Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33245 del 09/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 33245 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAPOZZI RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LO NARDO ROSARIO N. IL 18/01/1983
avverso la sentenza n. 4228/2011 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 22/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RAFFAELE CAPOZZI
Udito il Procuratore Qgnerale in persopa del Dott. eòic.A. ps-t-teF1-Lo i
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Data Udienza: 09/05/2013

N.36973/12-RUOLO N. 15 P.U.(2184)
RITENUTO IN EATTO
1.Con sentenza del 22 febbraio 2012 la Corte d’appello di Palermo ha ridotto da
anni 6 e mesi 6 di reclusione ed C 600,00 di multa ad anni 6 di reclusione ed C
600,00 di multa la pena inflitta a LO NARDO Rosario dal G.U.P. in sede con
sentenza emessa col rito abbreviato il 14 giugno 2011 per tre reati, riuniti col
vincolo della continuazione, di tentata estorsione, in concorso con altri soggetti
in danno di D’AMICO Giuseppe, titolare di un negozio di abbigliamento ubicato in
Palermo, corso Calatafimi n. 360 A/B; un altro in danno di VELLETRI Francesco,
titolare di un’agenzia di onoranze funebri denominata “Santo Spirito” ubicata in
Palermo, corso Calatafimi n. 185 ed un terzo in danno di DAVI’ Domenico,
dipendente del supermercato denominato “AURISAL” ubicato in Palermo, via
Pindemonte n.ri 80/82.
2.La Corte d’appello di Palermo ha confermato quasi per intero la ricostruzione
dei fatti operata dal primo giudice, valorizzando principalmente il riconoscimento
dell’imputato quale autore degli episodi estorsivi in esame, effettuato dapprima
in fotografia e poi tramite rituale ricognizione di persona da parte delle tre
persone offese, solo pervenendo all’anzidetta riduzione di pena, siccome ritenuta
più adeguata al concreto disvalore dei fatti esaminati.
3.Avverso detta sentenza della Corte d’Appello di Palermo ricorre per cassazione
LO NARDO Rosario per il tramite del suo difensore, che ha dedotto:
I)-violazione e falsa applicazione di legge, nonché motivazione contraddittoria ed
Illogica circa la sussistenza dei reati ascrittigli, in quanto le dichiarazioni rese
dalle parti offese avevano evidenziato lacune in ordine alla sua identificazione
quale autore delle tentate estorsioni commesse nei loro confronti; in particolare
VELLETRI Francesco era stato indotto dalla p.g. a fornire un suo positivo
riconoscimento, essendo stato informato che la foto mostratagli era assai
risalente nel tempo; il LO NARDO non lo aveva inizialmente riconosciuto ed il
DAVI’ aveva effettuato il suo riconoscimento solo in termini di somiglianza;
inoltre l’incidente probatorio del suo riconoscimento era avvenuto con modalità
non condivisibili, essendo stato egli posto in comparazione con soggetti
completamente diversi da lui per corporatura, altezza e foggia dei capelli.
Gli episodi contestatigli non avevano poi valenza estorsiva, in quanto con il
D’AMICO egli si era limitato ad accennare a regali, dileguandosi quando gli era
stato richiesto di essere più chiaro, né era stato lui responsabile degli atti di
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da identificare, aggravata ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, di cui uno

danneggiamento in precedenza commessi in danno del medesimo; con il
VELLETRI egli aveva fatto solo riferimento ad amici in comune, senza esplicitare
alcuna condotta minacciosa; e neppure la condotta da lui tenuta con il DAVI’
avrebbe potuto essere qualificata come estorsiva;
II)-motivazione illogica circa la sussistenza a suo carico dell’aggravante di cui
all’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, in quanto avrebbe dovuto essere dimostrata
l’esistenza, in termini di elemento volontaristico e di condotta, di un ausilio da lui
consapevolmente prestato ad un sodalizio criminoso, non essendo stato
ed essendo stato egli inoltre riconosciuto totalmente estraneo ad ogni ipotesi
delittuosa associativa; pertanto il metodo utilizzato nelle richieste estorsive non
poteva ritenersi di tipo mafioso, anche perché nessuna parte offesa aveva
effettuato il pagamento di alcuna somma di danaro, si che nessuna conseguenza
negativa si era verificata nei loro confronti;
III)-carenza assoluta di motivazione circa il diniego delle attenuanti generiche e
di un trattamento sanzionatorio più favorevole, non essendo stati tenuti nel
debito elementi a lui favorevoli quali la sua giovane età, la non eccessiva gravità
delle condotte ascrittegli ed il suo corretto comportamento processuale.
4.Con successiva memoria depositata il 24 aprile 2013 il ricorrente, per il tramite
del medesimo difensore, ha ulteriormente sviluppato i motivi di ricorso anzidetti,
sottolineando in particolare che il suo riconoscimento fotografico, effettuato dalle
parti offese, era stato contradditorio ed incerto; che l’incidente probatorio,
relativo alla ricognizOne di persona era avvenuto con modalità tali da snaturare
la valenza probatorie dell’incombente istruttorio, in quanto egli era stato posto in
raffronto con soggetti dall’aspetto somatico del tutto diverso rispetto alla sua
persona.
Ha altresì ribadito Che, nella specie, le parole da lui pronunciate nei confronti
delle parti offese non avevano alcuna valenza di minaccia e che erroneamente gli
era stata contestata l’aggravante di cui all’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991,
essendo stato egli riconosciuto estraneo ad ogni associazione di tipo mafioso e
neppure avendo gli posto in essere alcun danneggiamento nei confronti delle
parti offese.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.E’ inammissibile siccome manifestamente infondato il primo motivo di ricorso,
con il quale il ricorrente lamenta l’insussistenza di validi indizi di colpevolezza a
suo carico in ordine altre episodi di tentata estorsione aggravata ascrittigli.

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dimostrato che i danneggiamenti subiti dalla parti offese fossero a lui attribuibili

Va al contrario rilevato che i giudici di merito, con motivazione incensurabile
nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non
contraddizione, hanno indicato i validi indizi di colpevolezza emersi a carico del
ricorrente e consistiti, oltre che nelle circostanziate dichiarazioni rese dalle parti
offese VELLETRI Francesco, D’AMICO Giuseppe e DAVI’ Domenico, nel
riconoscimento fotografico che le stesse hanno effettuato del ricorrente, indicato
quale soggetto che si era ad essi presentato con richieste estorsive, avendo egli
fatto allusione a pretese di “messa a posto”, chiaramente configurabili come
contare poi l’indizio emerso a carico del ricorrente e consistito nei fotogrammi di
telecamere a circuito chiuso, attivate dal VELLETRI nei locali della sua agenzia di
onoranze funebri e riproducenti le sue fattezze, nonché gli esiti dell’incidente
probatorio svoltosi ai sensi degli artt. 213 e segg. cod. proc. pen. ed avente ad
oggetto la ricognizione di persona, nel corso del quale le persone offese hanno
riconosciuto l’odierno ricorrente quale autore degli episodi estorsivi ascrittigli.
Va infine rilevato come al ricorrente sono stati sequestrati occhiali marca Ray
Ban e calzature tipo Hogan di color bianco, accessori di abbigliamento
specificamente descritti dalla p.o. D’AMICO come indossati dal ricorrente.
Va peraltro rilevato che il ruolo di questa Corte di legittimità non consiste nel
sovrapporre le proprie valutazioni a quelle compiute dal giudice di merito in
ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì nello stabilire se il giudice di
merito abbia esaminato tutti gli elementi a propria disposizione; se abbia fornito
una corretta interpretazione di tali elementi; se abbia dato esaustiva e
convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbia applicato le regole della
logica nello sviluppare le argomentazioni, in forza delle quali sono state preferite
alcune conclusioni rispetto ad altre pure astrattamente ipotizzabili.
Pertanto il controllo di legittimità non può investire l’intrinseca adeguatezza della
valutazione dei risUltati probatori, essendo tali valutazioni appannaggio
esclusivo del giudice di merito.
Nello stesso modo il controllo di legittimità non può che riguardare la
rispondenza dei risultati probatori alle effettive acquisizioni processuali, stante il
chiaro tenore dell’art. 606 primo comma lettera e) c.p.p., secondo il quale il vizio
della motivazione dove risultare dal testo del provvedimento impugnato; e le
modifiche a tale articolo, introdotte con l’art. 8 della legge 46/2006, che ha
esteso la rilevabilità del vizio di motivazione ad altri atti del processo, hanno pur
sempre imposto che questi ultimi vengano specificamente indicati ed allegati ai
motivi di gravame (cfr. Cass. 1^ 10.2.1998 n. 803; Cass. 1^ 20.12.1993 n.
2176).

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richieste di danaro per evitare danni alle rispettive attività commerciali; senza

Applicando tali principi, si rileva che, come sopra riferito, le argomentazioni
svolte dalla Corte d’Appello di Palermo per affermare la colpevolezza dell’odierno
ricorrente in ordine a tutti e tre i reati ascrittigli sono congrue, logiche e
pienamente condivisibili, si che le diverse letture dei fatti, proposte nella
presente sede dal ricorrente sono inammissibili, comportando esse un riesame
nel merito della vicenda, inibito nella presente sede di legittimità.
Il ricorrente ha in particolare contestato sia il suo riconoscimento fotografico, sia
gli esiti della ricognizione di persona, effettuata nei suoi confronti con incidente
di detti atti istruttori attinenti sostanzialmente al merito ed inibite pertanto nella
presente sede di legittimità.
2.E’ altresì inammisaibile siccome manifestamente infondato il secondo motivo di
ricorso, con il quale il ricorrente lamenta l’insussistenza a suo carico
dell’aggravante di cui all’art. 7 della legge 203/91.
L’aggravante in esame consiste nell’aver commesso il fatto avvalendosi delle
condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività di
associazioni previste nell’articolo da ultimo citato ed è configurabile a carico dei
soggetti, i quali, partecipi o meno di reati associativi, utilizzino metodi mafiosi e
cioè ostentino nel loro comportamento in maniera evidente e provocatoria una
condotta intimidatoria idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare
coartazione e quella conseguente intimidazione e paura che sono proprie delle
organizzazioni di tipo mafioso (cfr. Cass. 1^ 9.3.04 n. 16486; Cass. 1^
18.3.1994 n. 1327).
Applicando tali principi giurisprudenziali al caso in esame, si rileva che i giudici di
merito, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome esente da
illogicità e da contraddizioni, hanno correttamente rilevato la sussistenza di detta
aggravante, riferita a tutti e tre gli episodi di tentata estorsione ascritti al
ricorrente, avendo sottolineato come l’attività estorsiva, svolta dal ricorrente
fosse stata commessa con tipica metodologia mafiosa, consistita nell’imposizione
larvata di un pizzo, facendo riferimento all’esistenza di amici in comune, a regali
che egli doveva fare ed alla necessità che essi si mettessero a posto per le
festività pasquali e natalizie; ed il potenziale intimidatorio proprio dei sodalizi
mafiosi ben poteva desumersi dall’allusivo richiamo effettuato dal ricorrente alle
esigenze di non ben precisati altri soggetti, essendo esso il tipico modo di agire
mafioso, che può comunque ritenersi sussistere anche in mancanza di minacce
esplicite rivolte alle parti offese, potendo altresì consistere in comportamenti
allusivi, che possono talvolta risultare ben più efficaci di esplicite minacce, specie
se accompagnati, come in tutti e tre gli episodi in esame, da precedenti
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probatorio in primo igrado, formulando censure in ordine al concreto svolgimento

danneggiamenti sut)iti dalle attività commerciali delle tre parti offese, i quali,
seppur non ascriviili concretamente al ricorrente, sono state ragionevolmente
posti dalla sentenza impugnata in relazione con gli episodi estorsivi in esame, in
quanto destinati a rinforzare il clima di intimidazione nel quale le vittime
dovevano essere tenuti.
3.E’ altresì inammissibile siccome manifestamente infondato il terzo motivo di
ricorso.
circostanze attenuanti generiche, nonché l’eccessività della pena inflittagli.
E’ noto che la funzione delle attenuanti generiche è quella di consentire al
giudice di adeguare,, in senso più favorevole all’imputato, la sanzione edittale, in
relazione a peculiari e non codificabili connotazioni della fattispecie concreta dal
punto di vista fattuale e psicologico.
La meritevolezza di dette attenuanti esige un’apposita motivazione, la quale
neppure può mancare quando le stesse vengano negate, allorché l’imputato,
come nel caso in esame, ne abbia specificamente chiesto la concessione.
In tale ultimo caso il giudice è tenuto infatti ad indicare le ragioni a sostegno del
rigetto delle relative richieste, senza che tuttavia egli debba necessariamente
procedere ad un’analitica ed approfondita valutazione di tutti gli elementi
favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalla parte o rilevabili dagli atti, essendo
sufficiente che il giudice indichi, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen. e
concernenti la personalità del colpevole, ovvero l’entità del reato ovvero le
modalità esecutive, quelli ritenuti decisivi o rilevanti e rimanendo implicitamente
disattesi tutti gli altri (cfr. Cass. 2^ n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv.
249163).
Nella specie, la sentenza impugnata ha adeguatamente motivato il diniego al
ricorrente delle attenuanti generiche, avendo fatto riferimento alla estrema
gravità della sua condotta, all’avere egli agito con tipici metodi mafiosi,
all’accertata reiterazione delle condotte criminose ascrittegli.
Valide e condivisibili sono pertanto i motivi che hanno indotto la Corte territoriale
a negargli il beneficio in esame.
I giudici di merito hanno inoltre quantificato in modo particolarmente contenuto
la pena inflitta al ricorrente, avendo proceduto ad un’attenta valutazione di tutti i
particolari dei fatti esaminati ed avendo la Corte territoriale altresì ridotto la
pena inflittagli in primo grado, valutando in modo più favorevole l’effettiva
antigiuridicità dei fatti oggetto del presente processo.
In tal modo i giudici di merito hanno adempiuto all’obbligo su di essi gravante di
motivare in concreto la determinazione della pena, avendo essi indicato gli
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Con esso il ricorrente lamenta la mancata concessione in suo favore delle

elementi ritenuti conferenti allo scopo, nell’ambito dei criteri offerti dall’art. 133
c.p. (cfr., in termini, Cass. 6^ 2.7.98 n. 9120).

4.11 ricorso proposto da LO NARDO Rosario va pertanto dichiarato inammissibile,
con sua condanna, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso il 9 maggio 2013.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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