Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33230 del 02/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 33230 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sui ricorsi proposti nell’interesse di

Aliberti Giuseppe, nato a Roma il 07/04/1966
Pulcini Daniele, nato a Roma il 13/02/1972

avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, del
17/12/2013

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Guglielmo Leo;
udite le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto dott.
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della
ordinanza impugnata;
udito il Difensore di Aliberti, avv. Tito Lucrezio Milella, che ha chiesto
l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata l’ordinanza del 17/12/2013 con la quale il Tribunale di Roma, in
funzione di giudice del riesame, ha parzialmente rigettato i ricorsi proposti da

Data Udienza: 02/04/2014

Giuseppe Aliberti e Daniele Pulcini avverso il decreto di perquisizione e sequestro
adottato dal pubblico ministero nell’ambito delle indagini preliminari relative ai
reati di corruzione e turbativa d’asta, in ipotesi commessi con riguardo ad un
bando dell’Agenzia del Demanio del Lazio per l’assegnazione di un’area sita nel
piazzale Clodio di Roma a fini di riqualificazione e di realizzazione di parcheggi.
Secondo l’ipotesi accusatoria, al fine di far prevalere la s.r.l. Flora Energy
(amministrata formalmente da Pulcini e di fatto da Aliberti), sarebbero state
consegnate a funzionari dell’Agenzia del Demanio somme di denaro per il tramite

quale mediatore per conto della società aggiudicataria della concessione.
In esito alle perquisizioni sono stati sequestrati denaro e documenti. In
particolare, quanto al primo (ed a parte il contante rinvenuto nella disponibilità
del citato Visca, per centomila euro), la somma di 8.000 euro è stata rinvenuta
sulla persona del Pulcini, tenuta in una tasca dei pantaloni, e quella di 34.590
euro è stata trovata nella borsa di una collaboratrice domestica di Aliberti, che
tentava di lasciare l’abitazione dell’indagato nel corso della perquisizione.
Valutando gli argomenti difensivi, secondo cui l’area di piazzale Clodio era
stata assegnata senza una gara, così da escludere la stessa configurabilità di una
turbativa, il Tribunale ha osservato che una gara vi era stata, con presentazione
di dieci aspiranti, poi ridotte a due in esito alla prima selezione. Per altro verso,
nei fatti ipotizzati, sarebbero comunque identificabili gli estremi del delitto di cui
all’art. 346-bis cod. pen., rispetto all’integrazione del quale resterebbe
indifferente l’assenza di funzioni pubbliche in capo al Visca resterebbe
indifferente.
Quanto infine alla pertinenza del sequestro ai fatti oggetto di indagine, il
Tribunale ha ritenuto che la corrispondenza tra gli importi sequestrati e gli
accordi raggiunti tra gli indagati, la rilevanza delle relative somme e le curiose
modalità della loro conservazione, valgano a giustificare il vincolo instaurato con
il sequestro.

2. Nell’interesse di Giuseppe Aliberti il Difensore ha proposto diversi motivi di
ricorso.
2.1. In primo luogo si deduce violazione di legge, a norma dell’art. 606,
comma 1, lettera b) , cod. proc. pen., in rapporto all’erronea sussunzione dei fatti
accertati nell’ambito applicativo degli artt. 319, 353 e 346-bis cod. pen.
Si ribadisce in particolare che Visca era ormai pensionato da tempo e non
aveva comunque mai operato nell’ambito dell’Agenzia del Demanio del Lazio. Si
ribadisce che solo la Flora Energy, sia pure in esito ad una informale
preselezione, aveva proposto una offerta per l’assegnazione, e che dunque non
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di Marcello Visca, inizialmente qualificato come pubblico ufficiale e poi definito

vi era stata alcuna gara, così come chiarito anche dal presidente della
Commissione designata, tale Gaetano Cacioppo. I Magistrati inquirenti non
avrebbero identificato alcuna irregolarità nella procedura.
Per altro verso, l’originaria prospettazione accusatoria, fondata sulla
indicazione di Visca quale pubblico ufficiale, avrebbe dovuto cedere di fronte
all’evidenza dei fatti. L’ipotesi alternativa del traffico d’influenza, antagonista
rispetto a quella della corruzione, non sarebbe configurabile, pur volendo
ammettere una qualche funzione di mediazione del Visca, nell’assenza di un

2.2. Con un secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 253 cod. proc.
pen., per la conferma del vincolo in assenza del nesso di pertinenzialità tra
oggetto del sequestro e reato cui si riferiscono le indagini.
Aliberti sarebbe stato solito detenere e maneggiare forti somme contanti,
nella sua qualità di socio o titolare di sale giochi site a Roma e in provincia. In
proposito, sono allegati al ricorso estratti conto bancari che documentano
frequenti versamenti di forti somme in contanti. Il denaro sequestrato era
d’altronde custodito in buste con annotazioni che parzialmente ne mostravano la
lecita destinazione. Nessuna indicazione positiva sarebbe stata fornita sul
collegamento coi fatti di causa, omissione tanto più rimarchevole perché nella
disponibilità di altro indagato sarebbero stati trovati appunti circa la destinazione
al Visca di 35.000 euro poi rinvenuti nella disponibilità di quest’ultimo.

3. Nell’interesse di Daniele Pulcini il Difensore ha presentato un ricorso in larga
parte analogo a quello del quale appena si è detto.
Coincide in particolare la prima serie di motivi, con la quale si nega la
riconducibilità dei fatti alle figure di reato evocate nell’ordinanza impugnata.
Anche nel caso di Pulcini, poi, vi sarebbe violazione dell’art. 253 cod. proc.
pen. a fronte della conferma del vincolo in assenza di pertinenza al reato della
somma in sequestro. Quest’ultima sarebbe stata detenuta per alcuni pagamenti,
e in ogni caso nessun elemento la collegherebbe al Visca ed ai fatti di causa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati, nei termini e nei limiti di seguito indicati.

2. Il decreto di perquisizione locale dal quale sono scaturiti i sequestri de quibus
ipotizzava a carico dei ricorrenti, e di Marcello Visca, i reati di corruzione propria
(capo b) e di turbativa d’asta (capo a).

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reato di riferimento cui la condotta avrebbe dovuto essere finalizzata.

L’imputazione provvisoria è stata parzialmente disattesa dal Tribunale del
riesame, essendosi constatato come all’epoca dei fatti Visca non svolgesse
funzioni pubbliche, o comunque funzioni pertinenti al procedimento
amministrativo preso in considerazione. Rispetto al reato di corruzione
configurato dal Pubblico ministero, quindi, si è esclusa finanche la sussistenza del
fumus necessario e sufficiente a legittimare l’atto di sequestro.
Il Tribunale ha piuttosto valorizzato l’ipotesi della turbativa d’asta, per la
quale l’esercizio della funzione ad opera del Visca non appare logicamente

decreto di perquisizione. Nel contempo, quale ipotesi di reato alternativa a quella
della corruzione, si è prospettata l’eventualità che gli indagati debbano
rispondere del reato di traffico di influenze illecite (art. 346-bis cod. pen.).
2.1. Ora, dato il contesto di cautela reale nel quale doveva essere valutata la
consistenza dell’ipotesi di accusa, il provvedimento impugnato può considerarsi
sufficientemente motivato quanto al

fumus della turbativa d’asta. Certo,

l’ordinanza manca di una adeguata descrizione della fattispecie. Ma rispetto
all’argomento centrale del ricorso difensivo, cioè che nella specie non vi sarebbe
stata alcuna gara riconducibile al modello integrato nella fattispecie
incriminatrice, è intervenuta una specifica risposta in fatto ed in diritto.
La gara vi era stata, per quanto informale, perché dieci altre offerte erano
state presentate in vista di una prima selezione, che era stata superata anche da
un’altra società, oltre che dalla Flora. Il Tribunale ha indicato le fonti relative,
senza che i ricorrenti ne abbiano neppure genericamente prospettato un
fraintendimento.
In diritto è stata fatta applicazione di un principio ormai consolidato nella
giurisprudenza di questa Corte, e cioè che il reato di turbata libertà degli incanti
è configurabile in ogni situazione nella quale la pubblica amministrazione
proceda all’individuazione del contraente mediante una gara, quale che sia il
nomen iuris conferito alla procedura ed anche in assenza di formalità (Sez. 6,
Sentenza n. 29581 del 24/05/2011, rv. 250732; Sez. 6, Sentenza n. 13124 del
28/01/2008, rv. 239314; Sez. 6, Sentenza n. 11483 del 03/11/1997, rv.
209474).
Già in epoca risalente si era osservato come rilevino anche le «procedure
amministrative cosiddette “informali” o di “consultazione” nelle quali la pubblica
amministrazione fa dipendere l’aggiudicazione di opere, forniture o servizi
dall’esito dei contatti avuti con persone fisiche o rappresentanti di quelle
giuridiche le quali, consapevoli delle offerte di terzi, propongono le proprie
condizioni quale contropartita di ciò che serve alla pubblica amministrazione. In
tal caso non vi è trattativa privata perché la consapevolezza, per l’offerente, di
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necessario, ed in effetti non è neppure formalmente evocato nella rubrica del

non essere il solo, innesca quella contesa che è essenziale in ogni gara. Ciò non
integra una applicazione analogica della fattispecie criminosa di cui all’art. 353
cod. peri. – vietata in materia penale – in quanto non ne allarga l’ambito di
applicazione, bensì concreta una interpretazione estensiva, sulla base della
eadem ratio che la sorregge e che è unica, volta a garantire il regolare
svolgimento sia dei pubblici incanti e delle licitazioni private sia delle gare
informali o di consultazione, le quali finiscono con il realizzare, sostanzialmente,
delle licitazioni private allorquando del loro svolgimento in concorso ed in pratica

Sentenza n. 4741 del 31/10/1995, rv. 204646; nello stesso senso, Sez. 6,
Sentenza n. 12238 del 30/09/1998, rv. 213033).
Solo quando i privati vengono consultati separatamente, senza instaurare tra
loro alcuna competizione, è possibile escludere, per quanto appena si è detto,
l’integrazione della fattispecie (Sez. 6, Sentenza n. 44829 del 22/09/2004, rv
230522; Sez. 6, Sentenza n. 11531 del 26/09/1991, rv. 190166).
Poiché la pur scarna narrazione del Giudice di merito evoca una vera e
propria procedura, con apertura di buste (e pregressa fissazione di un termine),
l’adeguatezza della motivazione, sotto il profilo in esame, non potrebbe essere
esclusa.
2.2. Non potrebbe dirsi altrettanto, per altro, quanto alla ipotizzata
integrazione di una fattispecie alternativa a quella della corruzione, e cioè quanto
al delitto di cui all’art. 346-bis cod. proc. pen.
I ricorrenti non hanno fatto questione in merito all’eventuale eccedenza del
deliberato rispetto ai poteri tipici del Giudice del riesame (Sez. 2, Sentenza n.
29429 del 20/04/2011, rv. 251015), e l’argomento non richiede quindi una
trattazione in questa sede.
Tuttavia pare ovvio che, una volta «trasferito» Visca sul versante dei privati
interessati all’indebito conferimento della concessione, o comunque costruita
l’ipotesi d’accusa sullo sfruttamento illecito di sue relazioni con i pubblici ufficiali,
sarebbe stato necessario almeno enunciare di quali relazioni si trattasse,
dovendosi accettare il presupposto dell’assenza di accordi corruttivi, ed a quali
comportamenti illeciti dei pubblici ufficiali, diversi da lui stesso, si sarebbe
preparato il preteso mediatore.
Sotto questo profilo, la motivazione offerta dal Tribunale del riesame non è
riconducibile al modello legale di completezza e congruenza.
2.3. In realtà – sulla base della motivazione posta a fondamento del rigetto
dei ricorsi – non emerge certo una situazione di chiarezza e coerenza
dell’impianto accusatorio.

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competizione con più consultati gli interessati siano a conoscenza» (Sez. 6,

Pare che il Visca avesse già ricevuto un rilevante importo in denaro da Pulcini
(si veda il riferimento al filmato prodotto da Edoardo Zucchetti), ed il Tribunale,
citando il fatto, ha definito «prezzo del reato» le somme in sequestro.
Sennonché, riguardo alle banconote sequestrate in danno del citato Visca, non
si è stabilito nemmeno se si trattasse del prezzo della «mediazione» o di valori
destinati a pubblici ufficiali da corrompere. Ciò implica non solo l’incertezza del
«reato» cui si viene riferito il «prezzo», ma l’omessa esplicitazione (ed a maggior
ragione l’omessa e pur sommaria dimostrazione) di un presupposto logico

e Aliberti, cioè che costoro ancora avrebbero dovuto versare del denaro al
coindagato. Di più. Non vi è stata alcuna motivazione a proposito delle
indicazioni difensive sulle ragioni del possesso del denaro contante da parte dei
ricorrenti (indicazioni munite di qualche base documentale), e sono state
enunciate ragioni di sospetto chiaramente insufficienti in chiave giustificativa. Il
fatto che Pulcini portasse in tasca 8.000 euro non è sintomo apprezzabile di
pertinenza della somma ad attività illecite, e comunque non di pertinenza ai reati
in contestazione (occorrerebbe ipotizzare che la consegna a Visca fosse così
imminente da indurre il ricorrente, appunto, a tenere i soldi in tasca). Quanto ad
Aliberti, il fatto che tenesse una somma di elevato valore in casa non risulta più
specifico di quello già preso in considerazione, e pare sostanzialmente irrilevante
la circostanza, pur valorizzata dal Tribunale, del tentativo di sottrarre le
banconote all’attenzione dei funzionari di polizia, che può avere molteplici
spiegazioni (compresa quella, assai semplice, della volontà di evitare sequestri e
controversie).
Insomma, il giudizio di pertinenza è stato enunciato in termini insufficienti,
almeno quanto alla relazione tra il denaro in sequestro ed i reati per i quali si
procede o si procedeva.

3. È quindi necessario provvedere all’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata. Giova ribadire, a tale proposito, quanto questa Corte ha stabilito in
numerose occasioni: «in tema di sequestro probatorio, ai fini della legittimità
dello stesso non è necessaria la prova del carattere di pertinenza o di corpo di
reato delle cose oggetto del vincolo, essendo sufficiente la semplice possibilità
del rapporto di queste con il reato» (Sez. 6, Sentenza n. 1683 del 27/11/2013,
rv. 258416).
La pertinenza della cosa al reato, o la sua qualità di corpo del reato
medesimo, vanno verificate, in effetti, secondo la stessa logica che guida
l’accertamento del fumus comissi delicti.

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indefettibile per l’asserita pertinenza delle somme sequestrate in danno di Pulcini

Tuttavia la «possibilità» non può essere intesa nel senso di una compatibilità
del tutto astratta, ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto, quasi che il
sequestro possa considerarsi legittimo tutte le volte in cui non ricorrano elementi
idonei a dimostrare, in termini perentori, che la cosa non è pertinente al reato o
non ne rappresenta il corpo od il frutto. Ciò a maggior ragione quando si tratti di
un sequestro del quale l’instaurazione e la prosecuzione trovino la propria
giustificazione sostanziale non nella rilevanza probatoria del vincolo, quanto
piuttosto nella sua strumentalità ad una futura ed ipotetica confisca. Tanto da

esigenze di prova, l’adozione di una misura cautelare finalizzata alla
conservazione della cautela (cioè il sequestro preventivo: art. 262, comma 5,
cod. proc. pen.).
Occorre dunque che il giudice del sequestro valuti la congruenza del vincolo
con riguardo alle caratteristiche del caso concreto, senza pronunciarsi in termini
di mera «possibilità» in astratto, enunciando le circostanze ed il ragionamento
che conducono, per una ipotesi di reato determinata e congruente, e con
specifico riguardo al bene ed al suo titolare, ad escludere il carattere arbitrario
dell’ablazione. In questo senso i doveri motivazionali dello stesso giudice si
rivelano tanto più intensi quando, nell’interesse della persona assoggettata al
vincolo, vengano prospettate circostanze asseritamente utili a concretare la
possibilità, se non addirittura la probabilità, del difetto di pertinenza della cosa
sequestrata.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma per nuovo
esame.

Così deciso il 2/04/2014.

imporre, per l’eventualità d’una carenza originaria o della cessazione delle

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