Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33147 del 20/06/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 33147 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SOLFERINO SEBASTIAN° n. 12/12/1973
avverso l’ordinanza n. 151/2013 del TRIBUNALE DEL RIESAME DI CATANIA
del 12/12/1973
visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ALFREDO POMPEO VIOLA
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito il difensore avv. SALVATORE CANNATA che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Tribunale del Riesame di Catania, adito in sede di appello ex art. 310 cod.
proc. pen. nell’interesse di Solferino Sebastiano, confermava la decisione del gip
del medesimo Tribunale che aveva escluso la sussistenza delle condizioni per
applicare la disciplina della contestazione a catena tra l’ordinanza di custodia
emessa in altro procedimento il 1.12.2009 per associazione finalizzata al traffico
di droga e relativi reati fine, condotta contestata fino al marzo 2006, e
l’ordinanza di custodia emessa nell’attuale procedimento in data 14.12.2012 per
analoghi reati commessi sino al settembre 2009.
Il Tribunale, con specifica motivazione sui possibili collegamenti tra i fatti,
escludeva innanzitutto la sussistenza di nesso teleologico o continuazione. Poi,
previa valutazione concreta degli elementi fondanti la seconda misura cautelare,
dava atto che, al momento di emissione della prima ordinanza, l’ufficio di

Data Udienza: 20/06/2013

Procura procedente non era ancora in possesso di materiale probatorio
sufficiente per la applicazione della misura cautelare, essendo lo stesso stato
adeguatamente rappresentato solo con la CNR del 6.7.2011. escludeva la
fondatezza della affermazione della difesa secondo la quale i fatti conosciuti
dalla pg andrebbero ritenuti immediatamente conosciuti dal PM in applicazione
delle disposizioni del codice che prevedono la direzione da parte del Pm della
polizia giudiziaria.
Contro tale provvedimento ha presentato ricorso il difensore con unico
Il ricorrente premette di non volere “entrare nel merito della sussistenza di
una connessione tra i fatti relativi alle due ordinanze”

insistendo invece

nell’affermare che “gli elementi per emettere la seconda ordinanza erano già
desumibili dagli atti al momento della emissione della prima a prescindere dalla
stesura della CNR in data successiva”.
Ritiene quindi il ricorrente
– che la semplice affermazione del Tribunale che ” .. nel corpo del decreto di
intercettazioni di urgenza emesso dal Pubblico Ministero in data 18 maggio 2009,
si dava atto della graduale emersione nella richiesta di intercettazioni del
sodalizio criminale Composto dai membri della famiglia San filippo, in seno al
quale Solferino pareva rivestire una posizione di rilievo” sarebbe bastato alla
“Procura per emettere (rectius chiedere ed ottenere) una sola ordinanza
applicativa della misura cautelare in carcere sia per il primo che per il secondo
procedimento” senza necessità di attendere la CNR conclusiva.
– Che debba rilevare il ritardo della pg nel depositare l’informativa finale
laddove il procedimento era stato caratterizzato da decreti di intercettazione di
urgenza del PM.
– Che, per “ovviare a simili distorsioni”, ovvero che la polizia giudiziaria
possa decidere quando portare a conoscenza dell’AG gli esiti di indagine, con
conseguente possibilità di aggirare le regole in tema di contestazione a catena, si
dovrebbe interpretare l’art. 297 cod. proc. pen. in connessione con gli art. 55,
56 e 59 cod. proc. pen.; a tale fine in ricorso si precisa “dovendo questa difesa,
per tale motivo, sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale”.
– Che, infine, non risulta logicamente spiegato perché, non essendovi
urgenza, non è stata posticipata l’adozione della prima misura attendendo
l’acquisizione di sufficienti elementi per emettere la seconda.
il ricorso è manifestamente infondato, sia perché sostiene una
interpretazione non conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di
legittimità, sia perché invoca accertamenti in fatto che, con tutta evidenza, non
sono di competenza del giudice di legittimità.

motivo con il quale rileva la manifesta mancanza ed illogicità della motivazione.

Innanzitutto non si può tener conto degli argomenti basati su quanto il
ricorso afferma essere “possibile constatare dalla lettura degli atti di indagine”;
questo perché il giudice di legittimità non può essere chiamato a svolgere una
valutazione di merito dei contenuti dei diversi procedimenti in cui sono state
emesse le diverse misure cautelari al fine di ritenere possibile la emissione
anticipata della seconda misura cautelare. Invero la difesa allega degli atti al
ricorso, ma senza alcuno specifico riferimento al loro contenuto; in tal modo non
si deduce il rituale vizio di travisamento di singoli atti di indagine ma si invoca

Inoltre è manifestamente infondata la generica affermazione che, attesi i
rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria quali disciplinati dalle norme
del codice di rito, la attività della seconda debba ritenersi sempre
immediatamente nota al primo. Sul punto la difesa afferma anche di “sollevare la

relativa questione di legittimità costituzionale”, ma senza alcuno sviluppo di
argomenti, al di là della mera affermazione ora trascritta, che consenta di
riconoscerla quale effettiva eccezione di costituzionalità; non è necessaria,
quindi, alcuna valutazione al riguardo.
Valutate le ragioni della inammissibilità la sanzione pecuniaria può essere
equamente determinata come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
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una autonoma valutazione nel merito degli stessi atti.

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