Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33299 del 27/06/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 33299 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAGIOIA VINCENZO N. IL 03/06/1970
SERGIO MARTINO N. IL 16/08/1963
LABELLARTE EMANUELE N. IL 13/05/1969
avverso il decreto n. 10/2012 CORTE APPELLO di BARI, del
21/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
lette/sete le conclusioni del PG Dott. ,4..«24-{Ai O AljA.LeAQ- ed2

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Uditi difenso vv.;

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Data Udienza: 27/06/2013

Ritenuto in fatto

1.Con decreto emesso il 21 giugno 2012 la Corte di Appello di Bari,
riformando parzialmente il provvedimento reso dal Tribunale di Bari in data
13 luglio 2011, che aveva disposto la confisca ai sensi dell’art. 2-bis,
comma 4, della legge n. 575/65 dei beni già sottoposti a sequestro nei
confronti di Michele Labellarte, revocava la confisca di due conti correnti

ordinava la restituzione all’avente diritto, e confermava nel resto il decreto
impugnato.
1.1 A fondamento della decisione la Corte territoriale rilevava che era
stato pienamente dimostrato l’assunto accusatorio, secondo il quale il
Labellarte, -indiziato di appartenenza ad associazione di stampo mafioso e
privo di fonti di reddito proporzionate al valore dei beni a lui riferibili sino al
momento del suo decesso, avvenuto il 29/3/2009-, aveva costituito o
comunque gestito mediante prestanome, tra i quali il padre ed il fratello
Emanuele, nonché Sergio Martino e Vincenzo Lagioia, le otto società, aventi
le seguenti ragioni sociali: 2061 s.r.I., Panarale s.r.I., Uniedil s.r.I., l’Emiro
s.r.I., Alitrading s.r.I., Elleemme s.r.I., Labellarte Francesco s.r.I., Started
s.r.I., nonché i rapporti bancari e gli investimenti mobiliari indicati
analiticamente nel decreto del Tribunale, riferibili indirettamente alla sua
persona, nei quali aveva fatto confluire il denaro proveniente dalla truffa
all’Erario commessa tra il 1996 ed il 1998 mediante la società Let’s start,
dalla bancarotta fraudolenta relativa al fallimento della New Mamotech
s.r.I., -delitti per i quali aveva riportato condanna irrevocabile-, nonché dal
2002 in poi cospicue riserve di denaro liquido per circa sei miliardi di lire di
pertinenza dell’organizzazione di stampo mafioso denominata clan ParisiStramaglia, per conto del quale aveva svolto una costante attività di
riciclaggio dei proventi ricavati dalle sue intraprese criminose mediante
l’acquisizione di lotti di terreni, fabbricati di civile abitazione, capannoni
industriali per un valore dichiarato di euro 4.660.712,48.
In tal senso valorizzava quanto emerso: a) dalle dichiarazioni rese dai
collaboratori di giustizia Giovanni Di Bari e Giuseppe Settanni, b)dai colloqui
intercettati durante le indagini condotte nell’ambito del procedimento
penale c.d. “indagine Domino”, riguardanti in particolare le richieste degli
emissari di Savino Parisi e di quest’ultimo affinché il Labellarte si attivasse
per definire la situazione contabile dei conferimenti effettuati e recuperare i
capitali investiti; c) dalla documentazione contabile e bancaria acquisita, d)
dalla relazione trasmessa dall’amministratore giudiziario circa

intestati a Vincenzo Lagipia e dell’autovettura Mercedes tg. CA998YN, di cui

A

z

l’inattendibilità delle scritture contabili delle società, l’assenza di
giustificazione delle principali operazioni economico-finanziarie, l’immissione
nelle stesse di cospicui capitali mediante l’apporto finanziario dei soci in
assenza della tracciabilità dei mezzi impiegati, la gestione unitaria del
“gruppo” riconducibile a Michele Labellarte, il quale aveva utilizzato dei
prestanome quale intestatari fittizi nei rapporti ufficiali con gli istituti
bancari e con i terzi, ma aveva agito personalmente nell’impartire ordini e

quell’ingente patrimonio; e) dalle dichiarazioni del legale rappresentante di
una delle società delle gruppo, Vita Albergo, sul fatto di non essersi mai
occupata dell’impresa; f) dalle dichiarazioni rese da Gaetano Barone,
direttore della Banca Antonveneta di Valenzano, agli ispettori dell’istituto
circa la riconducibilità al Labellarte della Uniedil s.r.l. e delle altre imprese
del “gruppo”;
2. Avverso detto provvedimento hanno proposto separati ricorsi per
cassazione a mezzo dei rispettivi difensori, Emanuele Labellarte, Vincenzo
Lagioia e Sergio Martino.
2.1 L’avv.to Niccolò Alessandro Dello Russo per conto del Labellarte
ha dedotto:
-violazione dell’art. 2-ter I. 575/65 per avere la Corte di Appello confermato
la confisca delle quote del 10% della società L’Emiro, sebbene fosse stato
dimostrato che il ricorrente nel periodo 1992-2000 aveva percepito redditi
per lire 208.597.342 e dal 1994 col matrimonio non era stato più
convivente col fratello Michele, il che escludeva fosse applicabile alla sua
posizione la presunzione di appartenenza dei beni al proposto, anche
secondo la regolamentazione di cui al D.L. n. 92 del 2008, il quale ha
sancito tale presunzione con riferimento ai soli investimenti ed intestazioni
di beni effettuati nei due anni precedenti la proposta, condizione non
ricorrente nel caso in esame, in cui l’acquisto era avvenuto nell’anno 2001;
-violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. per inesistenza della motivazione e
violazione del giudicato di merito: la Corte di Appello aveva ignorato i dati
deducibili dalle dichiarazioni dei redditi prodotte agli atti ed aveva ritenuto
detti redditi di modesta entità senza indicare se gli stessi gli avessero
consentito l’esborso di 19 milioni di lire per l’acquisto della quota e senza
considerare che egli era stato assolto con sentenza irrevocabile dal delitto
di riciclaggio in riferimento alla qualità di socio della s.r.l. L’Emiro, per la
quale non aveva mai rivestito la qualità di amministratore o gestore,
circostanza che avrebbe richiesto l’indicazione delle ragioni dell’irrilevanza
di detta pronuncia.

2

direttive, dimostrando di essere il vero “dominus” della gestione di

2.2 L’avv.to Giuseppe Modesti nell’interesse di Vincenzo Lagioia ha
dedotto violazione di legge in relazione all’art. 2-ter, comma 4, della legge
n. 575/65 ed all’art. 4, comma 10, legge n. 1423/56. In particolare,
richiamato l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità circa gli oneri
probatori a carico dell’accusa nei confronti dei soggetti terzi interessati
rispetto al proposto, rappresenta che:
-l’esborso sostenuto, pari ad euro 30.000,00, per l’acquisto a titolo oneroso

preceduto dal versamento della somma di euro 90.000,00 effettuata in
favore del Lagioia dal padre Luigi, soggetto mai coinvolto nel procedimento,
e dalla cessione di immobili, avvenuta tra il 1998 ed il 2007, per il
corrispettivo di euro 140.000,00;
-tali dati erano stati ignorati dai giudici di appello, i quali avevano indicato
la necessità di parametrare i mezzi finanziari del terzo, non al denaro speso
per l’acquisto delle quote, ma al valore reale della società e del suo
patrimonio senza aver considerato che le imprese avevano acquisito i beni
mediante denaro bancario, garantito da fideiussione del ricorrente, il che
contrastava col suo ruolo di prestanome, e che tali importi non erano stati
restituiti dalla s.r.l. Panarale sino al bilancio chiuso al 31.12.2010,
abbattendo il valore del suo patrimonio netto;
-difettava la prova dell’assunzione del ruolo di intestatario fittizio delle
quote, ricostruita sulla base del mero sospetto e con l’indebita
sovrapposizione della posizione del terzo a quella del proposto;
-la motivazione era meramente apparente quanto all’operazione compiuta il
31/03/2007, non avvenuta mediante prelievo in contanti, ma mediante
emissione di assegno bancario, consegnato in pagamento ad Emanuele
Capozzi per l’acquisto di un immobile ceduto alla Panarale s.r.l. ed in
relazione all’interpretazione della conversazione del 5/3/2007 di
incitamento del Labellarte ad esso ricorrente a comportarsi “da padrone”,
qualità che quindi egli aveva rivestito effettivamente, mentre il ritenuto
riferimento ad avvalersi della forza intimidatoria del clan mafioso era frutto
della gratuita evocazione del metodo mafioso, non riferibile alla sua
posizione di terzo, non attinto da misura di prevenzione in proprio.
2.3 L’avv.to Francesco Paolo Sisto nell’interesse di Sergio Martino
denuncia a sua volta con unico motivo violazione di legge in relazione
all’art. 2-ter, comma 4, della legge n. 575/65 ed all’art. 4, comma 10, legge
n. 1423/56. Anche per la posizione del Martino si richiama la sua condizione
di terzo, resosi acquirente delle quote societarie dietro versamento di un
corrispettivo, l’assenza di prova certa dell’intestazione fittizia, come

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delle quote delle società Panarale s.r.l. ed Alitrading s.r.I., era stato

dimostrato dalla documentazione prodotta attestante la sua capacità
patrimoniale, l’accesso a numerosi prestiti che gli avevano offerto
disponibilità liquide per oltre 2.000.000 di euro, l’estraneità del Labellarte
alle società, il reperimento di finanziamenti dai soci e da imprenditori
interessati alle iniziative della Uniedil s.r.I., ma che non potevano figurare
quali suoi creditori per l’assenza di un titolo che legittimasse il versamento
del denaro direttamente nei suoi conti correnti. Inoltre, lamenta la carenza

inidonea a far comprendere il percorso seguito per giungere alla decisione.
3. Con requisitoria scritta depositata il 24 gennaio 2013 il Procuratore
Generale presso la Corte di Cessazione, dr. Antonio Gialanella, ha chiesto
dichiararsi inammissibili i ricorsi, quello del Labellarte perché presentato
mediante difensore che non risulta essere procuratore speciale ai fini della
proposizione del ricorso per cessazione, quelli degli altri ricorrenti per aver
denunciato omissioni ed incongruenze motivazionali inesistenti e
prospettato censure relative al giudizio di fatto.
4 Con memoria depositata il 20 giugno 2013 la difesa del Lagioia ha
replicato alla requisitoria del Procuratore Generale, ribadendo il dedotto
vizio di violazione di legge in relazione all’apprezzamento del requisito
imprescindibile per disporre la confisca di beni intestati a terzi, consistente
nell’intestazione fittizia di quei cespiti in realtà appartenenti al proposto.
5. In data 27 giugno 2013 la difesa del Martino ha depositato note
difensive di replica.

Considerato in diritto

I ricorsi sono inammissibili.
1. Giova premettere che, come puntualmente ricordato nella
requisitoria scritta del Procuratore Generale, per effetto della disciplina
stabilita dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 10, il
decreto con il quale la Corte di Appello decide in ordine al gravame
proposto dalle parti avverso il provvedimento del Tribunale applicativo della
misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (art.
3 della legge citata) è ricorribile per cessazione esclusivamente per
violazione di legge, vizio quest’ultimo nel quale è compreso, per consolidata
lezione interpretativa di questa Corte, quello della motivazione del tutto
omessa, ovvero apparente, costituente violazione dell’obbligo imposto dallo
stesso art. 4, comma 9, per cui la verifica conducibile in sede di legittimità
si deve arrestare alla corrispondenza degli elementi valorizzati nel
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della motivazione, priva dei requisiti di coerenza, completezza e logicità,

provvedimento impugnato ai criteri dettati dalla legge ed all’esistenza delle
ragioni della decisione. Il sindacato così contenuto, riconosciuto come non
irragionevole dalla Corte Costituzionale (sent. n. 321/2004), non si estende
quindi all’adeguatezza e coerenza logica del percorso giustificativo del
provvedimento impugnato.
1.1 A siffatta circoscrizione del perimetro cognitivo, proprio dei
procedimenti di prevenzione, si sommano i limiti intrinseci del giudizio di

di merito, né nella valutazione dei fatti, ma deve attenersi alla verifica della
correttezza giuridica e logica del provvedimento impugnato, rispetto alle cui
statuizioni la Corte di Cassazione non dispone del potere di sostituire una
propria alternativa decisione.
1.2 Va a questo punto ricordato che il procedimento valutativo tipico
del giudizio di prevenzione, funzionale ad un giudizio prognostico avente ad
oggetto la probabilità della futura commissione di reati, verte sulla
pericolosità sociale del soggetto, che per dar luogo alla sottoposizione alla
misura deve essere concreta ed attuale, desumibile da specifici
comportamenti (Corte Cost., 12/11/1987; Cass., sez. 5, n. 34150 del
22/09/2006, Commisso, rv. 235203; Cass. S.U., n. 6 del 25/03/1996,
Tumminelli, rv. 194063; sez. 6 n. 38471 del 13/10/2010 Barone, 248797),
per la cui ricostruzione il giudice di merito è legittimato a servirsi di
elementi di prova e/o indiziari tratti da procedimenti penali, anche se non
ancora conclusi, e, nel caso di processi definiti con sentenza irrevocabile,
anche indipendentemente dalla natura delle statuizioni conclusive in ordine
all’accertamento della penale responsabilità dell’imputato. Tale potestà
incontra due limiti: a) il giudizio deve essere fondato su elementi certi,
sottoposti a puntuale disamina critica per affermarne la refluenza sul
giudizio di pericolosità sulla base di un ragionamento immune da vizi logici;
b) gli indizi dai quali desumere la pericolosità sociale non debbono avere i
caratteri di gravità, precisione e concordanza, richiesti dall’art. 192 c.p.p.
soltanto per il giudizio idi responsabilità nel procedimento di cognizione
(Cass., sez. VI, n. 16030 del 18/12/2008; sez. 1, n. 6613 del 17/01/2008
n. 6613, Carvelli e altri, rv. 239358; sez. 1 n. 20160 del 29/04/2011,
Bagalà, rv. 250278). Resta dunque confermata la piena autonomia per
struttura e finalità dei due procedimenti, quello penale funzionale
all’accertamento della responsabilità in ordine ad una fattispecie di reato, e
quello di prevenzione, ancorato ad una valutazione di pericolosità attuale,
espressa mediante condotte che non necessariamente costituiscono reato,
con la conseguente esclusione di un rapporto di pregiudizialità del primo

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legittimità, che, com’è noto, non può addentrarsi nella revisione del giudizio

rispetto al secondo ed affermazione della reciproca indipendenza
nell’apprezzamento del materiale indiziario con l’obbligo di indicare nella
motivazione del decreto applicativo della misura le ragioni delle valutazioni
condotte.
2. La considerazione dei ricorsi alla luce dei superiori principi induce in
primo luogo ad escludere che il decreto impugnato sia affetto da violazione
di legge per totale carenza o apparenza della motivazione. Al contrario,

ai motivi d’appello propog, le ragioni di confutazione di tali censure.
2.1 Detto provvedimento non è incorso nemmeno nel denunciato vizio
di violazione di legge con riferimento alla valutazione dei requisiti per
l’applicazione al proposto ed ai terzi della misura di prevenzione reale,
mentre le impugnazioni si limitano a riproporre le medesime
argomentazioni, già esaminate e disattese dai giudici di merito, quali
doglianze in punto di omissioni giustificative nelle quali essi sarebbero
incorsi nel procedere alla verifica della lecita acquisizione dei beni confiscati
e della loro effettiva disponibilità.
3. In primo luogo si ritiene di dover disattendere l’eccezione
d’inammissibilità del ricorso, sollevata dal Procuratore Generale in
riferimento al ricorso di Emanuele Labellarte, assistito da difensore
effettivamente munito di procura speciale anche per la proposizione di
ricorso per cassazione.
3.1 Tanto premesso, l’impugnazione di Emanuele Labellarte ripropone
in primo luogo argomenti incentrati sull’effettiva titolarità della quota della
s.r.l. L’Emiro, acquisita mediante l’esborso dell’importo di lire 19.200.000,
effettuato in data 2/3/2001 mediante assegno bancario tratto sul proprio
conto corrente personale e compatibile con i redditi percepiti nei dieci anni
precedenti, pari a totali lire 208.597.342.
3.2 La Corte di Appello non ha affatto trascurato tali dati, ma li ha
ritenuti insufficienti sotto il profilo probatorio in ragione dell’esiguità dei
redditi annuali esposti nella dichiarazione fiscale e di quelli percepiti, pari ad
euro 8.748,00, nell’esercizio fiscale in cui era avvenuto l’acquisto della
quota, tali da consentire soltanto il mantenimento personale e non il
risparmio necessario ad effettuare l’investimento. In effetti tale valutazione
non è affatto apparente, né sotto altro profilo viziata, dal momento che il
reddito di circa 20.000.000 di lire annui, anche se rapportato ai valori degli
anni novanta e percepito per nove anni consecutivi dal 1992 al 2000,
secondo dati di comune esperienza, era effettivamente appena sufficiente a
soddisfare le esigenze primarie di una famiglia, anche se composta da sole
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esso illustra in modo adeguato, chiaro e comprensibile, oltre che aderente

due persone, cui però dovevano aggiungersi anche i due figli Anna e
Francesco, chiamati alla successione dello zio Michele per rappresentazione
del padre, che ha rinunciato all’eredità, e detto reddito, nell’assenza di
cespiti immobiliari e di altre forme di investimento mobiliare, non
consentiva di accumulare risparmi da poter investire in un acquisto non
immediatamente produttivo di altra ricchezza.
3.3 Inoltre, contrariamente a quanto denunciato col ricorso, il

presunzione relativa, sancita dalla legge n. 575 del 1965, art. 2-ter, di
appartenenza al proposto dei beni del coniuge, dei figli e degli altri
conviventi: ha valutato lo stretto legame parentale con il proposto quale
motivo di sospetto, quindi non ha arrestato la propria analisi a tale
constatazione, ma ha ricavato elementi di convincimento dalla natura
“familiare” della società L’Emiro, le cui quote erano intestate ai due genitori
con lui conviventi ed al fratello del Labellarte e la cui rappresentanza legale
era stata assegnata al padre, il quale, parimenti coinvolto dalla confisca,
non ha nemmeno proposto ricorso per cassazione. Inoltre, a tale rilievo ha
aggiunto la constatazione della titolarità in capo al ricorrente ed ai genitori
del c/c nr. N11408j, utilizzato in realtà dal fratello Michele, dell’intestazione
alla società L’Emiro di altri conti correnti, accesi presso due istituti di credito
differenti, in sé in numero esorbitante le esigenze di impresa non produttiva
di beni o di servizi, rína soltanto titolare di diritti su beni immobili,
dell’impiego di tali conti da parte sempre dal proposto per operazioni infra
gruppo, ossia riguardanti altre imprese riferibili alla sua persona.
3.4 Con specifico riferimento al terreno ubicato in Valenzano, c.da Via
Vecchia di Casamassirna, formalmente intestato alla società l’Emiro, i
giudici di merito hanno rilevato che le indagini patrimoniali condotte dalla
G.d.F. avevano evidenziato come il bene fosse oggetto dell’attività di
riciclaggio e reimpiego di denaro proveniente dalla società fallita New
Memotech Start s.r.I., per la cui condotta distrattiva Michele Labellarte era
stato condannato con sentenza irrevocabile nel procedimento nr. 13341/02.
3.5. Hanno quindi concluso in modo del tutto coerente con tali premesse
che anche l’impresa L’Emiro facesse capo, nonostante l’apparente titolarità
delle quote ai familiari, ad un unico centro di interessi, gestito dal Labellarte
per sé e per i suoi referenti mafiosi, investitori occulti del denaro provento
di attività criminose.
3.6 Infine, non si comprende la rilevanza della deduzione difensiva,
secondo la quale in senso contrario alla tesi dell’intestazione fittizia di beni,
in realtà di pertinenza del proposto, militerebbe l’intervenuta assoluzione
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provvedimento impugnato non si è limitato a fare applicazione della

nel giudizio per riciclaggio, addebito ascrittogli per avere ostacolato
l’accertamento della provenienza delittuosa del denaro derivante dalla
bancarotta della New Memotech s.r.I.: premesso che il giudicato, per
quanto esposto nel ricorso, investe soltanto il contributo concorsuale offerto
alla consumazione del riciclaggio da parte del ricorrente, ma non esclude la
provenienza del denaro investito dalla massa attiva della società fallita, al
contrario, l’accertamento dell’assenza di poteri di gestione, amministrazione

nonostante la qualità formale di socio, avvalora l’assunto accusatorio di una
intestazione

meramente

apparente,

non

tradottasi

nell’effettivo

conferimento dei poteri societari, riconducibili invece al fratello, vero titolare
e gestore dell’impresa.
4. Vincenzo Lagioia a sua volta fa valere la sua qualità soggettiva di
terzo interessato e non di proposto, in ragione dell’acquisto a titolo oneroso
delle quote, avvenuto cqn mezzi finanziari di origine lecita, non sottoposto
quindi agli effetti della presunzione relativa, valevole per i familiari del
proposto.
4.1 L’assunto è corretto in linea generale, ma nello specifico trascura
che i giudici di merito non hanno fondato la decisione su tale presunzione,
quanto sulla ritenuta incapienza del patrimonio del ricorrente e sulla natura
e sulle modalità di gestione delle due società di cui avrebbe acquisito le
partecipazioni. Sotto il primo profilo hanno evidenziato che il raffronto
doveva essere condotta, non già tra i redditi del Lagioia e l’esborso
necessario all’acquisizione delle quote, quanto tra i primi e l’effettivo valore
delle quote stesse in relazione al patrimonio delle due società e che siffatti
termini di comparazione le disponibilità del ricorrente non erano sufficienti a
consentirgli l’acquisto, anche perché la s.r.l. Panarale e la s.r.l. Alitrading
non avevano conseguito il loro patrimonio nel tempo mediante lo
svolgimento di attività commerciale reale ed effettiva, grazie all’apporto di
un capitale modesto ed al successivo lavoro svolto, ma erano mere scatole
vuote, costituite appositamente per fungere da intestatarie di proprietà
immobiliari e di conti correnti su cui far confluire proventi di reati e dare
loro l’apparenza di liceità, quali strumenti giuridici e materiali per la
perpetrazione del riciclaggio. Conclusione non apoditticamente affermata,
ma giustificata in base ad un compendio probatorio solido e coerente,
analizzato nei suoi singoli elementi dimostrativi, ritenuti univocamente
indicativi della strumentalizzazione delle due società, come delle altre
facenti parte del ” gruppo Labellarte”, al reinvestimento di proventi di
origine illecita, secondo quanto affermato dai collaboratori di giustizia,
8

e rappresentanza della società L’Emiro in capo ad Emanuele Labellarte,

riscontrati dall’attività di intercettazione, dagli accertamenti condotti dal
GI.CO . della G.d.F., dalla documentazione bancaria e dal fatto che la
Alitrading s.r.I., di cui il ricorso preferisce non occuparsi, non ha mai
realmente operato.
4.2 Per contro il ricorso oppone a tali argomentazioni la disponibilità di
denaro liquido, derivante per il Lagioia da un bonifico bancario effettuato in
suo favore dal padre per 90.000,00 euro tre mesi prima dell’acquisto delle

1998 al 2007, dati fattuali già considerati e ritenuti non decisivi dai giudici
di merito. Inoltre, premesso che sotto quest’ultimo profilo la percezione dei
corrispettivi dell’alienazione di immobili in sé appare scarsamente
significativa, perché non correlata ad un’analisi completa delle vicende
patrimoniali del ricorrente nell’ampio periodo di dieci anni indicato, va
aggiunto che il decreto impugnato non ha affatto seguito il percorso
argomentativo indicato in ricorso, ossia non si è ricavata la prova della
riconducibilità del capitale sociale della s.r.l. Panarale al dominio diretto del
Labellarte dalla premessa che gli investimenti immobiliari della società
costituivano attività di forma di riciclaggio da parte di esponente mafioso,
perché dapprima si sono analizzati gli elementi dimostrativi della
pericolosità sociale del proposto, poi l’incapienza del patrimonio del Lagioia
ad effettuare l’acquisto di una partecipazione dal valore di gran lunga
superiore all’esborso all’apparenza sostenuto, quindi si sono considerate le
modalità di gestione delle imprese ed i rapporti personali tra il Lagioia e
Michele Labellarte.
4.3 Quanto alle fonti di finanziamento della Panarale s.r.I., non
risponde nemmeno al vero che i giudici di appello abbiano ritenuto
ininfluente il dato documentale dell’accesso al credito bancario, perché il
decreto in verifica pone in relazione l’erogazione dei mutui con le garanzie
offerte grazie alle connessioni tra società del gruppo Labellarte, mentre
l’accenno alle fideiussioni prestate dal ricorrente appare generico non
indicandosi come, quando, per quali importi tali garanzie personali
sarebbero state prestate, né dimostrandosi in via documentale tali
circostanze, per cui l’impugnazione sul punto finisce per essere priva di
autosufficienza.
4.4 Parimenti generica è la doglianza che lamenta l’omessa
considerazione delle passività maturate dalla Panarale s.r.l. pari ad oltre un
milione di euro, dato che avrebbe abbattuto il valore del patrimonio netto
ed inficiato il giudizio di sproporzione tra capacità patrimoniali del ricorrente
e valore del patrimonio societario: è agevole replicare che il richiamo

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quote e il ricavato dalla cessione di beni immobili, effettuato nel periodo dal

riguarda la situazione finanziaria evidenziata nel bilancio chiuso al
31/12/2010, ossia ad un esercizio successivo di quasi due anni al decesso
del Labellarte, avvenuto nel marzo 2009, senza che sia nemmeno allegata e
dimostrata la sua sovrapponibilità a quella esistente diversi anni prima
quando il Lagioia aveva acquistato le sue partecipazioni e senza comunque
indicare l’incidenza delle esposizioni sull’attivo patrimoniale.
4.5 Non ritiene poi questa Corte che sia ravvisabile il vizio di

applicazione ad un terzo dei criteri di valutazione valevoli nei confronti del
proposto: i giudici di merito non si sono affidati a congetture ed illazioni,
ma hanno valorizzato la particolarità del coinvolgimento di un avvocato
civilista in iniziative imprenditoriali in associazione ai familiari di un noto
pregiudicato in odore di appartenenza mafiosa, l’inverosimiglianza della
giustificazione fornita dal ricorrente circa le ragioni economiche
dell’acquisizione della partecipazione in società, una del tutto estranea ai
suoi interessi, l’altra incongruamente destinata alla gestione dei pochi beni
immobili di famiglia secondo le direttive impartite da un soggetto
pregiudicato e di dubbia reputazione, l’effettiva decisiva ingerenza del
Labellarte nella gestione delle due società e nel compimento di operazioni
immobiliari della Panarale s.r.l. mediante indicazioni, direttive, decisioni che
egli non aveva alcun titolo per assumere, l’affluenza di liquidità nei conti
della società ed in quelli personali del Lagioia di ammontare superiore a
quelle derivanti dalle cessioni di beni e dalla capacità di risparmio
individuale in funzione dei redditi dichiarati e di quelli percepiti.
4.5.1 Risulta significativo che il ricorso non affronti la questione della
intromissione del Labeflarte nell’effettuazione di operazioni bancarie,
finanziarie ed immobiliari, eseguite dal Lagioia sulla base delle indicazioni
ricevute dal primo, attestate dall’intercettazione di conversazioni, riportate
nel provvedimento e non contestate sotto alcun profilo, se non con
riferimento alla sollecitazione del Labellarte, rivolta al ricorrente, a
comportarsi da “padrone”: proprio tale impulso, a prescindere se diretto a
far valere il potere di intimidazione del clan mafioso o meno, perché
proveniente dal proposto, che nessun interesse aveva ad interferire nei
rapporti tra il terzo ed il direttore dell’istituto bancario, riguarda la linea di
condotta che il Lagioia doveva tenere in base al suo ruolo formale di
rappresentante legale della Panarale s.r.I.. Inoltre, il provvedimento ha
preso in considerazione altri dialoghi ove i due avevano discusso dei
contatti con personaggi malavitosi e dei rischi connessi e, in altra
occasione, delle modalità di effettuazione di un’operazione di cambio di
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violazione di legge, denunciato in riferimento alla dedotta indebita

contatti con personaggi malavitosi e dei rischi connessi e, in altra
occasione, delle modaldIà di effettuazione di un’operazione di cambio di
assegni circolari, in quel momento in possesso del Labellarte, che ne aveva
anticipato i passaggi in modo da far transitare le relative somme sul conto
della Panarale s.r.I., acceso presso la Banca Antonveneta di Bari-Palese,
ove entrambi si sarebbero recati assieme ed ove in effetti in pari data
5/3/2007 il Lagioia aveva effettivamente versato 95.000,00 euro sul proprio

società con la causale “‘finanziamento soci”, aveva versato un assegno
tratto dalla s.r.l. Casale per 105.000 euro per poi disporre della somma di
250.000 euro in favore di tale Emanuele Capozzi.
4.5.2 Che poi tale somma non fosse stata prelevata in contanti, ma
oggetto di un assegno bancario tratto all’ordine del predetto Capozzi, nulla
toglie ai dati probatori aqquisiti, evidenziati dalla Corte di Appello, ossia che
l’operazione era stata Olotata dal Labellarte, il quale aveva fornito parte
della provvista ed aveva detenuto previamente gli assegni che l’avevano
costituita e che il Lagloia aveva seguito le istruzioni impartitegli dal
Labellarte per compiere un atto gestori°, cui questi era formalmente
estraneo.
4.6 Infine s’impone il rilievo che le doglianze del ricorrente, oltre ad
essere per lo più infondate, si risolvono in una contestazione della
valutazione operata dalla Corte territoriale sui dati fattuali, fondata su una
compiuta motivazione, che non può essere messa in discussione quando
non sia priva di qualsiasi coerenza, logicità e tale da essere incomprensibile
e da non rendere ostensibili le ragioni della decisione.
5. In analoghe carenze incorre il ricorso proposto da Sergio Martino.
5.1 In primo luogo, va rilevato che la memoria difensiva, trasmessa
dal ricorrente, incorre nella sanzione dell’inammissibilità perché pervenuta
il giorno dell’udienza di trattazione del procedimento e quindi oltre il
termine prescritto dall’art. 611 cod. proc. pen.; pertanto, le argomentazioni
difensive in essa sviluppate non possono essere prese in considerazione, dal
momento che l’intempestività del deposito esime dall’obbligo di esaminarle.
5.2 L’impugnazione in esame richiama genericamente la
documentazione prodotta a dimostrazione dell’acquisizione lecita della
partecipazione societaria e della capienza del proprio patrimonio a
sostenere i costi relativi e rappresenta altrettanto genericamente che il
Martino avrebbe fruito di prestiti da parte di imprecisati imprenditori, che
non avrebbero potuto operare quale finanziatori della Uniedil s.r.l. per
mancanza di un titolo giuridico che li legittimasse a far confluire
Il

conto corrente, quindi aveva bonificato la stessa somma sul conto della

direttamente quanto erogato nei conti ufficiali della società: l’assunto è
tanto vago, quanto inconsistente, dal momento che non si vede e non viene
specificato in ricorso quale ostacolo legale impedisse a terzi di fungere da
erogatori di finanziamenti in favore della società nell’ambito di un palese
rapporto negoziale di mutuo, ottenendo magari garanzie reali a tutela dei
loro diritti, oppure cosa ostacolasse l’assunzione in capo a tali finanziatori
della formale qualità di socio. Inoltre, il richiamo all’assenza di qualsiasi

formale ed apparente desunta dalla documentazione ufficiale, smentita
dalle risultanze delle investigazioni condotte, puntualmente esaminate nel
decreto impugnato.
5.3 L’atto di gravame non affronta e non confuta analiticamente il
diffuso percorso argomentativo, esposto dai giudici di appello, trincerandosi
dietro la deduzione della totale carenza di motivazione o dell’assoluta sua
illogicità per travisamento dei dati probatori, che, al contrario, risultano
considerati in modo fedele ed adeguato. In particolare, non si contestano in
modo specifico i rilievi sul ruolo decisionale rivestito dal Labellarte:
– nella vita e nell’attività della Uniedil s.r.l. quanto all’intestazione alla
società del padre Francesco Labellarte di un terreno che avrebbe dovuto
essere acquisito dalla Uniedil s.r.l. e che poi, non potendo il Martino
comparire dal notaio per il relativo rogito, il proposto aveva deciso di
intestare al padre;
– nella preparazione degli atti notarili riguardanti la cessione di quote delle
società Panarale s.r.l. e 2051 s.r.I.;
-nella decisione circa l’intestazione al Martino delle quote della defunta
Caterina Lanza con rinuncia scritta da parte del Lagioia al diritto di
prelazione;
– nei pagamenti degli oneri notarili per gli atti inerenti le vicende societarie;
– nell’esistenza di un contratto preliminare cui dare attuazione prima di
concludere le trattative con i costruttori La Cara;
– nella presenza del Latiellarte presso gli istituti bancari unitamente al
Martino per l’effettuazione di operazioni concernenti la società 2051 s.r.l. e
nella conclusione di accordi con il direttore della filiale del Credem per
l’effettuazione di operazioni bancarie;
-nella cessione della quota di Alitrading s.r.I., già nella titolarità di Daniela
Buono, al Lagioia, trattata dal marito della donna direttamente col
Labellarte, il quale aveva chiesto ragguagli al tenutario delle scritture
contabili D’Alessandro sui tempi necessari per la cessione e cinque giorni
dopo la stessa aveva comunicato al Martino di avere deciso di porre in
12

cointeressenza del Labeilarte è frutto della considerazione della sola realtà

-

liquidazione l’impresa con propria unilaterale determinazione, convocandolo
per formalizzare la decisione con delibera assembleare.
Tali precise circostanze di fatto sono state valorizzate per sostenere
che il Martino, nonostante l’assunzione di cariche formali e di partecipazioni
societarie, aveva agito quale mero esecutore delle volontà e delle decisioni
assunte dal Labellarte, che per tale ragione nel proprio testamento,
rinvenuto in sede di perquisizione presso l’abitazione della sorella, aveva

collaboratore Settanni ha spiegato quale forma di remunerazione
riconosciuta al ricorrente, che l’aveva sottoscritta per accettazione, per
l’attività svolta negli anni a favore del testatore: trattasi di un dato
probatorio ritenuto confermativo del vincolo di collaborazione esistito tra il
ricorrente ed il proposto, non confutato sotto alcun profilo

con

l’impugnazione.
5.4 Parimenti, il ricorrente non contesta nemmeno il valore
significativo assegnato alle conversazioni intercettate nelle quali i congiunti
del Labellarte avevano discusso del trasferimento di quote da parte del
Martino, che non aveva inteso procedervi, cosa che ha un significato
probatorio preciso perché indicativa della riferibilità delle quote stesse al
proposto.
5.5 Per le considerazioni svolte, deve escludersi che il decreto
impugnato sia incorso nei vizi denunciati; l’impugnazione del Martino
richiama consolidati principi interpretativi, che pere) risultano puntualmen te
applicati e si risolve nella deduzione di circostanze di fatto, al più rilevanti
sul piano della illogicità dei rispettivi passaggi motivazionali, censurati nel
decreto impugnato, ma estranei alle doglianze deducibili in questa sede,
nella quale, come già esposto in premessa, i vizi della motivazione rilevano
solo quando sussista la carenza o l’apparenza delle giustificazioni del
provvedimento impugnato.
Per le ragioni espOste i ricorsi vanno dichiarati inammissibili con la
conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno, in relazione ai ‘profili di colpa, insiti nella proposizione di siffatte
impugnazioni, al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende, che
si reputa equo determinare di euro 1.000.

P. Q. M.

13

inteso beneficiarlo della somma di 1.000.000 di euro, lascito che il

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e, ciascuno, della somma di euro 1.000 (mille) alla
Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2013.

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