Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33261 del 23/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 33261 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
FIRENZE
nei confronti di:
DE OLI VEIRA ALEX LUMA N. IL 27/09/1970
avverso la sentenza n. 762/2010 GIUDICE DI PACE di PRATO, del
03/03/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARGHERITA CASSANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
e.,CA. Q., y t
che ha concluso per
cr
iLobik.

E

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv,

Data Udienza: 23/05/2013

Ritenuto in fatto.

111 3 marzo 2011 il Giudice di pace di Prato dichiarava De Oliveira Alex Luma
colpevole del reato previsto dall’art. 10 bis d. lgs. n. 286 del 1998, poiché, quale
cittadino extracomunitario, aveva fatto ingresso o, comunque, si era trattenuto nel
territorio dello Stato in violazione delle norme in materia di immigrazione, alla data

generiche, lo condannava alla pena di tremilacinquecento euro di ammenda.
2.Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
generale presso la Corte d’appello di Firenze, il quale denuncia violazione ed
erronea applicazione della legge penale, atteso che la norma incriminatrice contrasta
con la disciplina contenuta nella direttiva 2008/115/CE. Malgrado la sentenza
impugnata non contenga l’ordine di espulsione (che il giudice ha affermato di non
adottare perché ineseguibile, stante l’irreperibilità di fatto dell’interessata), essa
deve comunque essere qualificata come decisione di rimpatrio ai sensi della
direttiva europea 115/2008, perché l’attestazione di illegalità del soggiorno in essa
contenuta determina la convertibilità della pena pecuniaria con l’espulsione a titolo
di sanzione sostitutiva anche in sede esecutiva.

Osserva in diritto.
1.11 ricorso non è fondato.
La norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel
territorio dello Stato — art. 10 bis d. lgs. n. 286 del 1998 — ha di recente superato il
vaglio di compatibilità costituzionale. La Consulta, con sentenza n. 250 del 2010,
ha affermato che la norma non punisce una «condizione personale e sociale»,
quelle, cioè, di straniero «clandestino» (o, più propriamente, irregolare) — e non
criminalizza «un modo di essere» della persona. La disposizione in esame
sanziona, invece, una specifica condotta, costituita dal «fare ingresso» e dal
«trattenersi» nel territorio dello Stato in violazione della normativa vigente. Nel
primo caso si tratta di un comportamento attivo istantaneo, consistente nel varcare
illegalmente i confini dello Stato, mentre, nell’altro, di una condotta permanente di
natura omissiva che viene integrata dal mancato abbandono del territorio nazionale.
La condizione di «clandestinità» è, in questi termini, la conseguenza della
condotta penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto, e la

del 7 dicembre 2009 e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti

rilevanza penale si correla alla lesione del bene giuridico, individuabile
nell’interesse dell0 Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un
determinato assetto normativo; si tratta di un bene “strumentale”, tramite la cui
tutela viene accordata protezione a beni pubblici “finali” di sicuro rilievo
costituzionale. Per queste ragioni non rappresenta una scelta arbitraria la
predisposizione di una tutela penale di siffatto interesse che si configura come bene

incriminatrici previste dal d. Igs. n. 286 del 1998 e successive modifiche.
Sulla base di questo iter argomentativo la Corte costituzionale ha ritenuto la
compatibilità dell’art. 10 bis d. lgs. n. 286 del 1998 e s successive modifiche con
alcuni principi della Carta fondamentale, specificamente e principalmente con
quelli desumibili dagli artt. 2 e 3.
Per quanto attiene, poi, alla compatibilità dell’art. 10 bis d. lgs. n. 286 del 1998
e successive modifiche con la normativa sovranazionale e, in particolare, con la
direttiva CEE n. 115 del 2008, di recente la Corte di giustizia (cfr. decisione del 6
dicembre 2012), pronunziandosi sulla domanda pregiudiziale proposta, ai sensi
dell’art 267 TFUE, dal Triunale di Rovigo nel procedimento penale a carico di Md
Sagor ha escluso che le disposizione della direttiva costituiscano un ostacolo a che
le legislazioni statali riservino ad una statuizione penale la decisione impositiva
dell’obbligo di rimpatrio.
Infine, è appena il caso di ricordare che questa Corte ha statuito che la
fattispecie contravvenzionale prevista dall’art. 10 bis d. Igs. n. 286 del 1998, che
punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la c.d.
direttiva europea sui rimpatri (direttiva commissione CE 10 dicembre 2008, n. 115),
non comportando alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva
predetta di agevolare ed assecondare l’uscita dal territorio dello Stato degli stranieri
extracomunitari, privi di valido titolo di permanenza, così come pure non confligge
con l’art. 7, par. 1, della medesima, il quale, nel porre un termine compreso tra i
sette e i trenta giorni per la partenza volontaria del cittadino di Paese terzo, non per
questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel territorio
dello Stato (sez. 1, n. 951 del 22 novembre 2011, dep. 13 gennaio 2012, Gueye, Rv.
251671).
Per tutte queste ragioni s’impone il rigetto del ricorso.

2

giuridico di “categoria”, capace di accomunare buona parte delle norme

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Così deciso, in Roma, il 23 maggio 2013.

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