Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33239 del 06/06/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 33239 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PIRROTTA ANTONINO N. IL 01/02/1964
avverso l’ordinanza n. 213/2013 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
01/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
4$$/sentite le conclusioni del PG Dott. 13- LrR
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Data Udienza: 06/06/2013

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1. Con ordinanza del 1° nrtarzo 2013 il Tribunale del riesame di Palermo ha rigettato la
richiesta di riesame proposta nell’interesse di Pirrotta Antonino avverso l’ordinanza
pronunziata dal G.i.p. presso il Tribunale di Palermo in data 15 febbraio 2013, con la
quale gli veniva applicata la misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di
partecipazione all’associazione mafiosa denominata “cosa nostra” di cui all’art. 416bis, commi 1, 3, 4 e 6, cod. pen., e di estorsione continuata ed aggravata di cui agli
artt. 81 cpv., 110, 629, comma 2, in relazione all’art. 628, comma 2, n. 3, c.p. e 7
della L. n. 203/1991.
Il provvedimento coercitivo si basa essenzialmente sul contenuto delle dichiarazioni
accusatorie rese dai collaboratori di giustizia Giordano Salvatore ed Arnone
Sebastiano, che hanno fatto riferimento al coinvolgimento dell’indagato in una serie di
attività criminali, qualificate come “indicatori fattuali” del delitto associativo e
rappresentate, in particolare: a) dalla riscossione di somme di denaro pretese a titolo
di “pizzo” dai capi condomini dei padiglioni del quartiere “Zen 2”; b) dalla “gestione
delle vendite” degli alloggi popolari, che svolgeva come sensale pretendendo una
percentuale dagli acquirenti; c) dalla consegna di somme di denaro a titolo di
sostentamento delle famiglie dei carcerati.
2. Avverso la su indicata ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per
cessazione il difensore di fiducia di Pirrotta Antonino, deducendo i motivi di doglianza
qui di seguito sinteticamente riassunti.
2.1. Violazione dell’art. 606, lett. b), c.p.p., in relazione agli artt. 292, 125, n. 3,
c.p.p. e 111 Cost., per difetto assoluto di motivazione, atteso che l’ordinanza
applicativa della custodia cautelare riproduce testualmente il contenuto della richiesta
del P.M. e riporta, poi, un paragrafo, intitolato “Le valutazioni del Giudice”, costituito
esclusivamente da passaggi testuali copiati dalla medesima richiesta del P.M. . Nel
caso di specie, infatti, il G.i.p. non ha espresso, sia pure sinteticamente, le ragioni
della sua adesione all’istanza del P.M., il cui tenore è stato acriticamente trasferito nel
corpo del provvedimento genetico della misura cautelare. Nel provvedimento
coercitivo, dunque, è del tutto assente quel vaglio critico, sia pure sintetico e conciso,
atto a far comprendere al Tribunale quale sia stato l’Iter logico-giuridico seguito nella
valutazione concernente la sussistenza del quadro indiziario.
2.2. Violazione di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., in relazione all’art. 273 c.p.p., per
l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
2.3. Violazione di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., in relazione all’art. 192, comma 3,
c.p.p., per quel che attiene alle dichiarazioni rese dai collaboratori Giordano Salvatore
e Arnone Sebastiano, connotate da profili di inattendibilità e contraddittorietà, senza
la conferma derivante dall’acquisizione di ulteriori elementi di riscontro probatorio,
anche in ordine all’ipotizzata realizzazione di condotte estorsive nei confronti degli
abitanti dei padiglioni del quartiere “Zen”.

RITENUTO IN FATTO

2.4. Violazione di cui all’art. 606, lett. e), c.p.p., per manifesta illogicità della
motivazione del provvedimento impugnato, avuto riguardo al travisamento delle
emergenze probatorie e, segnatamente, del contenuto dei verbali di interrogatorio di
Giordano Salvatore nelle date 11 marzo 2010 e 30 luglio 2010 – per quel che inerisce
alla condotta di “sensale” presuntivamente svolta dal Pirrotta per conto
dell’associazione mafiosa.

2.6. Violazione dell’art. 606, lett. b), c.p.p., in relazione all’art. 274 c.p.p. poiché,
sebbene i capi d’imputazione ascritti all’indagato indichino il momento della
consumazione sino alla data del 15 febbraio 2013, il materiale probatorio valutato dal
Tribunale appare cristallizzato sino all’anno 2009, aspetto, questo, sul quale il
Tribunale non ha motivato se non attraverso il ricorso a mere clausole di stile.
3. Con riguardo ai motivi sopra enucleati nei punti dal 2.2 al 2.5, la difesa deduce, in
particolare, che il reale risultato probatorio delle dichiarazioni rese dai predetti
collaboratori è costituito dal fatto che la gestione delle vendite delle case popolari era
effettuata dal Pirrotta per conto proprio e non dell’associazione mafiosa. Al riguardo,
dunque, il Tribunale del riesame ha fondato il proprio convincimento sulla base di
un’emergenza probatoria oggettivamente diversa da quella reale.
Inoltre, dal contenuto delle dichiarazioni assunte in sede di indagini difensive – rese
da persone che hanno negato di esser state vittime di qualunque attività estorsiva,
affermando di aver corrisposto spontaneamente una somma di denaro, periodica, ai
capi condomini, al fine di essere assistiti nelle tipiche problematiche gestionali di un
condominio – risulta la insussistenza della ipotizzata condotta di riscossione di somme
pretese a titolo di pizzo dai capi condomini dei padiglioni dello “Zen 2”, tenuto conto,
al riguardo, anche della genericità dell’imputazione.
In ordine a tali dichiarazioni, tuttavia, nessuna considerazione di natura
argomentativa risulta essere stata svolta dal Tribunale del riesame.
Neanche il risultato delle intercettazioni telefoniche intercorse tra il Pirrotta ed il Vitale
Salvatore, del resto, ha offerto validi elementi di riscontro, sotto il profilo indiziario, al
contenuto delle dichiarazioni accusatorie rese a carico dell’indagato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è parzialmente fondato e va conseguentemente accolto nei limiti e per gli
effetti di seguito esposti e precisati.
5. Infondata deve ritenersi la prima censura dal ricorrente formulata, ove si consideri
che l’ordinanza “genetica”, pur richiamando integralmente l’articolata motivazione
posta a fondamento della richiesta del P.M., contiene un paragrafo appositamente
dedicato alle “valutazioni del giudice”, ove si utilizzano, facendone proprie le
correlative argomentazioni, i contenuti di passaggi motivazionali testualmente tratti da
quella stessa richiesta, la cui combinazione quali specifici segmenti di un discorso
giustificativo autonomo consente comunque di rilevare che il primo Giudice ha
2

2.5. Violazione dell’art. 606, lett. b), c.p.p., in relazione all’art. 546 c.p.p.

6. Fondate, di contro, devono ritenersi le ulteriori censure dal ricorrente prospettate,
dovendosi rilevare, per quel che attiene alla disamina dei vari profili critici
partitamente evidenziati in narrativa, come le sequenze motivazionali che
compongono l’impugnato provvedimento cautelare mostrino un andamento incerto e
contraddittorio, frutto di un insufficiente approfondimento in merito alla valutazione
dell’effettiva consistenza degli elementi costitutivi della base indiziaria, laddove
trascurano di considerare, sulla base di un congruo supporto critico-argomentativo, i
puntuali rilievi difensivi espressi in sede di gravame in merito alla eccepita
inattendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese da Giordano Salvatore, i cui requisiti
di costanza, coerenza e precisione vengono specificamente contestati – con
riferimento agli interrogatori da lui resi 1’11 marzo 2010 ed il 2 aprile 2012, oltre che
in relazione alle ulteriori acquisizioni processuali rappresentate dalla sentenza di
condanna definitiva emessa nell’ambito di altro procedimento (R.G. n. 1622/10) – per
quel che inerisce all’accertamento dei tempi e delle modalità di realizzazione della
condotta di sostentamento dei detenuti e delle loro famiglie, il cui inquadramento
storico-fattuale sembra dispiegarsi attraverso linee ricostruttive tra loro divergenti e
non specificamente riscontrate dalle dichiarazioni rese dall’altro collaboratore, Arnone
Sebastiano, nel corso dell’interrogatorio del 26 marzo 2012.
Non viene altresì posta in risalto, sulla base di un compiuto apprezzamento dei rilievi
difensivi in merito al contenuto delle dichiarazioni rese dal Giordano nell’interrogatorio
del 30 luglio 2010, l’esistenza di un nesso diretto tra la riferita attività di gestione
della vendita delle case popolari, che l’indagato avrebbe svolto pretendendo una
percentuale dagli acquirenti, ed il più ampio contesto associativo mafioso del quale
egli si sarebbe reso partecipe, omettendosi di chiarire con precisione, a tale riguardo,
se l’attività di mediazione immobiliare venga esercitata per conto proprio, ovvero
possa senz’altro inquadrarsi, anche nella precisa individuazione della dimensione
temporale rilevante ex art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p. – che allo stato, peraltro,
sembra arrestarsi nel 2009 – quale attività univocamente riferibile agli interessi propri
del sodalizio criminale di stampo mafioso.

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effettivamente compiuto una riconoscibile valutazione degli elementi di fatto allegati
alla domanda cautelare, spiegandone la rilevanza in merito alle determinazioni
espresse ai fini dell’afferénazione della sussistenza delle condizioni e dei presupposti
della misura coercitiva poi applicata nei confronti del relativo destinatario.
A tale riguardo, invero, deve ribadirsi il quadro di principii in questa Sede ormai da
tempo delineati, secondo cui, in materia di misure cautelari personali, non è nulla per
difetto assoluto di motivazione l’ordinanza applicativa in cui risulti trasfusa
integralmente ed alla lettera la richiesta del P.M., sempre che risulti che il giudice,
come coerentemente accertato dal Tribunale nel caso in esame, abbia preso
cognizione del contenuto delle ragioni dell’atto incorporato, senza recepirlo
acriticamente, ma ritenendolo coerente con le proprie determinazioni (Sez. 1, n.
14830 del 28/03/2012, dep. 18/04/2012, Rv. 252274; Sez. 2, n. 13385 del
16/02/2011, dep. 01/04/2011, Rv. 249682).

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Né risultano essere stati oggetto di un compiuto apprezzamento di merito, espresso
sulla base di un congruo supporto critico-argomentativo, i puntuali rilievi difensivi
mossi riguardo alla genericità del tema d’accusa vertente sulla ipotizzata natura
estorsiva delle condotte riferite alla riscossione di somme di denaro dai rappresentanti
dei condomini dei padiglioni del quartiere “Zen 2”, ove si considerino, per un verso, il
dato rappresentato dalla mancata indicazione di specifici fatti estorsivi al riguardo
commessi dall’indagato, e, per altro verso, il contenuto delle dichiarazioni rese da
taluni informatori ascoltati in sede di indagini difensive, le cui affermazioni in merito
alla riferita circostanza di avere spontaneamente corrisposto delle somme di denaro ai
rappresentanti dei condomini, sì da poter essere assistiti nelle tipiche problematiche di
gestione delle attività condominiali, avrebbero dovuto costituire oggetto di uno
specifico ed attento vaglio deliberativo, proprio in ragione della genericità della
contestazione formulata in sede cautelare.
E’ noto che, sul piano probatorio, la partecipazione ad una associazione di tipo
mafioso può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili
regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo
mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza del soggetto al sodalizio, purché
si tratti di indizi gravi e precisi, come, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle
pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della
qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici e
significativi facta concludentia, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la
sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento,
peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Sez. 1, n.
1470 del 11/12/2007, dep. 11/01/2008, Rv. 238839).
Occorre altresì rilevare che la messa a disposizione dell’organizzazione criminale,
rilevante ai fini della prova dell’adesione, non può risolversi nella mera disponibilità
eventualmente manifestata nei confronti di singoli associati, quand’anche di livello
apicale, a servizio di loro interessi particolari, ma deve essere incondizionatamente
rivolta al sodalizio, ed eesere di natura ed ampiezza tale da dimostrare l’adesione
permanente e volontaria ad esso per ogni fine illecito suo proprio (Sez. 1, n. 26331
del 07/06/2011, dep. 06/07/2011, Rv. 250670).
Nel caso in esame, le denunciate carenze motivazionali risultano evidenti dalla mera
lettura del provvedimento impugnato e dal suo raffronto con le deduzioni, le obiezioni
e gli specifici rilievi svolti dalla difesa in sede di gravame, la cui incidenza appare tale
da disarticolare potenzialmente l’assetto motivazionale dell’impugnata decisione in
relazione alla stessa solidità della base indiziaria lvl delineata: sui diversi nodi
problematici sopra evidenziati nessuna convincente risposta è stata offerta nel
percorso motivazionale dell’impugnata ordinanza, che ha omesso di confrontarsi
criticamente, con congrue argomentazioni, sul complesso delle correlative obiezioni
difensive.
Al riguardo, invero, deve osservarsi come costituisca ius receptum, nell’elaborazione
giurisprudenziale di questa Suprema Corte, il principio secondo cui, in materia di
misure cautelari personali, l’obbligo previsto dal secondo comma dell’art. 292, lett. c)bis), cod. proc. pen., di esporre i motivi per i quali non sono ritenuti rilevanti gli

elementi addotti dalla difesa, è imposto sia al giudice che emette l’ordinanza, sia al
tribunale della libertà che rigetta la richiesta di riesame, allorchè tali elementi siano
prospettati dinanzi a queslt’ultimo (Sez. 1, n. 4777 del 15/11/2011, dep. 07/02/2012,
Rv. 251848; Sez. 1, n. 3473 del 06/05/1999, dep. 07/07/1999, Rv, 213940).

P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma primo-ter, disp.
att. c.p.p.
Così deciso in Roma, lì, 6 giugno 2013

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Il Consigliere estensore
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Il Presidente
dolfo Di Virginio

7. S’impone, conseguentemente, l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza,
per un nuovo esame sui punti critici sopra evidenziati, che nella piena libertà dei
relativi apprezzamenti di merito, dovrà colmare le su indicate lacune motivazionali,
uniformandosi al quadro dei su esposti principii di diritto in questa Sede elaborati.

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