Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33142 del 04/06/2013
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33142 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: IPPOLITO FRANCESCO
SENTENZA
sul ricorso proposto da
PIUNTI Marco,
nato a Marino il 16/04/1962
contro l’ordinanza del Tribunale di Roma emessa in data 01/03/2013
– udita la relazione in cgmera di consiglio del cons. F. Ippolito;
– udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore
generale doti. G. Mazzotta che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Ritenuto in fatto
1. Avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con cui il Tribunale di Roma ha
sostituito la misura custodiale carceraria applicatagli dal locale GIP il 14.2.2013, per
imputazione provvisoria ex artt. 99, 110, 319 – quater c.p., con gli arresti domiciliari,
ricorre Marco PIUNTI a mezzo del difensore, con unico motivo di violazione di legge
e motivazione illogica in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.
In ricorso si deduce che gli elementi evidenziati dal Tribunale del riesame a
carico del Piunti (menzognera ricostruzione dei fatti, stile di vita, frequentazione di
pregiudicati di spessore, in relazione alla qualità di ex-ufficiale della Guardia di
Data Udienza: 04/06/2013
finanza) non sarebbero idonei a fondare il concreto pericolo di reiterazione di reati
della stessa specie.
In particolare, il Tribunale avrebbe: ignorato il dedotto dato della mancanza
di precedenti penali; errato in diritto giudicando sufficiente la concretezza del
pericolo ma non pure la sua attualità, intesa la prima come disponibilità a cogliere
elementi di fatto più che da generiche circostanze sostanzialmente riproduttive della
norma; valorizzato l’assenza di segni di completa e certa resipiscenza, così
invertendo l’ordine logico tra mancanza di elementi di pentimento e sussistenza del
pericolo di reiterazione del reato; motivato assertivamente sul lasso temporale
trascorso tra la consumazione del reato contestato e il momento di applicazione
della misura.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile perché il motivo è al tempo stesso
manifestamente infondato e diverso da quelli consentiti.
2. Il Tribunale ha innanzitutto dato corretta applicazione al consolidato
principio di diritto per cui in tema di misure cautelar’ personali, ai fini della
valutazione del pericolo che l’indagato commetta ulteriori reati della stessa specie, il
parametro della concretezza non si identifica con la attualità del pericolo derivante
dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di
nuovi reati, dovendo, al contrario, il predetto requisito essere riconosciuto alla sola
condizione, necessaria e sufficiente, che esistano elementi “concreti”, cioè non
meramente congetturali, sulla base dei quali possa affermarsi che il soggetto
inquisito possa facilmente, verificandosene l’occasione, commettere ulteriori reati
rientranti fra quelli contemplati dall’art. 274 lett. c) c.p.p. (ex plurimis, v. Cass.
Sez. 4 n. 18851/12; Sez.1 n. 25214/09; Sez.6 n.. 20058/09).
3. Tali elementi concreti sono stati ritenuti sussistenti con specifica
motivazione, richiamata dal medesimo ricorrente, che dà conto di un
apprezzamento di mero fatto non palesemente incongruo ai dati oggettivi riferiti e
non assertivo, perché ad essi ancorato. Anche il punto relativo alla distanza
temporale tra fatti e misura custodiale è stato oggetto di specifica motivazione, in
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successive opportunità di nuovamente delinquere, e pertanto ‘sganciata’ da concreti
visione sinergica con gli altri elementi e nel contesto dell’unitario apprezzamento di
sussistenza delle esigenze cautelari.
In definitiva, il pur diligente motivo di ricorso si risolve nella sollecitazione a
preclusa rivalutazione delle ragioni di merito che hanno fondato la decisione
impugnata: ciò, del resto, risultava in qualche modo anticipato anche dalla stessa
vizio diverso da quelli solo rilevanti ai sensi della lettera e dell’art. 606.1 c.p.p..
4. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma, equa al caso, di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende.
Roma, 4.6.2013
enunciazione del motivo, che richiamando la nozione di semplice “illogicità” indicava