dei collaboratori Esposito, Conte, Capuozzo e Sacco Carmine
(v.pagg.1094-1096 della sentenza di primo grado), sicchè nessuna discrasia vi
è tra la contestazione e la motivazione della sentenza impugnata. Anche nella
sentenza di primo grado si fa del resto espresso riferimento all’attività
frenetica del Liso per il reperimento di sostanza stupefacente da offrire per la
vendita a Venditti Salvatore per la successiva cessione ad esponenti del
gruppo di Sacco Claudio (v.pag.1098, nonché per i rapporti Liso-Venditti, e
Venditti-Sacco-Liso pagg.762, 767 e 828 della sentenza di primo grado,
nonché pag.35 della sentenza d’appello). Del tutto logica e conseguenziale la
motivazione dei giudici di merito che individuano, quindi, nel fatto stesso di
14

essere divenuto l’imputato Lisi, in coppia con il Venditti, canale di
approvvigionamento su cui potevano contare personaggi della levatura di
Sacco Claudio e Selva Giacomo, appartenenti a clan confederati nell’Alleanza
di Secondigliano, la prova della consapevolezza del ricorrente che la sua
attività andava a rimpinguare le casse del clan, favorendone in tal modo la
sopravvivenza e la crescita esponenziale (v.pag.19 della sentenza impugnata,

pagg.1096-1098 della sentenza di primo grado).
7. MONTANINO Antonio
7.1 Le censure formulate dal ricorrente, nel primo motivo, in relazione
alla sussistenza dei reati di cui agli artt.73 e 74 dpr 309/90, oltre che
manifestamente infondate, sono essenzialmente inammissibili per essere
dirette a prospettare una diversa interpretazione del quadro probatorio e una
ricostruzione alternativa rispetto a quella corretta e coerente formulata dalla
Corte d’appello, nella cui sentenza sono elencati gli univoci elementi che
hanno dato fondamento alle accuse formulate. In particolare, per quanto
riguarda la partecipazione del Montanino al sodalizio criminoso, la Corte ha
rilevato (v.pag.22 della sentenza impugnata) che la stessa emerge con

chiarezza dalle condotte poste in essere in relazione ai reati fine, che
dimostrano lo stabile inserimento dell’imputato nell’organizzazione, nella
quale ricopriva il ruolo di rilievo di smistamento delle sostanze stupefacenti e
alla contabilità (v.conversazioni captate e relative ai capi 25-26-27 e 30), in
contatto significativo con Russo Antonio e Ferrara Angelo. Tali fatti risultano
poi avvalorati dalle dichiarazioni dei collaboratori Misso e Parolisi. In
relazione al capo 27, le conversazioni captate danno atto in modo non
equivoco della realizzazione di una duplice transazione in cui Panebianco e
Ferrara agirono come intermediatori e Russo e Montanino quali venditori (v.
pag.300 della sentenza di primo grado anche per l’interpretazione del
linguaggio camuffato). E contro tali valutazioni sono dal motivo in esame
formulate mere contestazioni di veridicità, in un impensabile tentativo di
ottenere da questa Corte di legittimità un revisione di merito delle valutazioni
stesse.

15

7.2 Anche l’ultimo motivo in relazione al trattamento sanzionatorio è
infondato. Né può dolersi il ricorrente della asserita erronea contestazione
della recidiva, dal momento che la stessa non è stata ritenuta dal giudice di
primo grado che ha così determinato la pena nei suoi confronti: p.b. (per il
reato associativo di cui all’art.74) anni 10, aumentata ex art.7 1.203/91 ad anni
14, aumentata ex art.81 c.p. ad anni 15 diminuita per il rito.

La concessione delle attenuanti generiche risponde a una facoltà
discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere motivato
nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso
giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato
ed alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese come oggetto di
una benevola concessione da parte del giudice, ne’ l’applicazione di esse
costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione
deve avvenire come riconoscimento della esistenza di elementi di segno
positivo, suscettibili di positivo apprezzamento. Nella specie, la Corte
territoriale ha spiegato di non ritenere il ricorrente meritevole delle invocate
attenuanti per la sua negativa personalità, desunta dai suoi precedenti penali
(che ben possono consistere in condanne non ancora definitive), e non
emergendo, né essendo stati indicati, nell’atto di appello, elementi positivi. Si
tratta di considerazioni ampiamente giustificative del diniego, che le censure
del ricorrente non valgono minimamente a scalfire.

8. PANICBIANCO Carlo
8.1 il ricorso è inammissibile con riferimento al primo ed al terzo
motivo, riguardanti i reati di cui agli artt.74 e 73 d.p.r. 309/90.
Solo formalmente, infatti, vengono evocati vizi di legittimità: in
concreto le doglianze sono articolate sulla base di rilievi che tendono ad una
rivalutazione del merito delle statuizioni della Corte territoriale: statuizioni,
peraltro, nella specie operate dalla Corte di appello con argomenti esaurienti e
privi di vizi logici sia riguardo ai singoli episodi di cui all’art. 73 e in
particolare al reato di cui al capo 40 (“il mancato accertamento della presenza
in casa del Panebianco e la mancata rilevazione di un passaggio della busta
dalle mani del predetto a quelle del Dortatiello appaiono del tutto irrilevanti,
16

in quanto dalle conversazioni intercettate emerge con certezza che
nell’occasione il Donatiello era diretto dal Panebianco per ritirare qualcosa”
v.pag.25 della sentenza impugnata), che in riferimento al reato associativo ( il
limitato periodo di tempo nel quale emerge la condotta attribuibile al
Panebianco non è rilevante al fine di escludere l’inserimento dello stesso nel
sodalizio criminoso. Quello che conta è il tipo di condotta e il ruolo, che

appaiono significativi per il contributo continuativo e consapevole al
sodalizio. V.pag. 26 della sentenza impugnata), in conformità con la
giurisprudenza di questa Corte che, a riguardo, ha affermato che l’elemento
oggettivo del reato di associazione prescinde dal numero di volte in cui il
singolo partecipante ha personalmente provveduto ad una delle condotte
previste dall’art.73 d.p.r 309/90, essendo invece rilevante l’associazione e le
modalità con le quali il soggetto si inserisce nella stessa; ne consegue che
anche un singolo episodio relativo ad una delle condotte sanzione dall’art.73
dpr 309/90 è ben compatibile con la partecipazione all’organizzazione di cui
l’imputato si è servito (v., di recente, Cass.Sez.IV, Sent. n. 45128/2008 Rv.
241927). Anche l’elemento soggettivo è poi ricavabile dalla stessa
consapevolezza da parte dell’indagato di essersi servito dell’appartenenza
all’associazione per la o le attività compiute.
A ciò aggiungasi che per costante insegnamento di questa Corte, in
tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del
linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o
cifrato, è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito
(cfr. Cass.Sez.VI, sent. n. 17619/2008 Rv. 239724). In sede di legittimità è poi
possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione
diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del
travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia
indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti
decisiva ed incontestabile (cfr. Cass.Sez.VI, sent. n. 11189/2012 Rv. 252190).
Nel caso di specie, va poi ricordato che ci si trova dinanzi ad una
“doppia conforme” e cioè ad una doppia pronuncia di eguale segno, e pertanto
il vizio di “travisamento della prova”, di cui alla lettera e) come modificato
17

dalla 1.n.46/ 2006 (che si ha quando nella motivazione si fa uso di
un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la
valutazione di una prova decisiva), può essere rilevato in sede di legittimità,
con i relativi oneri, solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica
deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la
prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del

conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità,
salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi
di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal
primo giudice” ( v. Cass.IV, sez.IV, sent. n. 19710/2009 Rv. 243636; Cass., n.
5223/07, Rv. 236130).
8.2 Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza in relazione
all’aggravante di cui all’art.71.203/ 91.
Ribadite le considerazioni generali di cui ai punti 3.1, 3.2, e 3.3 rileva il
Collegio che nei confronti del Panebianco la Corte ha espressamente indicato
quale elemento dimostrativo della sussistenza dell’aggravante lo stabile
rapporto tra il Panebianco e personaggi di Secondigliano inseriti in un
contesto che, nel set*ore della droga, vedeva i1 predominio indiscusso del clan
Di Lauro (v.pag.26 della sentenza impugnata). Nella sentenza di primo grado,
viene poi rilevato che l’imputato, con la propria condotta accertata in un
periodo significativo (interrotto con la sua detenzione), ha prestato un
contributo consapevole all’organizzazione di cui al capo 2) apparendo nelle
transazioni registrate nelle conversazioni sia come acquirente-intermediario
che come fornitore, il tutto con una continuità denotante la stabilità del
rapporto. Evidenzia, quindi, il giudice per l’udienza preliminare che la stabile
dedizione a personaggi dell’area di Secondigliano, in un contesto ove risulta
accertato – all’epoca – il controllo del clan Di Lauro, e il rapporto continuo con
soggetti di sicuro spessore criminale consente di ritenere integrata anche
l’aggravante in questione.
La decisione gravata, come integrata da quella di primo grado (di
sostanziale conferma quanto all’affermato giudizio di colpevolezza per le

provvedimento di secondo grado, “non potendo, nel caso di c.d. doppia

ipotesi criminose in discussione), sfugge a qualsivoglia censura di illogicità,
non palesandosi, in particolare, alcun passaggio ex se contraddittorio o alcun
elemento di prova che si presenti slegato o non coordinato rispetto agli altri
ovvero disancorato dal contesto complessivo. Cosicché la doglianza di parte
ricorrente, laddove censura la congruità dell’argomentare del giudicante, in
riferimento all’elemènto psicologico del reato (dolo specifico) non può trovare
accoglimento.

e

8.3 Con il quarto motivo il ricorrente chiede che vengano considerati
più gravi i fatti di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Palermo del
4.52005, già unificati ai sensi dell’art.81 con quelli di cui al presente
procedimento, e che questa Corte voglia rideterminare la pena complessiva
ponendo a base del calcolo la pena base applicata con la citata sentenza.
Il motivo, che implica necessarie valutazioni di merito precluse a questa
Corte, è pertanto inammissibile.
92ASCUAS 9LAYA Luis Enrique
9.1 Il primo motivo di ricorso è privo della specificità, prescritta
dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p., a fronte delle
motivazioni svolte dol giudice d’appello, che non risultano viziate da illogicità
manifeste.
La Corte, con motivazione adeguata (e che peraltro non preclude che
l’istanza possa venir reiterata in sede di esecuzione), e non censurabile in
questa sede sulle questioni di merito in quanto logicamente illustrata, ha
rigettato la richiesta di continuazione con i fatti di cui ad altra sentenza della
Corte d’Appello di Napoli, non risultando provato che l’imputato e la persona
giudicata nella sentenza in questione siano la medesima persona. E avverso
tali valutazioni, l’imputato si è limitato a ribadire quanto già affermato in
appello, lamentando in maniera del tutto generica che la Corte territoriale non
avrebbe effettuato “il dovuto controllo richiesto dalle legge”, senza null’altro
specificare in ordine ad eventuali produzioni e/ o allegazioni effettuate nel
giudizio di merito a sostegno della identità dell’imputato condannato
nell’altra sentenza.

19

o
9.2 il secondo motivo è infondato. La mancanza di una formale

contestazione dell’aggravante di cui all’art.7 del d.1.152/91 convertito in
1.203/91 è, infatti, ostativa all’applicabilità della speciale attenuante di cui al
successivo art.8, prevista a favore di chi, nei reati di tipo mafioso nonché nei
delitti commessi al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo
mafioso, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a

conseguenze ulteriori (v.Cass. Sez.II, Sent.n.23121/ 2009 Rv.245180, nonché
Sez.VI, Sent. n. 29626/2010 Rv. 248194, la quale ha precisato che la circostanza
attenuante speciale prevista per i collaboratori di giustizia dall’art. 8 D.L. n.
152 del 1991 si applica solo ai delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. ed a quelli
commessi avvalendosi delle condizioni previste da detta norma per agevolare
l’attività delle associazioni di tipo mafioso, sicché non concorre con
l’attenuante di cui all’art. 74, comma settimo, d.P.R. n. 309 del 1990, che si
applica solo a colui che si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove
del reato previsto dall’art. 74 stesso d.P.R., o per sottrarre al traffico illecito di
sostanze stupefacenti risorse decisive per la commissione dei delitti, poiché
entrambe le circostanze costituiscono previsioni premiali aventi diversi ambiti
di operatività, in quanto dirette ad evitare, attraverso una sorta di
ravvedimento “post delictum”, che il reato associativo, cui rispettivamente si
riferiscono, sia portato ad ulteriori conseguenze).
9.3 Anche il terzo motivo in materia di trattamento sanzionatorio è

infondato. Ribadito quanto sopra affermato al punto 7.2 in relazione alla
concessione delle attenuanti generiche, rileva il Collegio che la richiesta è stata
motivatamente rigettata sul presupposto che non emergono dagli atti, e non
sono stati prospettati in sede d’appello (e neppure in sede di ricorso) elementi
concreti che giustifichino l’applicazione dell’art.62 bis c.p. “Non può tenersi
conto a tal fine del comportamento collaborativo tenuto dall’imputato, già
valutato per il riconoscimento dell’attenuante speciale di cui al comma 7
dell’art.73 dpr 309/90” (v.pag.27 della sentenza impugnata). Trattasi di
considerazioni ampiamente giustificative del diniego, che le censure del
ricorrente non valgono minimamente a scalfire.
10.RENNELLA Mario
20

Con un unico motivo di ricorso, il Rennella censura la sentenza per
l’assoluta mancanza di motivazione in relazione a tutte le imputazioni
contestate e all’aggravante di cui all’art.71.203/91.
Il ricorso è infondato.
La Corte d’Appello, con motivazione adeguata e priva di evidenti vizi
logici, ha illustrato le ragioni per le quali non vi è alcun dubbio circa la

responsabilità dell’imputato per tutti i reati contestati, evidenziando come,
dalle conversazioni oggetto di intercettazione, emerga con assoluta chiarezza
il ruolo assolto con continuità dall’imputato nell’interesse di personaggi di
rilievo del sodalizio criminoso, quali il Selva e il Sacco, e che il giudizio dallo
stesso espresso sulla qualità della droga era decisivo per la conclusione
dell’acquisto della partita. Né può ritenersi tale ruolo “marginale” solo
perché in qualche caso interveniva quale assaggiatore qualche altra persona.
Dal ruolo svolto con continuità dal Rennella per conto di personaggi di
rilievo del sodalizio criminoso e dal suo essere a disposizione degli stessi per
adempiere un incarico rilevante, quale è certamente quello di testare la
sostanza, si desume la partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso.
Anche sugli ulteriori motivi d’appello, la Corte ha adeguatamente motivato,
rilevando che non poteva essere concessa l’attenuante di cui al V comma
dell’art.73, in quanto l’attività del Rennella era prodromica all’acquisto di
quantitativi certamqnte non lievi di sostanza stupefacente ed era inserita in
una agguerrita associazione criminosa dedita al traffico di consistenti partite
di droga.
Premesso quanto rilevato ai punti 3.1, 3.2 e 3.3, in riferimento al ricorso
del Ferrara, osserva il Collegio che con motivazione, del tutto logica ed
adeguata, la Corte ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art.7
sulla scorta di tutte le risultanze probatorie ivi richiamate e analiticamente
indicate nella sentenza di primo grado, tra le quali – in particolare – le
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Sacco Carmine, il quale ha riferito
che il Rennella Mario operava quale gestore di piazza di spaccio di eroina e
cocaina nella 167 insieme a Sacco Claudio, Selva Giacomo e Vacca Massimo
(v.pag.1099 della sentenza di primo grado).
21

11.RUSSO Antonio
Il Russo che ha rinunciato, in sede d’appello, a tutti i motivi ad
eccezione di quelli sulla pena, lamenta la mancata applicazione della
disciplina di cui all’art. 63 co.4 c.p.p. in presenza di più aggravanti ad effetto
speciale (recidiva e aggravante di cui all’art.7. 1.203 del 1991). Il ricorso è
manifestamente infondato e privo della specificità, prescritta dall’art. 581,

lett. c), in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p.
11.1 La recidiva è circostanza aggravante ad effetto speciale quando,
come nel caso di specie, comporta un aumento di pena superiore a un terzo
e pertanto soggiace, in caso di concorso con circostanze aggravanti dello
stesso tipo, alla regola dell’applicazione della pena prevista per la circostanza
più grave, e ciò pur quando l’aumento che ad essa segua sia obbligatorio, per
avere il soggetto, già recidivo per un qualunque reato, commesso uno dei
delitti indicati all’art. 407, comma secondo, lett. a), c.p.p.( V.Cass.Sez. U, Sent.
n. 20798 del 24/02/2011 Rv. 249664). La legge affida, peraltro, al giudice il
potere di valutami, a propria discrezione, se aumentare o no la pena
derivante dall’appliFazione della circostanza aggravante a effetto speciale in
cui si assorbono le altre circostanze aggravanti; allorchè il giudice decide di
aumentare la pena, la circostanza aggravante soccombente, che consente al
giudice di applicare un ulteriore aumento di pena, si trasforma da
circostanza ad effetto speciale in circostanza facoltativa comune, atteso che il
legislatore non ha predeterminato l’entità della variazione di pena che il
giudice può comunque apportare.
11.2 Tanto premesso, rileva il Collegio che Tribunale aveva così
determinato la pena: pena base per art.74 dpr 309/90 anni 10 di reclusione
aumentata per l’aggravante di cui all’art.7 1. 203/1991 ad anni 14, aumentata
ad anni 14 e mesi 6 per la recidiva ex art.99 u.co.c.p., aumentata per la
continuazione ad anni 17 diminuita ad anni 11 e mesi 4 per il rito; e che la
Corte d’Appello ha rideterminato la pena nei confronti del Russo, secondo il
seguente calcolo: pena base per art.74 dpr 309/90 anni 10 di reclusione
aumentata per l’aggravante di cui all’art.7 1.203/91 ad anni 13 e mesi quattro
(ovvero poco più di un terzo), aumentata per la continuazione ad anni 16

22

(meno di un terzo), ridotta di un terzo per la scelta del rito. Nessun aumento,
contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, è stato disposto dalla Corte per
la recidiva.
12.SACCO Carmine

Sacco, che anche lui ha rinunciato, in sede d’appello, a tutti i motivi ad
eccezione di quelli sulla pena, lamenta la mancata considerazione in sede
d’appello della collaborazione fornita e del suo buon comportamento
processuale. Il ricorso è manifestamente infondato e privo della specificità,
prescritta dall’art. 581, lett. c), in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p. La Corte ha
peraltro tenuto conto del comportamento processuale dell’imputato (peraltro
già valutato positivamente in primo grado con la concessione dell’attenuante
di cui al settimo comma dell’art.73 dpr 309/90 prevalente rispetto
all’aggravante, e non operando alcun aumento per la recidiva), riducendo
ulteriormente l’aumento per la continuazione.

I ricorsi di Ferrara Angelo, Garofano Giuseppina, Liso Leonardo,
Montanino Antonio, Panebianco Carlo, Pascuas Olaya Luis Enrique e
Rennella Mario vanno pertanto rigettati, mentre i ricorsi di Capuano Rosario,
Esposito Luigi, Improta Bruno, Russo Antonio e Sacco Carmine vanno
dichiarati inammisSibili.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati
al pagamento delle spese del procedimento; gli imputati, i cui ricorsi sono
stati dichiarati inammissibili, devono essere invece condannati, oltre al
pagamento delle spese del procedimento, anche al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro ciascuno, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti, ravvisandosi profili di
colpa (v.Corte Cost. sent.n.186/2000) nella determinazione della causa di
inammissibilità.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi di Ferrara Angelo, Garofano Giuseppina, Liso Leonardo,
Montanino Antonio, Panebianco Carlo, Pascuas Olaya Luis Enrique, e
Rennella Mario chg condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara
inammissibili i ricorsi Capuano Rosario, Esposito Luigi, Improta Bruno,

processuali e della somma di euro mille ciascuno alla Cassa delle ammende.
Così deliberato, il 5.42013

Russo Antonio e Sacco Carmine che condanna al pagamento delle spese

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