Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33301 del 27/06/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 33301 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LOLLO ANDREA N. IL 18/03/1980
avverso l’ordinanza n. 876/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
18/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
1Rtte/sentite le conclusioni del PG Dott. Ojeot.
(<2 cei'"L Uditi difens Avv.; Data Udienza: 27/06/2013 1. Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza resa il 18 ottobre 2012 la Corte di Appello di Napoli, pronunciando quale giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza, avanzata nell'interesse del conOannato Andrea Lollo, di correzione dell'errore materiale contenuto nella sentenza resa dalla stessa Corte in data 8/7/2010, irrevocabile il 12/3/2012, e di riduzione della pena a soli anni nove di reclusione, di scorporo della porzione di pena inflitta per i reati satellite rispetto a quello associativo, ritenuto più grave, e di applicazione dell'indulto. 2.Per l'annullamento di tale ordinanza il difensore del Lollo ha proposto ricorso per cassazione, col quale ha articolato i seguenti motivi: -vizio di motivazione ed inosservanza o erronea applicazione della legge in relazione al disposto dell'art. 130 cod. proc. pen.. La Corte di Appello aveva escluso la possibilità di emendare il calcolo contenuto nella sentenza col procedimento di correzione degli errori materiali senza avvedersi che la pena inflitta era illegale e tale da poter essere ricondotta a legalità anche dal giudice dell'esecuzione, mentre non poteva essere considerata l'ipotesi di un errore per difetto dell'aumento di pena stabilito per continuazione perché ciò avrebbe comportato un pregiudizio e non un vantaggio per il reo, in contrasto col principio che deve trovare applicazione anche nella fase dell'esecuzione. -Vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dell'indulto in ordine al delitto di cui al capo A) previa specificazione del "tempus commissi delicti": la sentenza di primo grado resa in sede di cognizione e richiamata nell'ordinanza impugnata aveva delimitato la condotta associativa al 12/4/2006 non soltanto ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante dell'art. 4 I. 146/2006, perché aveva rilevato l'assenza di elementi dai quali desumere una partecipazione all'associazione in epoca successiva all'entrata in vigore della predetta legge. -Vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dell'indulto per i reati di cui ai capi AO) e AQ), previa esclusione della circostanza aggravante dell'art. 80 d.p.r. 309/90, che poteva evincersi dalla motivazione della sentenza, laddove aveva riconosciuto la circostanza per altri reati e non per i due in questione ed aveva dettato criteri ponderali per ravvisare la sussistenza dell'aggravante nei casi di effettivo rinvenimento dello stupefacente e per escluderla quando la prova fosse stata dedotta da diversi elementi probatori. 3. Con requisitoria scritta depositata l' 1 febbraio 2013 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, dr. Oscar Cedranglo, ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è solo parzialmente fondato e va accolto nei limiti in seguito / specificati. 1 47 1.11 primo motivo di gravame ripete argomentazioni già prese in considerazione t dalla Corte territoriale e disattese con motivazione che risulta ineccepibile. Si è, ., infatti, rilevato che, in linea generale, il procedimento di correzione degli errori materiali non può essere utilizzato per emendare imprecisioni o errori che attengono alla sfera della cognizOne, ossia della ricostruzione probatoria del reato e della determinazione della pena, quando siano frutto di un percorso valutativo, ancorchè non condivisibile o difforme da norme di legge; tale operazione resta impedita dalla acquisita irrevocabilità del provvedimento giudiziale, contro il quale eventuali profili di illegalità avrebbero dovuto essere fatti valere con le ordinarie impugnazioni (Cass., sez. 2, n. 12991 del 19/02/2013, Stagno e altri, rv. 255197). 1.1 Inoltre, costituisce pacifico principio di diritto, quello per cui il dispositivo, il quale mediante la lettura in pubblica udienza acquista rilevanza esterna prima ancora che sia redatta e possa essere nota la motivazione, non può da questa essere modificato, sicchè, in caso di difformità, il primo prevale sulla seconda, costituendo l'atto con il quale il giudice estrinseca la volontà decisoria e l'applicazione al caso concreto della regola giuridica, mentre la motivazione ha la funzione strumentale di esternare e giustificare le ragioni in fatto ed in diritto della decisione (Sez. 5, n. 4973 del 18/10/1999, Cucinotta P, rv. 215769; seza. 2, n. 25530 del 20/5/2008, PG in proc. Laini, rv. 240649; sez. 5, n. 22736 del 23/3/2011, Corrado ed altri, rv. 250400; sez. F., n. 42922 dell'11/9/2012, Di Landro, rv. 253586; sez. 1, n. 43048 del 25/09/2012, Dicanosa, rv. 253630). In tali situazioni l'eventuale contrasto tra dispositivo e motivazione deve essere denunciato dall'interessato nella fase di cognizione con l'appropriato mezzo di impugnazione dell'appello o del ricorso per cessazione. 1.2 Diverso è il caso in cui si sia verificato un macroscopico errore nel procedimento di calcolo della pena, frutto di una svista o di non corretto computo aritmetico, oppure ancora di evidente abnormità della decisione, perché in questi casi in cui non sono ravvisabili aspetti di volontaria determinazione nella statuizione o quando il provvedimento si ponga al di fuori dell'ordinamento processuale e, come tale, risulti non consentito dal principio di legalità, lo stesso è emendabile anche in sede esecutiva (Cass., sez. 4, n. 26117 del 5/7/2012, Torna, rv. 253562; sez. 1, n. 12453 del 3/3/2009, PG in proc. Alfieri, rv. 243742; sez. 1, n. 4869 del 6/7/2000, PM in proc. Colucci, rv. 216746). 1.3 Nel caso in esame, la pena detentiva di nove anni ed otto mesi di reclusione, indicata nel dispositivo della sentenza della Corte di Appello, non risulta in sé illegale nella specie o nella misura individuata, perché non eccedente i limiti minimi o massimi stabiliti dalla norma penale incriminatrice in entità non valicabile per quella fattispecie criminosa, altra ipotesi in cui, contravvenendo la decisione al principio di legalità della pena, assistito da tutela costituzionale, s'impone, anche d'ufficio ed in sede esecutiva, l'intervento di correzione del giudice. 1.4 Né, per quanto premesso, è sufficiente per ottenere l'accoglimento di siffatta 77itt istanza che nella motivazione della sentenza di merito sia contenuto un errore nel 2 e. procedimento di calcolo che ha dato luogo alla pena finale irrogata quando tale scorrettezza non sia percepibile dal dispositivo e quando, come sostenuto nel provvedimento impugnato, potrebbe avere inciso, non sull'effetto riduttivo della diminuente di un terzo prevista per la sottoposizione dell'imputato al rito abbreviato, ma sulla misura dell'aumento disposto per la continuazione. Al riguardo, va soltanto aggiunto che non viene richiamato in modo pertinente per la soluzione del caso il principio del "favor rei", che deve guidare l'interprete quando si controverta in materia di continuazione, dal momento che l'istanza non poneva incidente di esecuzione per ottenere l'applicazione di tale istituto, ma soltanto questioni di interpretazione del giudicato alla stregua di quanto esposto in dispositivo ed in 2.Quanto alla determinazione del "tempus commissi delicti" in riferimento al reato associativo di cui al capo A), la rubrica indica quale data di cessazione della consumazione il giugno 2006 e la Corte di Appello ha rilevato che la diversa indicazione della data del 12 aprile 2006 sarebbe stata effettuata soltanto per escludere l'applicabilità della circostanza aggravante della transnazionalità delle condotte. In realtà, la lettura del passaggio motivazionale, richiamato testualmente nel ricorso, dimostra che il G.U.P. nella sentenza di primo grado, in ciò confermata da quella di grado successivo, ha espressamente affermato che i fatti di reato per cui è processo risultavano commessi in epoca antecedente l'entrata in vigore della legge n. 146/2006 e che "non vi sono elementi concreti per ritenere una partecipazione dei singoli imputati all'associazione in epoca successiva all'entrata in vigore della norma contestata". Tale riliev0 si è tradotto in un'esplicita statuizione di esclusione dell'aggravante, contenuta nel dispositivo della sentenza di primo grado, sul punto confermata da quella d'appello, senza che al contempo per errore si sia uniformata la decisione con l'espresso accertamento della cessazione della consumazione del delitto associativo in un momento antecedente l'entrata in vigore della legge n. 146/2006. 2.1 Per contro, la Corte territoriale in sede esecutiva propone una valutazione frazionata della circostanza aggravante rispetto al reato di cui la stessa è elemento accidentale, mentre la sua natura oggettiva e legata alle modalità di realizzazione della condotta, inducono a censurare tale operazione, pena una lettura irrazionale e contraddittoria della vicenda fattuale sottesa al processo e delle esplicite indicazioni contenute nella sentenza di condanna passata in giudicato. Pertanto, proprio valorizzando la parziale esplicitazione contenuta in dispositivo, deve ritenersi erronea la contraria decisione assunta col provvedimento impugnato. 3. Infine, anche la soluzione offerta alla questione della circostanza aggravante dell'art. 80 d.p.r. 309/90, che la Corte di Appello nell'ordinanza in verifica ha ritenuto essere stata ravvisata anche per i reati sub AO) e AP), non consente di approdare a conclusioni differenti ed a ritenere ammissibile il ricorso al procedimento di correzione degli errori materiali. Per quanto il G.U.P. nella motivazione della pronuncia di primo 74_, grado non abbia incluso testualmente nel novero dei delitti ritenuti aggravati agli effetti della norma citata i due episodi criminosi indicati dalla difesa, ciò non si è 3 motivazione. tradotto in una chiara ed esplicita esclusione della circostanza con statuizione inserita nel dispositivo, ma nemmeno nella motivazione stessa. Inoltre, anche facendo ricorso ai criteri ponderali e fattuali, esternati per poter ravvisare la circostanza dell'ingente quantità, nel caso del reato di cui al capo AO) l'imputazione riportava l'indicazione dell'importazione di dieci chilogrammi di cocaina al prezzo di 31.500 al kg., circostanze confermate dall'analisi delle emergenze probatorie offerte dalle intercettazioni, riportata nella pronuncia stessa di condanna. Pertanto, anche in questo caso la questione avrebbe dovuto essere sollevata con gli ordinari mezzi di impugnazione. Per le considerazioni svolte, l'ordinanza impugnata va parzialmente annullata A), con conseguente rinvio degli atti alla Corte di Appello di Napoli che procederà al rinnovato esame, limitSamente a tale punto, dell'istanza del condannato al fine di verificare la possibilità di applicazione dell'indulto. Il ricorso va nel resto respinto. P. Q. M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla data di commissione del reato associativo e rinvia per nuovo esame al riguardo alla Corte di Appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, il 27 giugno 2013. soltanto in riferimento alla data di commissione del reato associativo di cui al capo

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