Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33314 del 28/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 33314 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BALDASSARRE ANTONIO N. IL 24/09/1950
NEGRO ALBA N. IL 01/01/1953
avverso la sentenza n. 1722/2007 CORTE APPELLO di LECCE, del
08/02/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINAL
Udito il Procuratore Generale in ersona del Dott..b che ha conchno per e
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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Data Udienza: 28/11/2012

Ritenuto in fatto
Baldassarre Antonio e Negro Alba venivano tratti a giudizio davanti al Tribunale di Lecce per il
reato di cui agli artt. 110 e 44 lett. c DPR 380/2001 per aver realizzato, quali proprietari di un fondo
sito in zona soggetta a vincolo paesaggistico, in assenza del necessario permesso di costruire sei
costruzioni edili (un fabbricato di mq. 80 completo di finiture, impianto elettrico e fognature adibito
una piscina di forma e profondità irregolari; un fabbricato per il deposito di attrezzi di mq. 10). Il
suddetto Tribunale, con sentenza emessa in data 9 ottobre 2007, dichiarava gli imputati colpevoli
del reato loro ascritto limitatamente a 3 dei 6 manufatti sopra indicati e, concesse le attenuanti
generiche, condannava ciascuno alla pena di 2 mesi di arresto e 22.000 euro di ammenda. Ordinava,
inoltre, la demolizione delle opere abusive e concedeva ad entrambi la sospensione condizionale
subordinata alla demolizione delle opere abusive nel termine di 2 mesi.
Proposto appello dal difensore degli imputati, la Corte di appello confermava in toto la sentenza di
primo grado condannando Baldassarre Antonio e Negro Alba al pagamento delle ulteriori spese
processuali.
Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore degli imputati per i motivi
sotto delineati.
Con Riferimento alla posizione processuale della sola Negro Alba:
1) Violazione, falsa ed errata interpretazione ed applicazione di legge- falsa ed errata applicazione
dell’art. 533 e 530 II comma c.p.p. violazione dell’art. 192 n. 2 c.p.p. con riferimento all’art. 27
cost. ed alla CEDU.
2) Violazione, falsa ed errata interpretazione ed applicazione di legge- falsa ed errata applicazione
dell’art. 110 c.p.
Con riferimento alla posizione processuale di entrambi gli imputati:
3) Violazione, falsa ed errata interpretazione ed applicazione di legge violazione dell’art. 157 c.p. e
della legge 251/2005.
Ritenuto in diritto
1. Merita premettere che tutti e tre i motivi di ricorso pur essendo privi di fondatezza non possono
ritenersi manifestamente infondati.
1.1 In particolare con il primo di essi la difesa lamenta il fatto che il giudice di appello avrebbe
confermato la condanna emessa in primo grado senza tener conto che, ai fini di siffatta pronuncia,
occorre che la colpevolezza dell’imputato sia dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio. I

a museo; fabbricato di 30 mqò allo stato rustico; un seminterrato di mq. 170; un deposito di acqua;

ricorrenti affermano la necessità che sia esclusa ogni plausibile ricostruzione alternativa e lamenta
l’assenza nel caso di specie di elementi gravi, precisi e concordanti atti a dimostrare la colpevolezza
dell’imputata eliminando ogni ragionevole dubbio.
Secondo la difesa che il convincimento di entrambi i giudici di merito sarebbe basato solo ed
esclusivamente su congetture, dal momento che non si è potuti giungere ad una verifica empirica
dei dati e ci si è, pertanto, affidati solo ad un mero calcolo di possibilità e, nel tentativo di trovare
inversione dell’onere della prova richiedendo che fosse l’imputato a fornire elementi a propria
discolpa.
In realtà la Corte di appello ha fondato il proprio convincimento circa la colpevolezza della Negro
su una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti che possono ritenersi idonei ad escludere ogni
eventuale ipotesi ricostruttiva alternativa. In particolare ha messo in evidenza che l’imputata era non
solo moglie del committente dei lavori ma lei stessa proprietaria del fondo. Come tale aveva
presentato nel 1992 istanza per ottenere la concessione edilizia e si era interessata della pratica
amministrativa; come risulta anche da lettera da lei inviata al Sindaco per conoscere l’esito
dell’istanza. Inoltre, come risulta dalle dichiarazioni rese dal Baldassarre, la moglie si recava
periodicamente sul posto ed era perfettamente a conoscenza dei manufatti in corso di realizzazione.
Sul punto occorre richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale, in tema
di reati edilizi, la responsabilità del proprietario del fondo sul quale è stato effettuato l’abuso può
dedursi da indizi precisi e concordanti quali la qualità di coniuge del committente, la presentazione
di istanze per la realizzazione di opere edilizie di portata minore di quelle realizzate, la presenza in
luogo al momento dell’accertamento (vedi Cass. 32856/2005).
Alla luce delle considerazioni appena svolte il primo motivo di gravame appare infondato.
1.2 Deve ritenersi al pari infondata anche la seconda doglianza con la quale si lamenta violazione,
falsa ed errata interpretazione ed applicazione dell’art. 110 c.p.
In estrema sintesi la difesa parte dal presupposto, per altro non affatto pacifico in giurisprudenza,
che il reato de quo sia un reato proprio. Dunque soggetti responsabili dell’illecito di cui all’art. 44
DPR 380/2001 possono essere solo il committente, il titolare della concessione, il costruttore od il
direttore dei lavori. Mentre altri soggetti possono essere ritenuti colpevoli dell’abuso commesso
dall’ intraneus solo ove risulti provata una loro cosciente e volontaria partecipazione. In altre
parole, non basta la semplice tolleranza da parte del proprietario dell’area ma occorre una
collaborazione attiva.
Come risulta dal primo motivo, la difesa ritiene che la Negro si disinteressasse del tutto al terreno
ed a ciò che ne faceva il marito, con il quale sembra fosse in cattivi rapporti. Quindi per la difesa
2

fondamento per l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato si è giunti ad una sorta di

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questa non ha fornito alcun apporta alla commissione tale da rendere configurabile il concorso
eventuale di cui all’art. 110 c.p.
In proposito, però, merita ricordare che ai fini della configurabilità della responsabilità del
proprietario del fondo per l’abuso da altri commesso può tenersi conto, oltre che della disponibilità
giuridica e della titolarità del fondo e dell’interesse specifico (che nel caso di specie per altro
sussistevano) anche dei rapporti di parentela e di affinità tra esecutore dell’opera abusiva e
sull’esecuzione dei lavori (la signora si recava periodicamente presso il fondo), la richiesta di
provvedimenti abilitativi (l’imputata aveva avanzato istanza di concessione nel 1994) e
complessivamente da tutti quelle situazioni e comportamenti positivi e negativi (Es. non si è mai
ribellata) dai quali possano trarsi elementi di prova circa la compartecipazione anche solo materiale
all’esecuzione delle opere da parte del proprietario (vedi Cass. III, Fucciolo 2005; Cass. III n.
26121/2005; Cass. III 32856/2005).
1.3 Infondato risulta essere anche la terza ed ultima censura con cui si lamenta un errore
nell’applicazione della disciplina sulla prescrizione: a detta del ricorrente il termine prescrizionale
era già maturato al momento della pronuncia di secondo grado e, quindi, il giudice di appello
avrebbe dovuto dichiararla. Come risulta dagli atti, i fatti di abuso sono stati accertati in data 3
aprile 2006. Tenuto conto del periodo di sospensione dal 5 dicembre 2006 al 9 gennaio 2007, il
termine finale di prescrizione è spirato in data 8 maggio 2011. Dunque la prescrizione del reato
addebitato ai ricorrenti è intervenuta dopo la pronuncia della sentenza di appello in data 8 febbraio
2010.
2. Nel frattempo, però, è effettivamente intervenuta la prescrizione del reato in questione. Devono,
pertanto, trovare applicazione i principi più volte affermati da questa Corte in base ai quali, in
presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di
assoluzione ex art. 129 co. 2 c.p.p. soltanto qualora le circostanze idonee ad escludere l’esistenza
del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano
dagli atti in modo assolutamente non contestabile, in modo tale che la valutazione richiesta al
giudice risulti più vicina al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu ocu/i”, che a quello
di “apprezzamento” e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di ulteriori accertamenti
(Cass., Sez. Un., 35490/2009).
Orbene, come si evince dalle considerazioni in precedenza svolte, nel caso di specie non ricorrono
le anzidette condizioni. Dunque va senz’altro applicata la causa estintiva in esame con conseguente
annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione.

3

proprietario, dell’eventuale presenza in loco dello stesso, dello svolgimento di attività di vigilanza

P,Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per essere i reati estinti per prescrizione.

Così deciso in Roma in data 28 novembre 2012.

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