Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33175 del 04/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 33175 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sui ricorso proposto da Asli Halima, nata a Casablanca (Marocco) il
13.9.1961, avverso la sentenza pronunciata dalla corte di appello di
L’Aquila il 15.3. 2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale Eugenio Selvaggi, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.
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FATTO E DIRITTO
Con sentenza pronunciata il 15.3.2013 la corte di appello di l’Aquila
confermava la sentenza con cui il tribunale di L’Aquila, in data
22.11.2010, aveva condannato Asli Halima alla pena ritenuta di giustizia

Data Udienza: 04/03/2014

per i reati di cui agli artt. 110, 61, n. 2, 81, cpv., 48 e 479, c.p. (capo
a); 110, c.p., 12, co. 3, d. Igs. 25.7.1998, n. 286.
La condotta addebitata alla Asli è quella di avere agito da intermediaria
al fine di consentire al cittadino extracomunitario di nazionalità
marocchina Jadad Abdelhadi di entrare e soggiornare in Italia, attraverso
la presentazione, presso lo Sportello Unico per l’immigrazione de

dell’art. 22, d. Igs. 25.7.1998, n. 286, per l’assunzione a tempo
indeterminato del suddetto Abdelhadi in qualità di lavoratore
subordinato presso la società “Isocal s.r.l.”, inducendo in tal modo il
suddetto ufficio ad attestare falsamente la ricorrenza dei presupposti
necessari per ottenere l’autorizzazione richiesta ed il rilascio del relativo
nulla-osta, mentre non vi era, in realtà, alcuna intenzione di procedere
alla indicata assunzione e le domande erano state inoltrate adducendo
uno scopo fittizio, strumentale per consentire al citato cittadino
Marocchino l’ingresso ed il soggiorno in Italia, in cambio della somma di
settemila euro, che lo stesso Abdelhadi aveva consegnato alla Asli.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede
l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando: 1)
violazione di legge, in relazione agli artt. 157, 161, 171, lett. d), 178,
lett. c), c.p.p., in quanto il decreto di citazione per il giudizio di appello è
stato notificato presso il difensore dell’imputata per inidoneità del
domicilio eletto, pur non essendosi verificata alcuna elezione di domicilio
presso il luogo dove venne effettuato il tentativo di notificazione del
suddetto atto, inidoneità, peraltro, nemmeno configurabile, in quanto
l’assenza dell’imputata dal suddetto luogo era solo temporanea e il
messo notificatore aveva erroneamente chiesto informazioni in loco per
avere notizie della Asli, riferendosi, con i suoi interlocutori, ad un uomo
e non ad una donna; 2) vizio di motivazione della impugnata sentenza,
in quanto l’assunto accusatorio fondato sull’intenzione dello Iannotti,
amministratore unico della “Isocal”, di cui l’imputata sarebbe stata a
conoscenza, di non assumere il cittadino marocchino, contrasta con

L’Aquila, di una richiesta nominativa di nulla osta al lavoro, ai sensi

l’affermazione dello stesso Iannotti, secondo cui era sua intenzione
assumere lo Abdelhadi proprio per soddisfare una richiesta della Asia, e,
comunque, si fonda su mere illazioni; 3) violazione di legge in relazione
agli artt. 48 e 479, c.p., non essendo configurabile nel caso in esame
l’ipotesi di reato ex artt. 48 e 479, c.p., in quanto la falsa attestazione di
cui la ricorrente è stata accusata concerne esclusivamente la non

cittadino marocchino, vale a dire un fatto del quale l’atto del pubblico
ufficiale (il nulla-osta all’ingresso in Italia) non era destinato a provare la
verità; 4) vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla
determinazione della pena, con particolare riferimento alla entità della
pena inflitta per il reato più grave e degli aumenti operati a titolo di
continuazione.
2.1 Con memoria depositata il 20.2.2014 il difensore della ricorrente
chiedeva la modifica del capo b) dell’imputazione sostituendo, nella
relativa rubrica, la dicitura “per il reato p. e p. dagli artt. 110, c.p. e 12,
comma III del d. Igs. 286 del 25 luglio 1998”, con quella “per il reato p.
e p. dagli artt. 110, c.p. e 12, comma I del d. Igs. 286 del 25 luglio
1998”.
3. Il ricorso non può essere accolto.
4. Infondato appare, innanzitutto, il primo motivo di ricorso, in quanto,
come si evince dalla lettura degli atti, consentita essendo stato dedotto
un

error in procedendo,

la relativa eccezione non è stata

tempestivamente sollevata nel giudizio di appello dall’avv. Carla Falli,
difensore di ufficio dell’imputata e, pertanto, non può essere dedotta per
la prima volta in questa sede di legittimità.
Si tratterebbe, infatti, di una nullità, ove verificatasi, priva di effetti se
non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale
di cui all’art. 184, comma primo, alle sanatorie generali di cui all’art.
183, alle regole di deducibilità di cui all’art. 182, oltre che ai termini di
rilevabilità di cui all’art. 180 c.p.p., e, comunque, da ritenersi sanata,
non risultando provato che l’omessa notifica personalmente all’imputata
del decreto di citazione per il giudizio di appello abbia impedito alla Asli

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veritiera intenzione dell’impresa “Isocal” di procedere all’assunzione del

di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa,
dall’altro (cfr. Cass., sez. VI, 21/05/2013, n. 28971, rv. 255629).
Peraltro, nel caso in esame, non appare nemmeno configurabile la
lamentata nullità: l’imputata, infatti, aveva ritirato in data 28.2.2009
l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, in cui era specificato
che era nella sua facoltà eleggere o dichiarare un domicilio e che in caso

elezione di domicilio, le successive notificazioni sarebbero state
effettuate mediante consegna al difensore, giusto il disposto dell’art.
161, c.p.p., per cui deve ritenersi assolutamente legittima la
notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello, in
mancanza di elezione di domicilio, presso il difensore di ufficio, avv.
Carla Falli, che nulla ha eccepito al riguardo.
4.1 Inammissibile deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, in quanto
in esso il difensore della ricorrente si limita ad esporre censure che si
risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, senza che a ciò si accompagni
l’individuazione di vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di
ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, quindi, in quanto tali,
precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. I, 16.11.2006,
n. 42369, De Vita, rv. 235507; Cass., sez. VI, 3.10.2006, n. 36546,
Bruzzese, rv. 235510; Cass., sez. III, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv.
235508).
4.2 Del pari inammissibili, ai sensi dell’art. 606, co. 3, c.p.p., devono
ritenersi il terzo ed il quarto motivo di ricorso in quanto con essi
vengono dedotti violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello.
E ciò a tacere della ulteriore causa di inammissibilità rappresentata dalla
assoluta genericità del quarto motivo di ricorso.
Va, infine, rilevata anche la manifesta infondatezza del terzo motivo di
ricorso.
Come da tempo chiarito da un condivisibile orientamento della
giurisprudenza di legittimità, infatti, sono configurabili i reati di

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di mancanza, insufficienza o inidoneità della dichiarazione o della

favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e falsità
ideologica in atti pubblici ed autorizzazioni amministrative, commessa
mediante inganno dei funzionari preposti alla formazione e rilascio degli
stessi, nel caso di attività svolta a fine di lucro allo scopo di consentire
l’ingresso in Italia di stranieri extracomunitari mediante la
predisposizione e la presentazione alla direzione provinciale del lavoro

attestanti l’esistenza di proposte di lavoro per i lavoratori, sulla cui base
vengano poi rilasciati permessi di soggiorno ed autorizzazioni al lavoro
(cfr. Cass., sez. I, 08/05/2002, n. 22741).
Ne consegue che nel caso in esame la falsità ideologica
dell’autorizzazione al lavoro e del relativo nulla-osta, appare
configurabile, attesa la rilevanza essenziale dei fatti che si assumono
falsamente rappresentati in ordine all’effettività della richiesta di
assunzione, costituenti presupposti indefettibili ai fini dell’emanazione
dei provvedimenti amministrativi sollecitati per consentire l’ingresso ed il
soggiorno in Italia dell’Abdelhadi.
Va, infine, convenuto con il difensore della ricorrente circa l’erronea
indicazione, nella qualificazione giuridica del reato operata nel capo b),
del comma terzo dell’art. 12, d. Igs. 25.7.1998, n. 286, laddove la
condotta addebitata alla Asli è in realtà attualmente prevista dal primo
comma della anzidetta disposizione normativa, ai sensi delle modifiche
apportate dal Legislatore, da ultimo con la I. 5 luglio 2009, n. 94, che ha
previsto nel terzo comma del menzionato articolo 12 una nuova
fattispecie penale di maggiore gravità.
Si tratta, tuttavia, di un errore del tutto irrilevante ai fini della decisione
adottata, che non abbisogna nemmeno di una formale correzione, in
quanto la condotta per la quale l’imputata è stata condannata rientra ora
pacificamente nella previsione normativa del primo comma dell’art. 12,
d. Igs. 25.7.1998, n. 280 e nessun effetto pregiudizievole sulla posizione
dell’imputata deriva dal riferimento (non più pertinente al terzo comma
del menzionato art. 12, d. Igs. 25.7.1998, n. 286).

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ed alla questura di pratiche corredate da documenti fittiziamente

5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso va, dunque, rigettato,
con condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al
pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma il 4.3.2014

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