Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33183 del 12/06/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 33183 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA
su ricorso ex art.625 bis c.p.p. proposto da:
1) Guarniere Rosario

nato il 16.9.1953

in relazione alla sentenza del 16.2.2012
della Corte di Cassazione Sez. 4
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P. G., dr. Gioacchino Izzo, che ha
chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
sentito il difensore di parte civile,aw.Tommaso Autru Ryolo
in sostituzione dell’avv. Luigi Autru Ryolo, che ha concluso
per l’inammissibilità o,in subordine, per il rigetto del ricorso

Data Udienza: 12/06/2013

1. Con sentenza del 16.2.2012 la Corte di Cassazione Sez. 4 rigettava il ricorso
proposto da Guarniere Rosario avverso la sentenza della Corte di Appello di
Messina, emessa in data 29.10.2010, con la quale, in parziale riforma delta
sentenza del Tribunele di Messina del 19.6.2006, il predetto Guarniere era stato
ritenuto civilmente responsabile per il reato di cui all’art.589 cpv. c.p. ascritto al
capo c) e condannato, in solido con i responsabili civili Comune di Messina e
Assessorato Lavori pubblici della Regione Siciliana e con il coimputato Navarra
Tramontana Rosario, al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti
civili.
Propone ricorso ex art.625 bis c.p.p. il Guarniere.
Premette di essere stato rinviato a giudizio per rispondere dei reati di cui agli
artt. 328 c.p., 426 e 449 c.p., 40 cpv. e 589 c.p. per avere, nella qualità di
responsabile della Ripartizione strade ed impianti del Comune di Messina dal
10.11.1985 al 31.3.1996 e di ingegnere capo dello stesso Comune, omesso
l’attivazione di procedure finalizzate all’emissione di provvedimenti di chiusura
della viabilità precaria esistente nel torrente Ciaramita…consentendone il transito
senza che sussistessero i requisiti minimi di sicurezza e consentendo l’esecuzione
di opere di manutenzione (impianto di illuminazione, bitumatura) tali da far
Insorgere nei cittadini l’incolpevole affidamento dell’esistenza di una pubblica via,
cagionava per colpa la formazione di una rovinosa onda di pieno dello stesso
torrente e conseguentemente la morte di Carità Angela, Carità Antonio e
Coppolino Maria—In Messina in epoca antecedente e prossima al 27 settembre
1998″ e di essere stato poi assolto con la sentenza di primo grado per non
aver commesso il fatto (il Tribunale riteneva infatti che ìl Guarniere non
rivestisse all’epoca del fatti alcuna posizione di garanzia, essendo cessato
dall’incarico di Direttore della Ripartizione strade ed Impianti fin dal 13.5.2006 e,
comunque, essendo competente ad istruire i procedimenti per la chiusura di
strade la Ripartizione Trasporti, Viabilità ed Autoparco).
La Corte di Appello di Messina, su impugnazione delle parti civili, riconosceva,
ai soli effetti civili, la responsabilità del Guarniere, ritenendo che il Titolare della
Ripartizione Strade ed impianti avesse l’obbligo di impedire la realizzazione della
strada e comunque avesse omesso di adottare gli accorgimenti tecnici necessari
per garantire la sicurezza.
La Corte di Cassazione, nonostante le specifiche doglianze svolte con i motivi di
ricorso, si è limitata ad argomentare in ordine agli istituti di diritto processuale
e sostanziale, rinviando per relationem alla sentenza impugnata.
Recependo la motivazione della sentenza impugnata il Giudice di legittimità
incorre in una pluralità di erronea percezione degli atti, risultando
processualmente accertato che: a) il Guarniere, quale Dirigente della Ripartizione
strade ed impianti, non aveva alcun potere di intervento e quindi non poteva
assumere alcuna posizione di garanzia; b) non poteva avere alcun obbligo di
impedire l’allocazione della strada in quel sito, stante la preesistenza (fin dal
1972) della strada medesima all’incarico; c) il Guarniere era cessato dall’incarico
di Direttore della Ripartizione Strade ed Impianti circa 2 anni e mezzo prima
dell’evento (e non sei mesi prima come ritenuto dal Giudice di legittimità); e,
del resto, per i funzionari, succedutisi al Guarniere fino al giorno dell’alluvione, il
procedimento penale si è concluso con l’archiviazione.
Si è avuta, quindi, la condanna (anche se solo agli effetti civili) di un funzionario
cessato dall’incarico due anni e mezzo prima dell’evento.
3. Con memoria del 7.5.2013 le parti civili Carità Giovanna e Carità Giovanni, a
mezzo del difensore, chiedono che venga dichiarato inammissibile o, in
subordine, rigettato il ricorso, non risultando neppure enunciato o individuato
l’errore materiale in cui sarebbe incorsa la Corte di legittimità.

RITENUTO IN FATTO

1. Va innanzitutto verificata la “legittimazione” del Guarniere a proporre ricorso
ex art.625 bis c.p.13,.
Le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n.16103 del 27.3.2002-Basile,
hanno ribadito il principio che “In tema di correzione dell’errore di fatto, poiché la
relativa richiesta è ammessa solo a favore del condannato e l’art.625 bis
cod.proc.pen. ha natura di norma eccezionale, possono costituire oggetto
dell’impugnazione straordinaria esclusivamente quel provvedimenti della Corte di
Cassazione che rendono definitiva una sentenza di condanna e non anche le altre
decisioni che intervengono in procedimenti incidentali.
La sentenza della quarta sezione ha reso esecutiva la sentenza della Corte di
Appello di Messina che, pur non avendo ad oggetto una pronuncia di
affermazione della penale responsabilità (già in primo grado era stata dichiarata
l’estinzione del reato per Intervenuta prescrizione), dichiarava il Guarnlere
civilmente responsabile per il reato di cui al capo b) e lo condannava, al
risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili.
Le Sezioni Unite, intervenendo nuovamente sul punto, aderendo all’indirizzo
prevalente (cfr. ex multis Cass.pen. sez. 6 n.26485 del del 27.4.2010) hanno
affermato il principio che “è legittimato alla proposizione del ricorso straordinario
a norma dell’art.625 bis c.p.p. anche l’imputato (o il responsabile civile ex art.83
c.p.p.) che risulti condannato al solo risarcimento dei danni in favore della parte
civile, che prospetti un errore di fatto nella decisione della Corte di Cassazione
relativamente al capo concernente le statuizioni civili, per l’ontologica identità di
diritti processuali tra l’azione penale e l’azione civile” (cfr. Cass. Sez.un. n.28719
del 21.6.2012).
2. Tanto premesso, li ricorso è inammissibile nel merito.
3. Come ampiamente ricordato nella sentenza della sezione prima di questa
Corte (n.17362 del 15.4.2009)”….la regola dell’intangibilità dei provvedimenti
della Corte di Cassazione – pur avendo perduto il carattere di assolutezza per
effetto appunto dell’art. 625 bis c.p.p. in materia penale e di quello, analogo,
della revocazione per la materia civile – resta a cardine del sistema delle
impugnazioni e della formazione del giudicato nonché del sistema stesso
processuale (Sezioni Unite, sentenza 2002, Basile nonché C. Cost. n. 294 del
1995, e ivi citate nn. 247 del 1995, 21 del 1982, 136 del 1972, 51 e 50 del
1970; Corte di Giustizia, sentenza 1.6.1999, C-126/97, punto 46; sentenza
30.9.2003, C-224/01, p. 38; Corte EDU, da ultimo sentenza del 12 gennaio
2006, Kehaya e altri c. Bulgaria, ric. n. 47797/99 e 68698/01), e sta alla base
del principio che le disposizioni regolatrici del ricorso straordinario non possono
trovare applicazione oltre i casi in esse considerati in forza del divieto sancito
dall’art. 14 disp. gen., costituendo appunto deroga all’Intangibilità del giudicato.
Natura eccezionale del rimedio e lettera della disposizione che lo istituisce non
consentono di sindacare a mezzo di ricorso straordinario altro (asserito) errore di
fatto che non sia quello costituito da sviste o errori di percezione nei quali sia
incorsa la Corte di Cassazione nella lettura degli atti del giudizio di legittimità,
che deve essere connotato altresì dall’influenza esercitata sulla decisione (in tal
senso “viziata”) dalla inesatta percezione di risultanze processuali, il cui
svisamento conduce ad una sentenza diversa da quella che sarebbe adottata
senza l’errore e la cui ingiustizia o invalidità costituiscono effetto di detto errore.
Di conseguenza:- va esclusa ogni possibilità di dedurre errori valutativi o di
giudizio;- l’errore di fatto censurabile secondo il dettato dell’art. 625 bis c.p.p.,
deve consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili
da atti relativi al giudizio di Cassazione (S.U. n. 16103 del 2002, Basile citata), e,
per usare la terminologia dell’art. 395 c.p.c., n. 4, cui si è implicitamente rifatto il
legislatore nella introduzione dell’art. 625 bis c.p.p., nel supporre “la esistenza di

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CONSIDERATO IN DIRMO

4. Risulta palesemente dallo stesso ricorso che ci si duole dell’omessa
valutazione, da parte dei Giudici di Appello, delle risultanze processuali, da cui
secondo il ricorrente emergeva: a) l’inesistenza di una posizione di garanzia; b)
la Impossibilità di impedire l’allocazione della strada In quel sito (stante la
preesistenza della medesima); e) la cessazione dall’incarico anni prima che si
verificasse l’evento.
Nè può surrettiziamente essere denunciato Il travisamento, cui sarebbe incorso il
Giudice di merito, attraverso un presunto omesso esame da parte del Giudice di
legittimità delle doglienze contenute nei motivi di ricorso.
La quarta sezione, con la sentenza del 16.2.29012 ha ampiamente argomentato
in ordine ai rilievi contenuti nel ricorso, evidenziando, da un lato, che i motivi con
cui si censurava la sussistenza della posizione di garanzia erano di “mero fatto”
in quanto si risolvevano “in una prospettazione diversa da quella operata dal
giudicante in ordine al ruolo svolto nella vicenda della ripartizione municipale

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un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa” ovvero nel supporre
“l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita”: e purché tale
fatto non abbia rappresentato “un punto controverso sul quale la sentenza ebbe
a pronunziare”, anche implicitamente ovvero che al dibattito processuale
“appartiene per legge (questioni rilevabili d’ufficio)” (dr. S.U. civili nella sentenza
14.2.1983 da cui C. Cost. n. 17 del 1986 e, ove non bastasse la “storia” della
norma, v. il dibattito in Assemblea nella seduta 844 del 24.1.2001, in relazione
all’emendamento 5,56.3 degli onorevoli Pecorella, Saponara, Marotta);- esso
(l’errore di fatto) deve rivestire “inderogabile carattere decisivo”;- può consistere
dunque anche nell’omissione dell’esame di uno o più motivi del ricorso per
Cessazione, sempre che risulti dipeso “da una vera e propria svista materiale,
ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato
l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura”, ovverosia sempre che
l’omesso esplicito esame lasci presupporre la mancata lettura del motivo di
ricorso e da tale mancata lettura discenda, secondo “un rapporto di derivazione
causale necessaria”, una decisone che può ritenersi incontrovertibilmente diversa
da quella che sarebbe stata adottata a seguito della considerazione del motivo;
con l’avvertenza (cfr. Cass. Sez. 5, n. 11058 del 10/12/2004, Buonanno) che il
disposto dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, secondo cui “nella sentenza
della Corte di Cessazione i motivi di ricorso sono enunciati nei limiti strettamente
Indispensabili per la motivazione”, non consente di presupporre che ogni
argomento prospettato a sostegno delle censure e non analiticamente riprodotta
in sentenza sia stato non letto anziché implicitamente ritenuto non rilevante;
– deve escludersi che nell’area dell’errore di fatto denunziabile con ricorso
straordinario possano essere ricondotti gli errori percettivi non inerenti al
processo formativo della volontà del giudice di legittimità, perché riferibili alla
decisione del giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se
risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle
Impugnazioni ordinarie ovvero con la revisione (S.U. n. 16103 del 2002 citata,
Basile)”.
Sicchè “il cosiddetto “travisamento del fatto”, e cioè il travisamento del
significato anziché del significante, non può in nessun caso legittimare il ricorso
straordinario ex art. 625 bis c.p.p., tantomeno quando sia dedotto come vizio
della decisione del giudice di merito. E neppure può essere, comunque, dedotto
ai sensi dell’art. 625 bis c.p., l’errore revocatorio in cui sarebbe incorso il giudice
di merito. I criteri dl interpretazione dei fatti, dibattuti nel giudizio di legittimità e
oggetto di valutazione anche implicita, non possono essere riproposti sotto forma
di errori di fatto”.(cfr. Cass.pen. sez. 1 n.17362/2009 cit.)
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso, con il quale si deducano “errori di
lettura, comprensione o valutazione di atti processuali riconducibili al giudizio di
merito e non a quello di legittimità e che avrebbero dovuto essere
tempestivamente denunciati attraverso gli specifici mezzi di impugnazione,
proponibili avverso le relative decisioni” (c-fr. Cass. Sez. 6 n.25121 del 2.4.2012).

5. Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali ed ai versamento della somma
che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.,
nonché alla rifusione delle spese sostenute in questa fase dalle costituite parti
civili, che si liquidano come da dispositivo.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuall, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma
di euro 1.000,00, ed alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Carità
Giovanni e Carità Giovanna, che liquida in complessivi euro 2.500,00, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma il 12.6.2013

cui il Guarniere era addetto.,” e che nella ricostruzione dei Giudici di merito non
era ravvisabile alcuna manifesta illogicità” e, dall’altro, che la qualificazione
giuridica del fatto era corretta, essendo il reato integrato sia dall’indebito diniego
che dall’inerzia del comportamento di un comportamento doveroso (pag.20 e SS.
sent).
In effetti, come risulta dalla sentenza, la Corte di Appello, dopo la puntuale
confutazione degli argomenti adoperati dal primo giudice, aveva adeguatamente
motivato in ordine all’esistenza di una posizione di garanzia a carico del
Guarniere (con conseguente obbligo di impedire che il letto del torrente
diventasse strada e che questa continuasse ad essere utilizzata) ed alla
Irrilevanza della cessazione delle funzioni di dirigente della ripartizione strade ed
Impianti fin dal maggio 1996 prima della verificazione dell’evento (pag. 31 e ss.
sent. App.).
Ineccepibilmente quindi la quarta sezione, ritenendo immune da vizi logici la
ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito, ribadiva il principio che non è
consentita, in sede di legittimità, una “rilettura degli elementi probatori posti a
fondamento della decisione.” (pag.20 sent).
E’ pacifico, invero, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va
esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e del passaggi attraverso i quali
si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna
possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di
merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i
risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle
acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della
modifica dell’art.606 lett.e) c.p.p., con la L.46/06, il sindacato della Corte di
Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza,
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti
del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al
giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze
istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo
seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova
non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata
(cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del 18.12.2006;Cass,pen.sez.2 n.23419/2007Vignaroll; Cass.pen. sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012).

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