Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33270 del 26/06/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 33270 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ZAMPETTI UMBERTO

Data Udienza: 26/06/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIBELLI SAVINO N. IL 24/12/1984
avverso la sentenza n. 49/2011 CORTE ASSISE APPELLO di
NAPOLI, del 06/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Doti UMBERTO ZAMPETTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Viro O’ hinckDS
che ha concluso per ìe. it(cs e-11’3 dx.e 4,;c,o-z.44

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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71.1.

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Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 06.03.2012 la Corte d’assise d’appello di Napoli
integralmente confermava la pronuncia dì primo grado, resa in esito a rito abbreviato,
che aveva dichiarato Savino Cibelli colpevole di concorso (con tale Mario Ferraro,
giudicato a parte) nei reati di omicidio volontario e rapina, così condannandolo,
esclusa la contestata aggravante della crudeltà, in concorso di attenuanti generiche,
di anni 15 di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge.Con la stessa sentenza l’anzidetto imputato era condannato altresì al risarcimento
dei danni, più spese di lite, in favore delle costituite parti civili alle quali era assegnata
una provvisionale nei termini di cui in atti.2. In fatto era risultato certo, per ammissione dello stesso imputato e del
complice, in sostanziale concordanza con í dati di generica, che i due giovani avessero
organizzato un furto ai danni di Sabino Cipolletta, omosessuale 65enne, in casa di
costui, avendolo poi ucciso con plurimi colpi di un martello da muratore tutti indirizzati
alla testa. Il fatto era avvenuto nel paese dì Contrada il 29.09.2009.Ciò posto, la Corte territoriale dichiarava l’inammissibilità, ex art. 443, terzo
comma, Cod. proc. pen., dell’appello del P.M. che aveva chiesto che fosse riconosciuta
l’aggravante ex art. 61 n. 4 Cod. pen. esclusa in primo grado.Quanto all’appello dell’imputato, la Corte napoletana, respingendo tutti i motivi del
gravame, riteneva (per quanto ancora ha rilievo nella presente sede) : a] sussistente
chiaro dolo omicidiario intenzionale (di proposito), esclusa dunque la chiesta ipotesi
prerintenzionale : lo stesso Cibelli aveva ammesso di avere colpito la vittima cinque o
sei volte alla testa con un martello tipo mazzetta da muratore che si era portato
dietro; si trattava -rilevavano i giudici di secondo grado- di una “programmazione
criminosa che sfiora i confini della premeditazione”;

sussistevano invero tutti i

parametri per riconoscere la piena intenzionalità maggiore in considerazione della
reiterazione dei colpi, della localizzazione degli stessi, della forza impressa, della
micidialità del mezzo usato; t)] di contro insussistente la chiesta provocazione, sia
pure putativa -addotta in relazione all’ipotesi che, a fronte del rifiuto di esso imputato
alla richiesta della vittima di avere un rapporto completo, il Cipolletta lo avrebbe
minacciato- sia per l’inverosimiglianza della prospettazione, in considerazione del
contesto, sia avuto riguardo alle modalità esecutive che erano iniziate con colpi dati
da tergo, in presenza, comunque, di macroscopica sproporzione; c] adeguata infine la
pena inflitta, ritenute le gravissime modalità esecutive e la particolare intensità del
dolo, secondo il seguente schema : anni 23 per l’omicidio, pena ridotta ad ani 19 per
le attenuanti generiche, aumentata ad anni 22 e mesi 6 per la continuazione con la
rapina; pena infine abbattuta di un terzo ex art. 442 Cod. proc. pen.-

ritenuta la continuazione tra i due delitti, e con la diminuente del rito, alla pena finale

3. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto imputato
che motivava l’impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in
particolare argomentando -in sintesi- nei seguenti termini :
a)

errata qualificazione del fatto omicidiario come volontario, anziché

preterintenzionale, con illogica motivazione sul punto; si era trattato di una reazione
scomposta a fronte delle avances della vittima; i colpi, cinque, erano stati inferti “solo
ed esclusivamente al capo”; le argomentazioni della Corte, per sostenere il dolo
intenzionale, erano “possibilistiche e congetturali”;

b) errato diniego dell’attenuante della provocazione, anche putativa, posto che egli
aveva reagito a comportamento ingiusto del Cipolletta;
c) non giustificata dosimetria della pena, sia per la pena base, sia quanto alle
generiche, sia infine a titolo di continuazione, non essendo stati valutati la corretta
condotta processuale e la confessione resa.Considerato in diritto
1. Il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione, deve essere
dichiarato inammissibile con tutte le dovute conseguenze di legge.2. E’ del tutto infondato, invero, il primo motivo di ricorso [v. sopra, sub ritenuto,
al §. 3.a] che censura il diniego della qualificazione giuridica della condotta sub specie
omicidio preterintezionale. La Corte territoriale, sul punto, ha esplicato motivazione
assolutamente corretta, intrinsecamente logica, coerente ai dati di causa, nonché
conforme ai parametri normativi e giurisprudenziali in materia. Va dunque ricordato
come la fattispecie di cui all’art. 584 Cod. pen. non possa essere ritenuta in presenza
di un dolo anche solo eventuale, perché in tal caso sussiste il reato di omicidio
volontario. Il criterio discretivo tra le due figure consiste, dunque, nell’elemento
psicologico, nel senso che per aversi il delitto preterintenzionale l’evento morte deve
essere escluso, nella previsione dell’agente, anche solo come possibile in via
eventuale, ove se ne accetti il rischio (in tal senso, ex pluribus, cfr. Cass. Peri. Sez.
1°, n. 35369 in data 04.07.2007, Rv. 237685, Zheng; Cass. Pen. Sez. 1°, n. 30304 in
data 30.06.2009, Rv. 244743, Montagnoli; ecc.). Orbene, nella presente fattispecie i
giudici del merito hanno ritenuto un dolo intenzionale (di proposito) al limite della
premeditazione (gli agenti si erano portati dietro un martello da muratore), in una
situazione di fatto -non più discutibile in questa sede di legittimità- di eloquente
evidenza. E’ tutt’altro che congetturale, come sostiene i ricorrente, la motivazione
che, in presenza di numerosi colpi inferti al capo con un pesante martello -circostanza
oggettiva non contrastata dal ricorrente-, inferisca precisa e determinata volontà
omicidiaria. E’ del tutto illogica, di contro, l’affermazione del ricorrente secondo cui
non vi sarebbe volontà omicida proprio perché i colpi, portati con un micidiale
martello, erano stati inferti esclusivamente al capo. Trattandosi della sede vitale per
2

eccellenza, null’altro si deve qui aggiungere per dimostrare l’improponibilità di un
siffatto motivo d’impugnazione.3. Pari giudizio di inammissibilità deva darsi anche del secondo motivo di ricorso
[v. sopra, sub ritenuto, al §. 3.b] con il quale il ricorrente si duole del diniego
dell’attenuante della provocazione, anche solo putativa. Sul punto, che (come per il
precedente motivo) riproduce questione già proposta nelle precedenti sedi, la Corte
territoriale ha svolto motivazione ineccepibile (v. ff. 15-17). Peraltro è di tutta
evidenza come -in base alla ricostruzione consegnata dai giudici del merito, in fatto

non contrastata dal Cibelli- della chiesta attenuante difettavano i presupposti,
essendo essa solo affermata, senza alcun riscontro; del resto, sia le ragioni
dell’incontro tra l’anziano omosessuale ed i due giovani, sia la consolidata
frequentazione tra le parti, sia ancora le modalità dell’azione omicidiaria, sia infine il
contesto di preordinata rapina, tutto ciò denuncia l’irrealtà di tale peregrina tesi
difensiva. Non c’è dubbio, poi, che -come ben motivato dalla Corte territoriale- a tutto
voler concedere, la clamorosa sproporzione tra presunto fatto ingiusto e reazione è
tale da far scadere il primo a mera occasione e da rendere la circostanza del tutto
irrilevante (sul punto cfr. Cass. Pen. Sez. 1°, n. 30469 in data 15.07.2010, Rv.
248375, Lucianò; ecc.).Infine deve essere ricordato come il nostro sistema giuspenalistico non preveda la
provocazione putativa, ex art. 59, terzo comma, Cod. pen. (cfr. Cass. Pen. Sez. 1°, n.
5342 in data 02.03.1993, Rv. 194211, Sergio), che è dunque invocazione del tutto
impropria del ricorrente.4. Anche in ordine alla commisurazione sanzionatoria, il ricorso [v. sopra, sub
ritenuto, al 5. 3.c] produce motivo infondato in modo manifesto. Ed invero i giudici di
merito, ed in particolare la Corte territoriale (v. sentenza a ff. 18-20), hanno esplicato
motivazione quanto mai ampia nella quale sono stati presi in puntuale considerazione
tutte le componenti della pena (base, generiche, continuazione) e vagliati gli elementi
in tal senso determinanti (gravissime modalità esecutive e particolare intensità del
dolo). Anche l’argomento del ricorrente che involge la resa ammissione è stato
esaminato dai giudici del merito, traendone peraltro valutazione non positiva, atteso
che la confessione è stata infarcita di proposizioni palesemente non credibili, tale cioè
da rendere evidente l’insussistenza di una vera resipiscenza. Risultano quindi
giustificati sia la concessione delle generiche non nella loro massima estensione, sia il
complessivo trattamento sanzionatorio (peraltro indiscutibilmente mite, a fronte dei
fatti). In definitiva anche sul punto il ricorso, che propone deduzione contraria
all’evidenza, perché risultante dal testo della sentenza, risulta inammissibile.5. In conclusione il ricorso, manifestamente infondato in tutte le sue proposizioni,
deve essere dichiarato inammissibile ex artt. 591 e 606, comma 3, Cpp.- Alla
declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del
3

disposto dell’art. 616 Cpp, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00
(mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso
palesemente infondato (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).L’esito processuale qui raggiunto comporta che il ricorrente imputato debba essere
condannato a rifondere alle costituite parti civili le spese del grado che, valutati la
rilevanza della causa e l’impegno professionale richiesto, si stima equo liquidare nei
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della
Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio
dalle parti civili che liquida in complessivi Euro 3.000- (tremila) per Cipolletta
Gerardina, Cipoletta Lorenzo, Cipolletta Gilda e Cipolletta Paolo, ed in Euro 1.500(millecinquecento) per Cipolletta Emilio, oltre per tutti accessori come per legge.Così deciso in Roma, il 26 Giugno 2013.-

termini di cui al seguente dispositivo.-

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