Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3311 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3311 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 07/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Panciroli Giovanni, nato il 2.10.1949 avverso la
Sentenza della Corte di cassazione del 24.1.2013 n. 9079. Sentita la relazione
della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la requisitoria del
sostituto procuratore generale Eduardo Scardaccione, il quale ha concluso
chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito il difensore
Pistocchini Alessandro, il quale ha chiesto accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 9079 del 24/1/2013 la Corte di Cassazione, sezione sesta, ha
rigettato il ricorso proposto da Panciroli Giovanni avverso la sentenza del
24/6/2011 della Corte di appello di Milano, di condanna dello stesso per i reati
ascritti.
Avverso la sentenza di legittimità ha proposto ricorso straordinario ex art. 625
bis c.p.p. il difensore del Panciroli, rilevando che la Corte di Cassazione
sarebbe incorsa in un errore percettivo nella valutazione dei fatti intesa a
verificare la tenuta logica della sentenza impugnata, sottoposta a critica nei
motivi di appello.

1

Lamenta infatti il ricorrente quanto segue. Si premette che nella sentenza di
questa corte si legge che il fatto – sostenuto nell’atto di appello – che la
maggior parte dei funzionari dell’agenzia delle entrate avesse già all’epoca dei
fatti maturato – o palesato – coscienza dell’infondatezza dell’originaria pretesa
fiscale per cui è stato instaurato il processo per corruzione nei confronti
dell’odierno imputato, contrariamente a quanto apoditticamente sostenuto
dalla corte d’appello, avrebbe potuto essere effettivamente rilevante ai fini

della considerazione della tenuta logica della decisione sottoposta all’esame
della corte di cassazione. Tanto premesso, prosegue il ricorso, deve osservarsi
che tuttavia questa corte nella sentenza in oggetto ha affermato che la difesa
si sarebbe limitata a riportare scarni elementi che non valgono affatto a
dimostrare errori logici della ricostruzione della vicenda per contrasto con atti
del processo: infatti, si legge testualmente nella sentenza, “vengono
estrapolate poche frasi da alcune delle deposizioni, del tutto avulse dal
contesto complessivo delle deposizioni stesse che non valgono a smentire la
ricostruzione della corte di appello” (v. pagina 18). Orbene, conclude il
ricorrente, unitamente al ricorso per cassazione erano depositati tutti i
documenti relativi alle deposizioni sui fatti in oggetto, documenti che
evidentemente sono sfuggiti alla considerazione della corte di cassazione la
quale non li ha valutati per essere caduta in un evidente errore di fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Per giurisprudenza di questa Corte, sui limiti della cognizione del giudice di
legittimità in materia di ricorso ex art. 625 bis c.p.p’. (cfr. Cass. sez. un.
27/03/2002, n. 16103 Basile, Rv. 221280; Cass. sez. un. 14.7.11, n. 37505)
l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del ricorso
straordinario consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un
equivoco in cui la Corte di Cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni
al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo
della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che
abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata
senza di esso. Qualora la causa dell’errore non sia identificabile
esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione
abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto,
bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio straordinario.
Ebbene, nel caso di specie, non emerge in nessun modo un errore di fatto,
così definibile secondo quanto chiarito.
Nel passo riportato la sentenza di questa corte argomenta sulla inefficienza

2

del ricorso per cassazione sottoposto al suo esame a dimostrare l’esistenza di
eventuali errori logici nella sentenza della corte di appello di Milano sul punto
oggetto di rilievo. Non riscontra, in tale frangente, in nessun modo, problemi
circa la autosufficienza del ricorso; non contesta, in effetti, e in altri termini la
mancata allegazione di prove e documenti. Molto diversamente, con giudizio
non ulteriormente sindacabile in questa sede di ricorso straordinario, ritiene
che nel ricorso dell’imputato non siano evidenziati errori logici commessi dalla

particolare, si argomenta che nel ricorso in esame vengono estrapolate poche
frasi da alcune soltanto delle deposizioni, frasi del tutto avulse dal contesto
complessivo delle deposizioni stesse le quali, come tali, non valgono a
smentire la ricostruzione della corte di appello in punto di tenuta logica della
stessa. Dunque, in conclusione, nella sentenza oggetto del presente processo,
questa corte si è limitata a ritenere che nel ricorso presentato dall’imputato il
materiale probatorio non fosse ricostruito in modo da riuscire a dimostrare la
illogicità della decisione del merito. Del resto, il giudizio di questa corte non
avrebbe mai potuto spingersi oltre, giungendo ad una inammissibile e diretta
valutazione del materiale probatorio allegato al ricorso: è questo infatti
compito da assolversi esclusivamente da parte dei giudici del merito.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deliberato il 7.1.2014

corte di appello nella sentenza sottoposta al vaglio della cassazione. In

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