Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3317 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3317 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Cascone Salvatore, nato a Camerota n data 08/0471962;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli, in data 28.6.2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Piercamillo Davigo.
Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, dott. Oscar Cedrangolo, il
quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 22.3.2013, il Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Napoli sostituì la misura cautelare della custodia in carcere con
quella degli arresti domiciliari nei confronti di Cascone Salvatore, indagato per i
reati di estorsione aggravata dall’art. 7 legge 203/1991.

Data Udienza: 08/01/2014

Avverso tale provvedimento il pubblico ministero propose appello, ai sensi
dell’articolo 310 cod. proc. pen., e il Tribunale di Napoli, con ordinanza del
28.6.2013, in accoglimento dell’impugnazione, ripristinò la custodia in carcere.
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo:
1. violazione di legge in relazione all’inammissibilità dell’appello proposto dal
P.M.; nell’appello si deduceva soltanto la violazione della presunzione di
cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., dichiarata costituzionalmente
illegittima con sentenza n. 57/2013 della Corte costituzionale; la

pronunzia della Corte costituzionale comporterebbe l’inammissibilità
dell’appello del P.M.; gli ulteriori motivi presentati dal P.M. sarebbero
tardivi e non avrebbero potuto essere considerati in quanto deducevano
argomentazioni, quali la gravità dei fatti, che non erano stati oggetto di
doglianza nell’originario gravame;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza delle esigenze cautelari, desunte unicamente dalle modalità
della condotta tenuta da Cascone ed alla gravità dei fatti senza una
valutazione in concreto anche in considerazione del fatto che nel
frattempo è intervenuto giudizio abbreviato; non sarebbe stata valutata la
natura episodica della condotta; Cascone non avrebbe reiterato le
richieste estorsive, ma solo svolto una funzione di intermediazione, come
emerge da una conversazione intercettata (trascritta nel ricorso); non
sarebbe stata valutata l’offerta reale di risarcimento dei danni a favore
della persona offesa Giocondo Biagio; non sarebbe stato valutato che
l’imputato ha trascorso oltre un anno in custodia cautelare; non sarebbe
stata considerata la necessità di una pluralità di misure cautelari diverse
indicata dalla Corte costituzionale nella sentenza 15 luglio 2013, n. 232.
Con memoria depositata il 20.12.2013 il difensore dell’indagato sviluppava
ulteriori argomenti a sostegno dei motivi proposti e segnatamente
l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dal P.M.

Considerato in diritto

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il P.M. aveva presentato in termine motivi nuovi con fax del 16.5.2013,
seguito dal deposito dell’originale il 17.5.2013 con i quali deduceva il persistere
di una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, sicché il
giudice era tenuto a valutare se, in concreto, sussistano elementi specifici dai
quali si possa desumere che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con
misure diverse dalla custodia in carcere.

2

In tema di impugnazioni “de libertate”, poiché nel giudizio di appello stante il mancato rinvio da parte dell’art. 310 al comma 6 dell’art. 309 cod. proc.
pen. – non trova applicazione la regola, vigente per il procedimento di riesame,
della proponibilità di motivi, anche nuovi, fino all’udienza, le memorie difensive
devono essere presentate almeno cinque giorni prima dell’udienza camerale,
secondo quanto disposto in via generale dal comma 2 dell’art. 127 cod. proc.
pen. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4591 del 18/10/1999 dep. 25/05/2000 Rv.
216293. In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto che correttamente il

depositata tre giorni prima dell’udienza camerale)
La memoria contenente motivi nuovi non era tardiva e correttamente il
Tribunale ne ha tenuto conto.
D’altro canto i motivi nuovi di impugnazione erano inerenti ai temi
specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazione principale
già presentata e quindi rispettavano la necessaria sussistenza di una
connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari. (Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 5182 del 15/01/2013 dep. 01/02/2013 Rv. 254485).
Il secondo motivo è manifestamente infondato e svolge censure di merito.
In tema di misure cautelari, a seguito della sentenza della Corte
costituzionale n. 57 del 25 marzo 2013, la presunzione di adeguatezza della
custodia cautelare in carcere, di cui al comma terzo dell’ art. 275 cod. proc. pen.,
per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis cod.
pen. può essere superata quando, in relazione al caso concreto, siano acquisiti
elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere
soddisfatte con altre misure. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20881 del 30/04/2013
dep. 15/05/2013 Rv. 256072).
Nel caso in esame il Tribunale ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari
di cui all’art. 274 lettera c) cod. proc. pen. in ragione della pluralità di richieste
estorsive, dell’evocazione dei legami con sodalizi criminali di tipo camorristico
operanti nella zona, dai precedenti penali (una condanna per omessa denunzia di
materie esplodenti).
Il giudice di appello ha altresì ritenuto che tale pericolosità non fosse elisa
né dal tempo (trattandosi di fatti recenti) né dalle condizioni

di

salute

(preesistenti alla commissione dei fatti). Ha infine ritenuto che le esigenze
cautelari indicate fossero arginabili solo con la custodia in carcere.
In tale motivazione non vi è alcuna manifesta illogicità o violazione di legge
che la renda sindacabile in questa sede.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

giudice dell’appello cautelare non avesse tenuto conto di una memoria difensiva

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento
a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
La Cancelleria provvederà a norma dell’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’articolo 28 Reg. esec. cod. proc. pen.

Così deliberato il giorno 8.1.2014.

P.Q.M.

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