Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33321 del 28/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 33321 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BELOTTI DELIO N. IL 28/06/1953
avverso la sentenza n. 2673/2011 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
07/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ge ,\-2-52.-03—:
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 28/11/2012

Ritenuto in fatto
Con sentenza emessa in data 13 giugno 2011 il Tribunale di Bergamo dichiarava Edotti Delio
colpevole del reato di cui all’art. 2 D.Igs. 74/2000 perché, quale titolare della Auto ED di Belotti
Delio, al fine di evadere il fisco dichiarava nella dichiarazione annuale relativa alle imposte dirette
ed all’IVA afferente all’anno di imposta 2004 elementi passivi fittizi, annotando in contabilità
pena di due anni di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.
Proposto appello dal difensore dell’imputato e dal P.G., la Corte di appello di Brescia, in parziale
riforma della suddetta sentenza applicava al Belotti le pene accessorie della interdizione dagli uffici
direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per la durata di un anno, della incapacità di
contrattare con la Pubblica Amministrazione per la durata di un anno, della interdizione dalle
funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria per due anni, della interdizione
perpetua dall’ufficio di componente di commissioni tributarie, della interdizione dai pubblici uffici
per la durata di un anno. Ordinava, inoltre, la pubblicazione della sentenza sul sito del Ministero e
condannava l’imputato al pagamento di maggiori spese processuali. Confermava nel resto
l’appellata sentenza.
Avverso tale pronuncia ha presentato ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato per
i seguenti motivi:
1) Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inammissibilità dagli artt. 181, 182 e 586
c.p.p. in relazione all’art. 606 lett. b c.p.p.
2) Mancata assunzione di prova decisiva ex art. 495 c.p.p. prova testimoniale della teste Magnelli
Emanuela testimone richiesta sia dalla Procura della Repubblica sia dalla difesa Belotti in relazione
all’art. 606 lett. d) c.p.p.
3) Insufficienza della motivazione della sentenza in merito al mancato rinvio per legittimo
impedimento del difensore (420 ter) in relazione all’art. 606 lett. b c.p.p.
4) Insufficienza e contraddittorietà della motivazione della Sentenza e mancata assoluzione dal
reato contestato in relazione all’art. 606 lett. e
5) Mancanza della motivazione della sentenza con riferimento alla derubricazione e riqualificazione
del reato previsto dall’art. 2 D.Igs. n. 74/2000 nell’ipotesi di cui al comma 3 D.Lgs n. 74/2000 in
relazione all’art. 606 lett. b.
6) Eccesso di pena e comuque vizio di motivazione relativamente al mancato riconoscimento della
diminuente ex art. 62 bis c.p.

fatture per operazioni inesistenti. Di conseguenza, il suddetto Tribunale condannava il Belotti alla

Ritenuto in diritto
I. Con il primo motivo di gravame si lamenta la violazione degli artt. 181, 182 e 586 c.p.p. da parte
della Corte di appello. Difatti la difesa aveva impugnato insieme alla sentenza di primo grado
l’ordinanza di con cui il giudice di prime cure aveva ingiustificatamente escluso, l’assunzione della
prova testimoniale della dott.ssa Magnelli, la funzionaria dell’Agenzia delle entrate che aveva
La Corte di appello ha ritenuto l’ordinanza in questione affetta da nullità in quanto emessa
sull’erroneo presupposto che l’impedimento della testimone non fosse giustificato la richiesta di
rinvio dell’udienza per espletare l’esame testimoniale avanzata dalla difesa. Il giudice di seconde
cure ha, però, rilevato l’intervenuta sanatoria della suddetta nullità. Difatti ai sensi dell’art. 182 co.
2 c.p.p. quando una parte vi assiste la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo
compimento o se ciò non è possibile immediatamente dopo (ex pluris Sez. III, n. 8159/2009; Sez.
III, 6/12/2005 n. 816, Guana; Sez. III, 12/2/2009 n. 20128, Bisiol), La Corte di appello ha
correttamente ritenuto sanata la nullità in esame dal momento che la questione è stata sollevata per
la prima volta dal difensore dell’imputato solo con l’impugnazione della sentenza di primo grado.
Occorre confermare la soluzione adottata dalla Corte di appello in quanto fondata su una corretta
lettura delle norme codicistiche in materia di nullità. Il ricorrente invoca a sproposito l’art. 586
c.p.p. concernente l’impugnazione di ordinanze emesse in dibattimento. Infatti in base a tale
disposizione solo qualora non sia previsto diversamente dalla legge l’impugnazione avverso tali
ordinanze può essere proposta a pena di inammissibilità solo con l’impugnazione contro la
sentenza. Nel caso in esame c’è una disposizione di legge che prevede una disciplina diversa nel
caso in cui la parte presente intenda far valere la nullità relativa od intermedia di un’ordinanza
dibattimentale: l’art. 182.2 c.p.p. Dunque questo primo motivo è manifestamente infondato e va
dichiarato inammissibile.
2. Al pari inammissibile appare il secondo motivo relativo alla mancata assunzione di una prova
decisiva ex art. 495, cioè la deposizione della teste Magnelli Emanuela.
La testimonianza in questione era stata inizialmente ammessa. Si è poi proceduto all’escussione
della teste da parte del PM. Successivamente all’udienza fissata per il controesame la teste non si è
presentata e l’ordinanza di ammissione è stata revocata dal giudice nonostante la richiesta di rinvio
per consentire l’audizione della dott.ssa Magnelli avanzata dalla difesa.
Orbene la Corte di appello ha revocato la suddetta ordinanza di ammissione ritenendo la prova in
esame non decisiva. Come è noto una prova può definirsi tale quando risulta idonea ad incidere sul
procedimento decisionale del giudice ed a determinare una diversa valutazione dei fatti e, quindi,
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effettuato l’accertamento nei confronti del Belotti.

una diversa decisione (Cass„ Sangalli, 24 giugno 2004). Tale profilo richiede apprezzamenti di
merito sottratti come tali al sindacato di questa Corte. Ne consegue l’inammissibilità della censura.
3. Con il terzo motivo la difesa lamenta l’insufficienza della motivazione della sentenza in merito al
mancato rinvio per legittimo impedimento del difensore dovuto a concomitante impegno
professionale (420 ter).
Come è noto, il concomitante impegno professionale può considerarsi legittimo impedimento,
cioè non appena il difensore è venuto a conoscenza della sovrapposizione — e sia adeguatamente
motivata quanto all’effettiva sussistenza del duplice impegno ed all’impossibilità di farsi sostituire
nel senso che la stessa deve essere corredata da adeguata documentazione (Cass. Sez. II,
25754/2008; Cass. Sez. V, 41148/2010).
Riguardo a quest’ultimo aspetto vi è una discrasia tra quanto affermato nella sentenza di appello e
quanto sostenuto dal ricorrente. La Corte di appello ha rigettato l’istanza di rinvio giunta via fax
perché non conteneva alcuna attestazione “neppure apodittica” circa l’impossibilità per il difensore
di fiducia di farsi sostituire. La Corte ha ritenuto di non poter apprezzare l’effettiva esistenza di un
legittimo impedimento.
Il ricorrente, invece, afferma che la difesa non solo aveva prontamente inviato l’istanza di rinvio
indicando la diversa udienza in cui il difensore dell’imputato sarebbe stato impegnato in altra città
quale unico difensore, ma si era anche “premurata di delegare l ‘avv. Eustachio Porreca del Foro di
Brescia affinchè anticipasse alla Corte l’impossibilità dell ‘avv. Peronace di presenziare all’udienza
e contestualmente facesse presente che non poteva farsi sostituire in quanto anche tutti gli altri
colleghi di studio erano impegnati in altre udienze e così anche lo stesso avv. Porreca, il quale
infatti aveva mandato una sua collaboratrice di studio in udienza al solo fine di prender nota del
rinvio”. Dunque a detta del ricorrente la Corte di appello avrebbe dovuto disporre un rinvio al fine
di consentire al difensore di discutere il proprio ricorso in appello considerato anche che non vi era
alcun pericolo di prescrizione (Cass. IV, sent. n. 16427/2007).
Anche questo motivo appare inammissibile in quanto il ricorrente non ha allegato il verbale
dell’udienza dinnanzi alla Corte di appello di Brescia del 7/02/2012 durante la quale sarebbero stati
effettuati i suddetti rilievi. Al contrario, stante il principio di autosufficienza del ricorso, lo stesso
avrebbe dovuto allegare le istanze di rinvio, soprattutto in considerazione del fatto che la Corte di
appello fornisce una diversa versione circa il contenuto delle stesse secondo la quale non sarebbe
stata prospettata alcuna possibilità di farsi sostituire.
4. Con il quarto motivo di ricorso si afferma che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente
motivato la ritenuta responsabilità del Belotti con riguardo alla sussistenza in capo allo stesso
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idoneo a giustificare il rinvio dell’udienza, qualora l’istanza di rinvio pervenga tempestivamente —

dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di frode fiscali, limitandosi a sostenere in modo del
tutto apodittico e senza riscontri oggettivi, che il predetto, quale cliente di una serie di cessioni di
beni fatturati da parte di soggetti economici privi di adeguate strutture commerciali e finanziarie
(cd. società cartiere), era coinvolto in un sistema di frode di imposte dirette ed IVA comunitaria, in
quanto responsabile di aver utilizzato fatture relative ad operazioni inesistenti.
La censura è inammissibile in quanto si sostanzia nella riproposizione di una doglianza già avanzata
logica ed adeguata. Sotto il profilo oggettivo, infatti, la pronuncia impugnata delinea puntualmente
il meccanismo tramite il quale l’imputato riusciva a simulare i pagamenti IVA in realtà mai
avvenuti: cioè attraverso l’esportazione di macchine acquistate da soggetti che vendevano
autovetture di nuova immatricolazione “inspiegabilmente” a prezzi notevolmente inferiori a quelli
di listino imposti dalle case produttrici e che, certo, il Belotti, in quanto operatore del settore
automobilistico, non poteva ignorare. Inoltre nella sentenza si dà conto delle fatture sospette e del
fatto che nessuno dei danti causa avesse mai versato all’Erario neppure in parte il debito IVA
risultante dalle stesse.
Quanto all’elemento soggettivo la sentenza impugnata precisa che tramite il suddetto meccanismo il
Belotti portava in detrazione sull’IVA da lui dovuta in relazione alle rivendite dei veicoli ai suoi
clienti un inesistente credito IVA. Questo integra il dolo specifico richiesto dall’art. 2 D.Lvo
74/2000.
Dunque la motivazione circa la sussistenza dell’illecito e della responsabilità del Belotti appare del
tutto intrinsecamente logica ed esaustiva in quanto corredata da un adeguato apparato probatorio.
Che poi la difesa neghi la portata o l’attendibilità delle prove poste a fondamento della decisione
della Corte di appello fino a ritenerla priva di un sopporto probatorio poco rileva in questa sede. Si
tratta, infatti, di apprezzamenti squisitamente di merito e, quindi, come tali sottratti al giudizio di
questa Corte.
5. Anche il quinto motivo di ricorso relativo alla derubricazione e riqualificazione del reato previsto
dall’art. 2 D.lgs. n. 74/2000 nell’ipotesi di cui al comma 3 D.Lgs n. 74/2000 appare inammissibile
in quanto manifestamente infondato. È vero, come afferma il ricorrente, che il reato in esame è
integrato con riguardo alle imposte dirette dalla sola inesistenza oggettiva (cioè relativa alla
diversità tra costi indicati e costi sostenuti) mentre con riguardo all’IVA comprende anche la
inesistenza soggettiva (cioè relativa alla differenza tra soggetto che ha effettuato la prestazione e
soggetto indicato in fattura (Cass. sez. III, n. 10394/2010). Il terzo comma dell’art. 2 D.lgs. n,
74/2000, però, prevede una pena attenuata se l’ammontare degli elementi passivi fittizi risulta
inferiore a 154.937,07 euro. Questo significa che si deve considerare l’ammontare di tutte le
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nella °atto di appello e sulla quale il giudice di seconde cure si è pronunciato in maniera del tutto

operazioni soggettivamente simulate nel loro complesso. E tale ammontare nel caso di specie è
ampiamente al di sopra dei 154.937,07 posti come limite all’applicabilità dell’attenuante speciale.
Dunque in base alla lettere del terzo comma dell’art. 2 appare del tutto priva di senso l’affermazione
del ricorrente secondo il quale la Corte di appello avrebbe “omesso di ricalcolare l’imposta evasa

sulla base del fatto che trovandosi in presenza di fatture emesse per operazioni soggettivamente
inesistenti non vi era stata alcuna evasione delle imposte dirette”.
della pena ed il vizio di motivazione in merito al mancato riconoscimento della diminuente ex art.
62 bis c.p. In particolare la difesa rileva l’omessa indicazione da parte della Corte di appello delle
ragioni per cui la stessa ha ritenuto di non concedere le attenuanti generiche “posto che il

comportamento processuale dell’imputato era stato irreprensibile e che era soggetto incensurato”.
L’affermazione non è veritiera. In realtà il giudice di seconde cure ha motivato, seppur in maniera
stringata, la scelta di non riconoscere il beneficio in esame: in particolare ha ritenuto che non vi
fosse alcun positivo elemento atto a giustificarne la concessione. Questo significa che non ha
ravvisato nel comportamento tenuto dall’imputato durante il processo una condotta meritevole al
punto da giustificare un trattamento sanzionatorio più mite. Quanto all’assenza di precedenti penali
vale la pena di ricordare che ai sensi del terzo comma dell’art. 62 bis c.p. essa non può costituire
l’unico ragione della concessione del beneficio (comma introdotto dalla 1. 125/2008 proprio al fine
di porre un limite all’invalsa prassi giudiziaria per cui si concedevano praticamente in maniera
automatica le attenuanti in assenza di altri precedenti penali).
Merita, infine, precisare che la concessione o meno delle attenuanti generiche, al pari della
statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, rientra nell’ambito di un
giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice di merito e che sfugge al sindacato di
legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da
sufficiente motivazione (Sez. Un. 2010, Rv. 245931; Sez. 2 2011, Rv. 249163).
7. Alla luce delle argomentazioni sopra delineate il ricorso, stante la manifesta infondatezza e la
assoluta genericità delle censure mosse dalla difesa, deve essere dichiarato inammissibile. Alla
dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende che si ritiene equo determinare in euro
1.000,00.

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6. Infine appare infondato anche l’ultimo motivo di ricorso con il quale si lamenta l’eccessività

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento della somma di euro 1.000, 00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2012.

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