Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33297 del 22/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 33297 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PALLA STEFANO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SCATAMBURLO LUCIANO N. IL 27/10/1958
CHECCHIN MELI N. IL 30/01/1961
>t t LIA
avverso la sentenza n. 1/2013 TRIBUNALE di TRENTO, del
22/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. STEFANO PALLA;

Data Udienza: 22/05/2014

Scantamburlo Luciano e Checchin Ornella ricorrono avverso la sentenza 22.5.13 del Tribunale di
Trento con la quale, in parziale riforma di quella in data 18.10.12 del locale giudice di pace,
qualificato il reato ai sensi del comma 1 dell’art.595 c.p., è stata rideterminata la pena in C 1.000,00
di multa per ciascuno.
Deducono i ricorrenti, con il primo motivo, violazione dell’art.606, comma 1, lett.b) c.p.p. , per non

circa la tempestività dell’atto di querela, presentato ben cinque mesi dopo i fatti.
Inoltre — lamentano i ricorrenti — il danno era stato liquidato, senza alcuna motivazione, in ben
40.000 euro nonostante la parte lesa, ‘noto magistrato veneziano’, non avesse provato alcunché, per
cui si chiedeva anche la sospensione ai sensi dell’art.612 c.p.p.
Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art.606, comma 1, lett.c) c.p.p. per avere il giudice
di primo grado pronunciato condanna per il reato di cui al comma 2 dell’art.595 c.p., nonostante
l’aggravante non fosse mai stata contestata agli imputati, con conseguente violazione dell’art.522
c.p.p. e nullità della sentenza di primo grado, nonché violazione dell’art.78, comma 1, lett.d) c.p.p.
per mancata esposizione delle ragioni legittimanti la costituzione di parte civile, trattandosi nella
specie — secondo i ricorrenti — di un atto di costituzione generico che non indicava le ragioni che
giustificavano la domanda.
Altro profilo di illegittimità era da ricondursi al capo di condanna relativo alle spese di parte civile,
essendo in appello intervenuta una parziale riforma che avrebbe dovuto comportare una
compensazione delle spese, mentre altro vizio era da rivenirsi nella mancata astensione da parte del
giudice di pace, il quale aveva anticipato fin dalle prime battute del dibattimento il suo giudizio di
colpevolezza, giungendo , solo perché le sue dichiarazioni erano
incompatibili con quelle dei testimoni di accusa, sollecitando inoltre più volte il p.m. alla
trasmissione dei verbali di deposizione alla Procura onde procedere per il reato di cui all’art.372 c.p.

essere stata accolta l’eccezione di tardività della querela nonostante fossero presenti solo indizi

ed influendo in tal modo sulla libertà di autodeterminazione dei testi, in particolar modo dei figli
degli indagati.
Con l’ultimo motivo si deduce violazione dell’art.606, comma 1, lett.e) c.p.p. con riferimento alla
decisione del giudice di appello di ritenere preclusa la questione della imparzialità del giudice, che
avrebbe dovuto invece — secondo i ricorrenti — essere valutata anche alla luce della , laddove peraltro era emerso che la Checchin mai aveva

elementi concreti, non considerati dai giudici di merito, per poter ritenere la tardività della querela
contro di loro proposta.
Correttamente è poi stata ritenuta la validità della costituzione di parte civile, dall’atto di
costituzione risultando le ragioni giustificatrici della domanda risarcitoria (commissione di un reato
con conseguente obbligo di risarcimento del danno derivante dalle sofferenze patite), mentre la

relazione alla lesione dell’immagine prodotta alla p.o. , di rilevante gravità in considerazione delle
caratteristiche soggettive e professionali della stessa (magistrato in servizio presso la Procura della
Repubblica di Trento), di cui veniva posta in discussione l’onestà.
Legittimamente, poi, non sono state concesse agli imputati le attenuanti generiche, alla luce dei
criteri di cui all’art.133 c.p., in ragione , della gravità del danno e della intensità del dolo,
avendo sul punto il giudice di appello escluso l’estemporaneità delle frasi diffamatorie,
sottolineandone la propalazione in una sorta di crescendo in cui ogni coniuge confermava ed
enfatizzava, inducendo < a sua volta l'altro coniuge a continuare nelle dichiarazioni >.
Da ultimo, manifestamente infondata è pure la doglianza relativa alla condanna alla rifusione anche
delle spese sostenute dalla parte civile in appello, in assenza di prospettazione alcuna, da parte dei
ricorrenti, di elementi che giustifichino una compensazione delle stesse, permanendo, anche in
secondo grado, l’affermazione di responsabilità dei due imputati, qualificata solo come
diffamazione non aggravata, secondo peraltro la stessa iniziale prospettazione accusatoria.
Alla inammissibilità dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che reputasi equo determinare in
€ 1.000,00.

3

quantificazione del danno (10.000,00 euro per ciascun imputato) è stata congruamente motivata in

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricodenti al pagamento, ciascuno, delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Roma, 22 maggio 2014

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