Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33309 del 28/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 33309 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’ALESSANDRO GRAZIA MARIA N. IL 19/06/1957
avverso la sentenza n. 5480/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del
20/04/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO,
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott,.5
che ha concltQo per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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C.3,5C-4….*:

Data Udienza: 28/11/2012

Con sentenza emessa in data 20 luglio 2009 il Tribunale di Roma riconosceva la penale
responsabilità di Grazia Maria D’Alessandro in merito al reato di cui agli artt. 110 e 44 lett. b DPR
n 380/2001 e, concesse le attenuanti generiche, la condannava alla pena di giorni 15 di arresto ed
curo 7.000 di ammenda nonché al pagamento delle spese processuali ed alla demolizione delle
opere abusivamente realizzate. Dichiarava, inoltre, il N.D.P. nei confronti dell’altro imputato
Cafazzo Antonio in ordine al medesimo reato per essersi lo stesso estinto per intervenuta
prescrizione.
Proposto appello, la Corte di Appello di Roma ha confermato integralmente la suddetta sentenza
condannando l’imputata al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Avverso la pronuncia della Corte di appello ha presentato ricorso il difensore dell’imputata per i
seguenti motivi:
1) Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inammissibilità e decadenza (art.
606 lett. C con riferimento all’art. 546 lett. c ed e) ed altresì, mancanza, contraddittorietà e/o
manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato da atti del
processo e da mancata replica a specifica argomentazione difensive contenute nell’atto di appello
decisive ai fini dell’affermazione di responsabilità (art. 606 lett. c ed e c.p.p.).
2) Inosservanza di norme penali (art. 606 lett, b e.p.p. con riferimento all’art. legge n. 281/2001)
nonché mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del
provvedimento impugnato da atti del processo e da mancata replica a specifica argomentazione
difensive contenute nell’atto di appello decisive ai fini dell’affermazione di responsabilità (art. 606
lett. e ed e c.p.p.).
3) Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità inammissibilità e decadenza (art. 606
lett. C con riferimento all’art. 603 lett. c ed e) ed altresì, mancanza, contraddittorietà e/o manifesta
illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, da atti del processo e
da mancata replica a specifica argomentazione difensive contenute nell’atto di appello decisive ai
fini dell’affermazione di responsabilità (art. 606 lett. c ed e c.p.p.).
Ritenuto in diritto
Le censure mosse dalla difesa sono fondate. In particolare, con il primo motivo il ricorrente lamenta
la mancata indicazione dell’imputazione nonché il fatto che la Corte di appello si sia limitata ad un
semplice e del tutto acritico richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado. Questo in
chiara violazione dei principi enunciati in materia di richiamo dalla giurisprudenza di legittimità in
base ai quali è possibile per il giudice di seconde cure rinviare alla parte motiva della sentenza di
primo grado purché indichi le ragioni ed i passaggi logici che lo hanno condotto a condividerne le
argomentazioni soprattutto con riguardo ai capi ed ai punti oggetto di appello ed alle specifiche
doglianze mosse dalla parte appellante. Queste ultime, infatti, potrebbero anche riguardare aspetti
strettamente inerenti la sentenza di primo grado e quindi non affrontati dal giudice di prime cure.
La doglianza è fondata. Difatti manca qualsivoglia indicazione dei reati addebitati all’imputata e la
Corte di appello di Roma si limita a confermare la sentenza di primo grado con una formuletta di
stile — “la sentenza impugnata deve essere integralmente confermata nel merito, in quanto
ottimamente argomentata, con piena aderenza alle risultanze processuali compiutamente esposte in
motivazione e con giuste e corrette considerazioni in diritto;in tutto da intendersi qui riportato

Ritenuto in fatto

come parte integrante di questo motivazione, perché le sentenze devono essere succinte” e perché
la decisione di merito è frutto della fusione e della sommatoria delle sentenze di primo e di secondo
grado, senza inutili ripetizioni”.
Peraltro, come giustamente messo in evidenza dalla difesa, nell’effettuare questo rimando del tutto
acritico alla pronuncia di primo grado la Corte di appello è incorsa in un “colossale equivoco” nella
lettura della decisione del Tribunale. Difatti essa ha affermato che la corretta valutazione delle
dichiarazioni rese dall’imputata e vagliate dal giudice di primo grado avrebbe condotto
all’assoluzione del marito della stessa Cafazzo Antonio. In realtà quest’ultimo, deceduto in
pendenza del processo penale, venne prosciolto per estinzione del reato e non perché le
dichiarazioni della moglie avevano dimostrato la sua estraneità ai fatti. Dunque appare evidente
come la decisione di primo grado non sia stata sottoposta ad alcuna seria valutazione critica da parte
del giudice di appello.
1.2 Quanto al secondo motivo di gravame, con lo stesso la difesa rileva come la Corte di appello
non abbia in alcun modo affrontato la contestazione mossa dall’appellante alla pronuncia di primo
grado in relazione alla tipologia delle opere realizzate, alla loro qualificazione in termini di abuso
edilizio ed alle loro conseguenze. Anche questa censura è ampiamente fondata. Sul punto la Corte
di appello si limita ad affermare che “la sentenza impugnata risulta ottimamente argomentata” e
che “la ristrutturazione ha certamente comportato la totale modifica dell’edificio preesistente”. Sul
punto è appena il caso di richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale è
viziata da difetto di motivazione la sentenza di appello che, in presenza di specifiche censure su uno
o più punti della decisione impugnata, motivi “per relationem” limitandosi a richiamare
quest’ultima (Cass. sez. III, n. 24252/2010).
1.3 Per quanto concerne il terzo motivo di ricorso — con cui si lamenta la inosservanza di norme
processuali stabilite a pena di nullità inammissibilità e decadenza ed altresì, mancanza, nonché la
contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento
impugnato, da atti del processo e da mancata replica a specifica argomentazione difensive contenute
nell’atto di appello decisive ai fini dell’affermazione di responsabilità — occorre precisare che uno
dei motivi di appello riguardava il rigetto da parte del giudice di primo grado della richiesta di
ammissione della prova testimoniale dei due vicini dell’imputata. A detta della difesa tale
deposizione avrebbe dovuto chiarire tempi e modi degli interventi e permettere la corretta
qualificazione delle opere in contestazione. La richiesta è stata rigettata in primo grado per asserita
sufficienza dei dati istruttori. Tale determinazione ha costituito specifico motivo di impugnazione:
in particolare l’appellante ha chiesto la parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Anche in tal caso la Corte di appello ha replicato in termini apodittici. Difatti ha liquidato la
doglianza affermando che “giustamente non sono stati ammessi i nuovi testi e non deve procedersi
ora a riapertura del dibattimento”. Quindi, anche alla luce delle argomentazioni svolte con
riguardo al precedente motivo di ricorso, occorre ritenere la suddetta censura fondata.
2. In ossequio alle considerazioni suddette, la sentenza impugnata andrebbe annullata con rinvio per
nuovo esame. Nel frattempo, però, è maturata la prescrizione. I fatti di cui è causa, infatti, sono stati
accertatati in data 8 agosto 2006. Trattandosi di contravvenzione per cui la legge stabilisce la pena
della detenzione da uno a quattro anni, considerata la sospensione risultante dagli atti — dal 30
giugno 2009 al 7 ottobre 2009 — il termine di prescrizione è spirato in data 7 ottobre 2011.
Orbene il rinvio al giudice di merito risulta inconciliabile con il principio di immediata applicabilità
della causa estintiva di cui all’art. 129 co. 1 c.p.p. Dunque stante la fondatezza del ricorso occorre
annullare senza rinvio per essersi il reato estinto a causa di prescrizione.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma in data 28 novembre 2012.

3. Merita inoltre precisare, in ossequio agli insegnamenti più volte ribaditi da questa stessa Corte,
che nel caso di specie non ricorrono le condizioni necessarie per un proscioglimento nel merito ex
art. 129 co. 2 c.p.p. Difatti, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a
pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 129 co. 2 c.p.p. soltanto qualora le circostanze idonee ad
escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua
rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, in modo tale che la
valutazione richiesta al giudice risulti più vicina al concetto di “constatazione”, ossia di percezione
“ictu ocu/i”, che a quello di “apprezzamento” e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di
ulteriori accertamenti (Cass., Sez. Un., 35490/2009).

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