Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33179 del 24/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 33179 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ROSI ELISABETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCARPINO DANIELE N. IL 23/11/1988
avverso l’ordinanza n. 3593/2012 TRIB. LIBERTA di ROMA, del
05/12/20.12
sentita la relazione fatta dal Consigliere pott. ELISABETTA ROSI;
lotte/sentite le conclusioni del PG Dott. rc2.9-1 QV.-M;Zb

e,

DEPOSITATA IN CANCELLI

IL

31 HO 7n13
C

_e,

Uditi difensor Avv.;

e

cc

n 0-3-›-z:

Data Udienza: 24/04/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Roma, quale giudice del riesame, con ordinanza del 5 dicembre
2012 ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 9
novembre 2012 nei confronti di Scarpino Daniele, indagato, in concorso con
altri, per il reato di cui all’art. 3, c. ‘3 legge n. 654 del 1975, per avere concorso
nella promozione e direzione di un gruppo, caratterizzato da una vocazione
ideologica di estrema destra nazionalsocialista, avente tra i propri scopi
l’incitamento alla discriminazione ed alla violenza per motivi razziali, etnici e
blog del sito web

www.stormfront.org , con l’impiego di pseudonimi atti a mascherare la identità
dei compartecipi, all commissione di più delitti di diffusione di idee “on line” e
tramite volantinaggiio, fondate sulla superiorità della razza bianca, sull’odio
razzi le e tnico; e per i reato di cuj,a1 Tre •rno articolo, relativamente alla 4.1
udì./
2. Av erso tale pronuncia il ricorrente ha proposto ricorso per cessazione, per
mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza per i
seguenti motivi: 1) Inosservanza od erronea applicazione della legge penale e di
altre norme giuridiche, in quanto risulta violato l’art. 9, c. 2 c.p., in quanto si
tratterebbe di reatip commesso da cittadino italiano all’estero, per la cui
procedibilità è necessaria la richiesta del Ministro della giustizia, atteso che il sito
internet è di proprietà statunitense e la legge di quella Nazione consente anche
la diffusione di idee razziste in nome della libertà di espressione; 2)
Inosservanza ed erronea applicazione anche dell’art. 3 c. 3 della legge
contestata, in quanto l’indagato quale coordinatore di un forum o blog si
limitava, al pari di un direttore o redattore di una pubblicazione di carta
stampata ad organiZzate il sito e le sue adesioni, ammettendo gli articoli degli
aderenti ed i commenti dei visitatori del sito, su delega del proprietario
statunitense, senza che vi fosse alcuna struttura al di fuori del sito internet,
dotata dei requisiti di stabilità necessari alla configurazione del reato; sarebbe
quindi una forzature giuridica ritenere che l’attività di un organizzatore di un sito
internet con finalità razziste possa coincidere con quella dell’organizzatore
dell’associazione a delinquere tipizzata sulla norma; 3) Inosservanza dell’art. 275
c. 2 bis c.p.p., in quanto l’indagato è incensurato e quindi avrebbe diretto
eventualmente in caso di condanna al beneficio della sospensione condizionale
della pena; 4) Omessa motivazione in ordine alla richiesta di sostituzione della
misura con quella degli arresti domiciliari.
3. Con memoria aggiuntiva, la difesa ha insistito sull’eccezione di incompetenza
territoriale del reato contestato, atteso che il sito internet operante negli USA è
costituita da tempo in territorio estero, mentre solo alcuni dei reati fine
sarebbero stati commessi in Italia, e non è presente agli atti la richiesta del
Ministro per procedere ex art. 9 c. 2 c.p.

k9te

religiosi, e attraverso la sezione italiana del

CONSIDERATO IN DIgITTO
1. Il ricorso è infondato. E’ bene innanzitutto ribadire che l’ambito del controllo
che la Corte di Cessazione esercita in tema di misure cautelari non riguarda la
ricostruzione dei fatti, né le valutazioni, tipiche del giudice di merito,
sull’attendibilità delle fonti e la rilevanza e/o concludenza dei dati probatori, né la
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive delle persone indagate,
compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute

insindacabile del giudice cui è stata richiesta l’applicazione della misura cautelare
e del tribunale del riesame. Il giudice di legittimità deve invece verificare che
l’ordinanza impugnata contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che hanno sorretto la decisione e sia immune da illogicità evidenti: il
controllo investe, in sintesi, la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento (in tal senso, Sez. 6, n. 3529 dell’1/2/1999,
Sabatini, Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050 del 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104).
In particolare, il controllo di legittimità in relazione alle esigenze cautelari ed alla
adeguatezza delle Misure non può riguardare l’apprezzamento del giudice di
merito sulle condizioni soggettive dell’imputato, per cui non sono consentite le
censure, che pur Investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella
prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate.
2. L’ordinanza oggetto della presente impugnazione è sorretta da logica e
corretta argomentazione motivazionale e risponde a tali due requisiti, né
sussistono le lamentate errate applicazioni della legge penale e processuale.
3. Deve innanzitutto essere dichiarata l’inammissibilità del primo motivo. Infatti
anche nell’ambito del ricorso per cessazione contro provvedimenti “de libertate”
vige il principio generale delle impugnazioni, concernente la necessaria
connessione tra i motivi originariamente proposti e i motivi nuovi (cfr. Sez.1, n.
46711 del 14/7/2011, dep. 19/12/2011, , Colitti, Rv. 251412) e tra i motivi
proposti innanzi al Tribunale del Riesame non è stata eccepita la mancanza di
giurisdizione dei giudici italiani in relazione al fatto di cui trattasi, questione che
sarebbe stata peraltro manifestamente infondata, come desumibile dalle
argomentazioni che saranno spese in risposta agli altri motivi.
4. Per quanto attiene al secondo motivo di ricorso, relativo alla configurabilità del
reato di cui all’art. 3 comma 3 legge n. 654 del 1975, va ricordato che in
esecuzione del vincolo internazionale conseguente alla firma della Convenzione
internazionale di New York, sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione
razziale, il legislatore italiano ha punito come delitto la diffusione di idee fondate
sulla superiorità o sull’odio razziale, nonché l’incitamento a commettere atti di
discriminazione o di provocazione alla violenza nei confronti di persone perché

adeguate: tutti questi accertamenti rientrano nel compito esclusivo e

appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico o razziale (art. 3, comma 1, lett. a)
e b, poi modificato dal D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito con L. 25 giugno
1993, n. 205, nonché dalla L. 24 febbraio 2006, n. 85, art. 13, con la
sostituzione delle condotte indicate in quelle di propaganda ed incitamento). E’
stato affermato (cfr. Sez. 3, n. 37581 del 7/5/2008, dep. 3/10/2008 , Mereu, Rv.
241073) che la norrna incriminatrice di cui alla ripetuta L. 13 ottobre 1975, n.
654, art. 3, comma 1, lett. a) limitatamente alle ipotesi della propaganda e della
istigazione configura un reato di pura condotta, consistente nella propaganda

perfeziona indipendientemente dalla circostanza che la propaganda o la
istigazione siano raccolte dai destinatari. Ed è anche delitto con dolo generico,
integrato dalla mera coscienza e volontà di propagandare idee razziste o di
istigare alla discriminazione razzista, giacché la norma non richiede nell’agente
uno scopo eccedente rispetto all’elemento materiale del reato (propaganda o
istigazione di tipo razzista). La propaganda si qualifica come diffusione di
messaggi volta a influenzare le – idee e i comportamenti dei destinatari, e la
stessa è tanto più efficace quanto più si affida alle nuove tecnologie di
comunicazione, quali i social network o i siti web.
5. Il reato associativo di cui all’art. 3 comma 3 della medesima legge, come
novellato dalla L. 25 giugno 1993, n. 205, che vieta la partecipazione, la
promozione e la direzione di organizzazioni aventi come scopo l’incitamento alla
discriminazione e alla violenza di tipo razziale, è stato già esaminato dalla
giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto che fosse infondata la questione di
legittimità costituzionale sollevata per contrasto con l’art. 21 Cost., atteso che
l’incitamento ha un contenuto fattivo di istigazione a una condotta (la
discriminazione e la violenza razzista) e quindi realizza un quid pluris rispetto
alla mera manifestazione di opinioni personali (cfr. Sez. 5, n. 31655 del
24/1/2001, Gangli, Rrv. 220022). Il principio vale non solo per le organizzazioni
razziste, ma anche per quelle che vogliono diffondere idee con intenzionalità
razziste, perché la libertà di manifestazione del pensiero e quella di associazione
cessa quando travalica in istigazione ed incitamento alla discriminazione e alla
violenza di tipo razZista.
6. In relazione alla fattispecie della quale il ricorrente contesta la sussistenza, è
di interesse richiamare la posizione della giurisprudenza di legittimità sulla
nozione di «comunità virtuale in internet» e sulla sua idoneità strutturale a
configurare la fattispecie associativa (a tale proposito si veda Sez.3, n. 8296 del
3/3/2005, Ongari, Rv 231243), dove i requisiti di stabilità e di organizzazione
sono stati rinvenuti nella regolamentazione delle comunicazioni sul web, dettata
dal responsabile e l’elemento soggettivo della partecipazione all’associazione, nel
fatto che gli aderenti al gruppo fossero adotti e condividessero le finalità del

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razzista o nella istigazione a commettere atti di discriminazione razzista, che si

gruppo stesso. Infaltti, il minimum organizzatori° necessario ad integrare
l’associazione a

delinquere, nelle diverse sfaccettature analizzate dalla

giurisprudenza, si modula in maniera specifica per le realtà associative c.d. “in
rete”, le quali utilizzano le nuove tecnologie, privilegiando l’uso di blog, chat o
virtual communities in internet, non potendosi per tali strutture ricercare quella
fisicità di contatti tra i partecipi, tipica dell’associazione a delinquere di tipo, per
così dire, classico.
7. Quindi ben può essere affermato il principio che costituisce un’associazione a

religiosi, anche una struttura quale quella evidenziata agli atti,

la quale

utilizzava la gestioilie del blog per tenere i contatti tra gli aderenti, fare
proselitismo, anche mediante diffusione di documenti e testi inneggianti al
razzismo, programmare azioni dimostrative o violente, raccogliere elargizioni
economiche a favore del

forum,

censire episodi o persone (“traditori” e

“delinquenti italiani’, perché avevano operato a favore dell’uguaglianza e
dell’integrazione degli immigrati).

Pertanto correttamente il tribunale del

riesame ha ritenuto Sussistenti gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato,
in ragione della sua l veste di organizzatore del sito italiano e di moderatore del
blog.
8. Sono pertanto infondati i rilievi svolti dalla difesa sul punto della pretesa
assimilazione dello Scarpino ad un direttore di giornale, e della sua non
responsabilità per i contenuti delle comunicazioni scambiate attraverso il blog,
(tra l’altro proprio questa Sezione ha chiarito che il blog non rientra nella
definizione di “stampato” previsto dall’art. 1 della L. 47/48 con la sentenza
n.23230 del 10/5/2012).
9. D’altra parte, e per completezza, va precisato che nessun rilievo può essere
attribuito al fatto che il sito internet-madre sia stato da tempo costituito
all’estero ed ivi opri su un server estero. E’ principio consolidato che nei reati
associativi, per determinare la sussistenza della giurisdizione italiana occorre
verificare soprattutto il luogo dove si è realizzata, in tutto o in parte, l’operatività
della struttura organizzativa, mentre va attribuita importanza secondaria al luogo
In cui sono stati realizzati i singoli delitti commessi in attuazione del programma
criminoso, a meno che questi, per il numero e la consistenza, rivelino il luogo di
operatività del disegno. L’art. 6 c.p. sintetizza l’interesse dello Stato a punire
coloro che, in qualche modo, abbiano posto in essere una attività illecita che
abbia violato le norme penali, attribuendo così valenza espansiva ad una frazione
di attività commessa nel territorio dello Stato anche da taluno che partecipi al
sodalizio, in modo che l’applicazione della norma penale si estenda a tutti i
compartecipi ed a tutta l’attività criminosa dovunque realizzata (cfr. Sez.6, n.
4378 del 7/11/1997, dep. 25/3/1998, Cao Len Huot, Rv. 210812). Infatti la

delinquere finalizzata all’incitamento ed alla violenza per motivi razziali, etnici e

competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui si svolgono
programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al
sodalizio, ossia il luogo ove si sia manifestata l’operatività dell’associazione,
piuttosto che il luogo in cui si è radicato il pactum sceleris (Così Sez. 2, n.
22953 del 16/05/2012, dep. 12/6/2012, Rv. 253189 e conforme, tra le tante,
Sez. 1, n. 45388 del 7/12/2005, dep. 14/12/2005, Rv. 233359) e “quando non
sia chiaro il luogo in cui l’associazione opera o abbia operato e non sia possibile
far ricorso al luogo Oli consumazione dei reati-fine, trovano applicazione i criteri

23/1/2007, Rv. 236400).
10. Nel caso di speciie, va richiamato un precedente con il quale questa Corte ha
affermato che il giudice italiano è competente a conoscere della diffamazione
compiuta mediante l’inserimento nella rete telematica Internet di frasi offensive
e/o immagini denigratorie, nche nel caso in cui il sito web sia stato registrato
all’estero, purché l’Offesa sia stata percepita da fruitori che si trovino in Italia
(cfr. Sez. 5, n. 4741 del 17 novembre 2000, dep. 27 dicembre 2000, proc.
contro ignoti, non irnass.). Anche nel caso di specie le attività poste in essere
dall’indagato e gli altri, volti ad attività da svolgersi in Italia (fare proselitismo tra
gli utenti italiani del sito ed ad istigare atti dimostrativi nel territorio italiano)
incardinano senza ombra di dubbio la giurisdizione penale italiana.
11.

Per quanto aniene al terzo motivo, l’ampia motivazione dell’ordinanza

impugnata in punto di sussistenza delle esigenze cautelari, unitamente alla
valutazione della “altamente negativa personalità” dello Scarpino, escludono la
possibilità di una prognosi che contenga la pena nei limiti necessari alla
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, per cui
l’ordinanza risulta immune dal lamentato vizio di errata applicazione di legge.
12.

Anche il quarto motivo è infondato avendo il Tribunale fornito congrua

motivazione circa le ragioni per le quale la custodia cautelare in carcere fosse
l’unica misura adeguata in relazione alle riconosciute esigenze cautelari (peraltro
nel frattempo la misura cautelare custodiale è stata sostituita dal giudice
procedente con quella degli arresti domiciliari)
Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 aprile 2013.

suppletivi dell’art. 9 c.p.p.” (cfr. Sez. 5, n. 2269 del 12/12/2006, dep.

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