Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33078 del 03/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33078 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Messina Pietro Salvatore, n. a Salemi il 26 gennaio 1977;
ricorre avverso la sentenza, in data 4.06.2013, della Corte di Appello di Palermo che, a
conferma della sentenza di primo grado, ha condannato il ricorrente alla pena di anni tre mesi
otto di reclusione ed euro 1800,00 di multa per i reati di rapina aggravata e porto di oggetti
atti ad offendere.
Sentito il relatore cons. Giovanni Diotallevi,
Udite le conclusioni del P.G. cons. Elisabetta Cesqui, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Messina Pietro Salvatore ricorre avverso la sentenza, in data 4.06.2013, della Corte di Appello
di Palermo che, a conferma della sentenza di primo grado, ha condannato il ricorrente alla
pena di anni tre mesi otto di reclusione ed euro 1800,00 di multa per i reati di rapina
aggravata e porto di oggetti atti ad offendere.
Chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato il ricorrente deduce:

a) Violazione art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà ed
illogicità della motivazione in relazione alla valutazione delle prove acquisite.
Il ricorrente contesta la motivazione concernente il percorso argomentativo della Corte,
riferito ai dati probatori e alle dichiarazioni rese dal coimputato Fiorenza Paolo

Data Udienza: 03/06/2014

Con riferimento al primo profilo, il ricorrente sottolinea che la Corte d’appello si sarebbe
limitata a rinviare alle motivazioni della sentenza di primo grado in maniera acritica.
Inoltre la motivazione della Corte d’appello sarebbe illogica e contraddittoria in quanto non
avrebbe evidenziato la prova della riconducibilità ai fratelli Messina della conversazione
intercettata il giorno della rapina; le utenze intercettate risulterebbero intestate l’una alla
moglie di Messina Antonio, l’altra alla suocera del ricorrente e non si comprenderebbe in base a
quali elementi la Corte abbia ritenuto che la seconda utenza fosse in uso al Messina Pietro, dal
momento che il ricorrente era detenuto dal 1995 ed usufruiva solo di permessi premio.

l’organizzazione di una rapina, consideraftte le spiegazioni fornite dagli interessati circa il
linguaggio utilizzato.
Inoltre la valutazione in ordine all’attendibilità del coimputato Fiorenza Paolo, sconterebbe, in
quanto a credibilità, la omessa valutazione dei motivi di astio e acredine serbati dall’imputato
nei confronti del ricorrente.
Peraltro, le dichiarazioni del Fiorenza conterrebbero forti discrepanze in relazione agli orari,al
percorso seguito da Salemi a Trapani, alla distanza tra la tabaccheria rapinata e la dimora della
compagna del ricorrente, molto distanti tra loro.

b) Violazione art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà ed
illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art.
62, n. 4 cod. pen.
In relazione alla richiesta concessione dell’attenuante del danno di lieve entità, il ricorrente
contesta il mancato riconoscimento della stessa, pur in presenza delle condizioni per ritenerle
sussistenti, in considerazione del fatto che la tabaccheria non avrebbe riportato un danno
economico consistente e che le modalità di svolgimento della rapina non avrebbero
determinato l’uso della violenza nei confronti della persona offesa.

c) Violazione art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà ed
illogicità della motivazione in ordine all’art. 133 cod. pen.
I giudici della Corte d’appello non avrebbero correttamente utilizzato i parametri di dosimetria
della pena, ma avrebbero paragonato la condizione del ricorrente a quella del fratello, al quale
sono stati contestati due delitti e due contravvenzioni, giungendo così ad una erronea
quantificazione della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato, ai limiti dell’inammissibilità.
2. Osserva la Corte che, in ordine ai motivi di cui alle lettere a) e b) in apparenza si
deducono vizi della motivazione ma, in realtà, si prospetta una valutazione delle prove diversa

Mancherebbe altresì la prova che la conversazione intercettata avesse ad oggetto

e più favorevole al ricorrente, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità; si
prospettano, cioè, in gran parte questioni di mero fatto che implicano una valutazione di
merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi di
logica, coerente con i principi di diritto enunciati da questa Corte, come quella del
provvedimento impugnato che, pertanto, supera il vaglio di legittimità (Cass. sez. 4,
2.12.2003, Elia ed altri, 229369; SU n° 12/2000, Jakani, rv 216260) ;n particolare con il
vaglio operato nei confronti delle affermazioni della sentenza di primo grado, analiticamente e
criticamente rivisitate in appello e corroborate anche dalla confessione del fratello del

Paolo, che ha partecipato sia alla rapina in cui è coinvolto il ricorrente Messina Pietro Salvatore
sia alla rapina in cui è coinvolto, oltre al Messina Antonino, a jiche il ricorrente Messina Pietro
Salvatore. Peraltro la Corte richiama puntualmente i riscontri derivanti dal contenuto delle
intercettazioni telefoniche, analiticamente esposti nel provvedimento impugnato (v. sentenza
d’appello pagg. 3 e 4). Peraltro la genericità di parte dei motivi emerge nell’assenza di
qualsiasi contestazione in ordine all’elemento di prova concernente le dichiarazioni di Saladino
Francesco (v. pag. 4 della sentenza) con riferimento alla concomitante presenza , con una
terza persona, dei due fratelli Messina, nel suo bar, nello stesso pomeriggio, ma in orario
successivo, in cui intorno alle 16.00 venne consumata la rapina; tale circostanza è stata riferita
anche dal Fiorenza, che trova dunque un riscontro oggettivo alle sue dichiarazioni e alla
credibilità complessiva delle medesime.
In relazione a questo importante elemento e alla censura concernente la mancata
concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 cod. pen. la motivazione è ampia e
articolata, sia con riferimento al valore della somma asportata, circa mille euro, sia con
riferimento alla qualità criminale dell’azione posta in essere (v.pag. 5 della sentenza
impugnata); il ricorso, per questi punti, è inammissibile stante l’assoluta genericità dello
stesso. Sotto questo profilo il ricorso è infatti privo della specificità, prescritta dall’art. 581,
lett. c), in relazione all’art 591 lett. c) c.p.p., a fronte delle motivazioni svolte dal giudice
d’appello, che non risultano viziate da illogicità;
Questa corte ha stabilito che “La mancanza nell’atto di impugnazione dei requisiti
prescritti dall’art. 581 cod. proc. pen. – compreso quello della specificità dei motivi- rende
l’atto medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre, quindi,
quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla
dichiarazione di inammissibilità”. (Cass. pen., sez 1, 22.4.97, Pace, 207648);
Per quanto riguarda il capo c) del ricorso osserva la Corte che i criteri di dosimetria
della pena utilizzati sono stati ampiamente richiamati, in relazione alla gravità dei fatti, alla
condotta processuale, al disvalore della condotta (il ricorrente all’epoca era detenuto e fruiva
di permessi premio) e appaiono coerenti anche nella logica complessiva dell’equilibrio della
sanzione tra tutti i correi.
3. Alla luce delle suesposte considerazioni , va pertanto rigettata l’impugnazione;

ricorrente, seppur per la sua posizione, per quanto riguarda le dichiarazioni del correo Fiorenza

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali;
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
gno 2014

Roma,

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