Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33292 del 22/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 33292 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BARONE GIUSEPPE N. IL 13/03/1971
avverso la sentenza n. 4167/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
27/03/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 22/05/2014

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza emessa in data 27 maggio 2009 dal locale Tribunale, appellata da BARONE Giuseppe, dichiarato responsabile del delitto di detenzione per la vendita di merce con marchio contraffatto, commesso il 10
maggio 2006.
Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo vizio di motivazione sulla personale responsabilità e sull’elemento soggettivo circa la consapevolezza di falsità dei prodotti messi in
vendita; con un secondo motivo deduce violazione di legge quanto alla qualificazione giuridica,
dovendosi ritenere il delitto di cui all’art. 517 c.p. e non il delitto contestato, per l’evidenza della
falsificazione del marchio.
Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile in quanto generico e manifestamente infondato
poiché la Corte di merito ha chiaramente evidenziato come la ricostruzione del fatto in sede dibattimentale avesse dimostrato sia la qualifica di addetto agli acquisti della società, in capo al
prevenuto, immediatamente convocato da uno dei soci al momento dell’intervento della Guardia
di Finanza, sia la falsità del documento che avrebbe dovuto giustificare la provenienza dei beni
essendo risultata inesistente o comunque inattiva la società che figurava aver ceduto la merce.
Quanto alla configurabilità del delitto contestato correttamente la Corte di merito ha rilevato quale sia l’oggetto di tutela del delitto di cui all’art. 474 c.p., la pubblica fede nella corretta provenienza della merce posta in vendita, a tutela in primo luogo del produttore titolare del marchio e
non tanto dell’acquirente.
Peraltro ha rilevato la Corte territoriale come manifestamente infondata fosse la doglianza del
prevenuto sul dolo laddove aveva cercato di giustificare un acquisto illecito con falsi documenti
e dove aveva messo in vendita i beni alla metà del prezzo di quelli originali, mascherando la
vendita come un saldo, fuori del periodo a tali operazioni dedicato.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in E. 1.000,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di E. 1.000,00# alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 22 maggio 2014.

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