Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33313 del 22/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 33313 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MARINO LUIGI N. IL 17/09/1954
DE GIGLIO MICHELE N. IL 17/05/1962
avverso la sentenza n. 745/2005 CORTE APPELLO di BARI, del
10/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 22/05/2014

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza emessa in data
13 dicembre 2004 dal locale Tribunale, appellata da MARINO Luigi e DE GIGLIO Michele, dichiarati responsabili del delitto di tentato furto pluriaggravato in concorso, commesso il 4 marzo
2003.
Propongono ricorso per cassazione gli imputati.
Il MARINO deduce violazione di legge per la mancata declaratoria di prescrizione del reato, intervenuta prima della emissione del decreto di citazione in appello essendo trascorso il termine
prescrizionale di anni 6 e mesi 8 dall’ultimo atto interruttivo.
Sarebbe stato obbligo della Corte di Appello di rilevare e dichiarare la causa di estinzione del reato.
Il ricorso del MARINO è manifestamente infondato in quanto al delitto de quo si applica il regime prescrizionale di cui all’art. 157 e segg. nel testo previgente ed in considerazione della pena
massima applicabile di anni 6 e mesi 8 di reclusione, il termine di prescrizione è di anni dieci, oltre interruzioni o sospensioni, termine non decorso dalla data della sentenza, né dalla data di consumazione del reato è decorso il termine massimo di anni quindici, a scadere in data 4 marzo
2018.
Il DE GIGLIO lamenta difetto di motivazione sulla responsabilità e violazione di legge per la
mancata applicazione dell’indulto nonché della prescrizione.
Manifestamente infondato è il motivo concernente l’indulto, atteso che non è ricorribile per cassazione la mancata applicazione da parte del giudice del merito che ne abbia riservato, esplicitamente o implicitamente, l’applicazione alla fase esecutiva.
Del tutto generico poi il motivo relativo alla responsabilità, mentre manifestamente infondato per
le considerazioni svolte sopra quello concernente la prescrizione del reato.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in E. 1.000,00# per ognuno.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di E. 1.000,00# alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 22 maggio 2014.

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