Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33232 del 03/05/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 33232 Anno 2013
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: CARCANO DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MIKIC RUZA N. IL 01/11/1977
avverso la sentenza n. 1656/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del
24/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. DOMENICO CARCANO
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Udito il Procuratore ~rale in persona del Dott. 2g),Az
che ha concluso per
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Udito, per la parte ‘vile, l’Avv
Udit i difens

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Data Udienza: 03/05/2013

Ritenuto in fatto
1.Miki RuZa impugna la sentenza della Corte d’appello di Roma che ha
confermato la pronuncia di condanna del giudice di primo grado per il delitto di
evasione.
A fronte dei motivi d’appello volti a contestare la configurabilità del
delitto di evasione, la Corte d’appello ha condiviso le conclusioni cui è giunto il
giudice di primo grado, tenuto conto che il delitto di evasione si concretizza non

prescrizione imposte di che non richiedono necessariamente una fuga, bensì un
qualsiasi allontanamento anche di minima e entità temporale spaziale.
2.La difesa deduce:
-vizio di motivazione, poiché non vi è stata una adeguata motivazione idonei
a dare sufficiente conto dei fatti oggetto di condanna.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
Le ragioni per le quali è stata affermata la responsabilità sono state
motivate correttamente in ogni loro profilo circa la configurabilità della
sussistenza della condotta di evasione.
Il giudice d’appello, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, ha
descritto i fatti e sviluppato il ragionamento probatorio in coerenza con gli
elementi di prova descritti in motivazione.
La ricostruzione dei fatti, come descritta in narrativa, è stata ampiamente e
correttamente giustificata dal giudice d’appello e si caratterizza per la chiarezza
dimostrativa delle ragioni per le quali è stata confermata l’affermazione di
responsabilità.
3.11 ricorso è , dunque, inammissibile per manifesta infondatezza e per
avere proposto censure non consentite nel giudizio di legittimità e, a norma
dell’art.616 c.p.p., il ricorrente va condannato, oltre che al pagamento delle
spese processuali, a versare una somma, che si ritiene equo determinare in euro
1.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni
richieste dalla sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n.186.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di C 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2013.

un definitivo allontanamento dal luogo degli arresti, bensì in una violazione delle

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