Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33077 del 18/04/2018

Penale Sent. Sez. 2 Num. 33077 Anno 2018
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: PARDO IGNAZIO

SENTENZA
Sui ricorsi proposto da:
A.A.
B.B.
avverso la sentenza del 01/12/2016 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IGNAZIO PARDO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale PERLA LORI
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore avv.to XX per B.B. che insiste per l’annullamento della sentenza
impugnata e si richiama ai motivi anche aggiunti.
RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza in data

r

dicembre 2016 la corte di appello di Torino confermava la

sentenza del G.U.P. del Tribunale di Torino in del 14-1-2016 che aveva condannato A.A. e B.B. alla pena di anni 3, mesi 1, giorni 10 di reclusione ed C 800 di multa

Data Udienza: 18/04/2018

ciascuno, in quanto ritenuti colpevoli del delitto di estorsione continuata in concorso,
aggravata ex art. 7 D.L. 152/91.

1.2 Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione entrambi gli imputati;
B.B. deducendo violazione dell’art. 606 lett. e) cod.proc.pen. per difetto di
motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7
D.L. 152/91, posto che le minacce erano state poste in essere da soggetti non appartenenti
ad alcuna associazione mafiosa ed altresì risultavano prive della capacità intimidatoria insita

altre associazioni criminali erano successivi à versamenti di denaro. Con motivi aggiunti la
difesa del B.B. insisteva sulla esclusione della aggravante ricostruendone la natura in
termini oggettivi e la conseguente non trasmissibilità a detto ricorrente.

1.3 A.A. deduceva errata applicazione della legge penale, mancanza, illogicità e
contraddittorietà della motivazione con riguardo alla omessa derubricazione dei fatti in truffa
aggravata, posto che le consegne di denaro non erano dipese da specifiche minacce bensì
da artifici e raggiri e, comunque, le condotte intimidatorie avevano seguito le varie dazioni
essendo al più volte ad impedire che la persona offesa sporgesse denuncia. Con il secondo
motivo lamentava violazione di legge e difetto di motivazione con riguardo al riconoscimento
della circostanza aggravante ex art. 7 D.L. 152/91, posto che il metodo mafioso doveva
riconoscersi sulla base della natura delle intimidazioni e non soltanto sulla base delle
impressioni della vittima basate sulle millanterie dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché manifestamente infondati.

2.1 Quanto alla prima doglianza proposta nell’interesse A.A., e con il quale si contesta
la corretta qualificazione giuridica dei fatti, va ricordato che secondo la giurisprudenza di
questa corte il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è
connotato dalla minaccia di un male, è rappresentato dalla concreta efficacia coercitiva, e non
meramente manipolativa, della condotta minacciosa rispetto alla volontà della vittima, da
valutarsi con verifica “ex ante”, che prescinde dalla effettiva realizzabilità del male
prospettato (Sez. 2, n. 11453 del 17/02/2016, Rv. 267124). Al proposito, si è anche
affermato, che integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la minaccia di un male,
indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l’effetto coercitivo
esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla
volontà dell’agente, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva
dalla persona offesa, ancorché in contrasto con la realtà, a lei ignota (Sez. 2, n. 21974 del
18/04/2017, Rv. 270072). Orbene l’applicazione di tali principi al caso in esame determina la
manifesta infondatezza del motivo posto che i giudici di merito, con valutazione conforme ed
espressa nella motivazione di appello alle pagine 14 e seguenti, hanno precisato come ad una
prima fase caratterizzata dall’induzione in inganno del F.F. da parte dei correi ne seguì
un’altra, ben più significativa sotto il profilo criminale, caratterizzata da palesi e ripetuti
2

nelle condotte di simili associati. Peraltro, i riferimenti operati dagli imputati a legami con

episodi intimidatori, caratterizzati anche da truculente messe in scena e dalla visione di armi
da sparo, evidentemente caratterizzata da efficacia coercitiva della volontà del soggetto
passivo che per sua ripetuta ammissione ebbe a rappresentarsi come concreto, serie e reale il
pericolo prospettato dall’A.A. e dal B.B.. In questa seconda fase la coartazione della
volontà della vittima, pertanto, dipese non più da una falsa rappresentazione della realtà e da
artifici ed inganni, quanto dalla imposizione della volontà degli imputati che attraverso
esplicite minacce e comportamenti del tutto concludenti con la reclamata appartenenza ad

finanziarie per lo stesso del tutto svantaggiose.
Pertanto, appare corretta la qualificazione giuridica dei fatti e non fondata la doglianza
difensiva, posto che i giudici di merito hanno esattamente individuato le plurime dazioni come
frutto del complessivo clima intimidatorio esercitato in danno della vittima con ripetute frasi
ed altri atteggiamenti e condotte inequivocabili.

2.2 In relazione al secondo motivo, si osserva come secondo la giurisprudenza cui questo
collegio intende aderire ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del
“metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12 luglio 1991,
n. 203), non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione
per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente ed alla
sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo
associativo (Sez. 2, n. 16053 del 25/03/2015, Rv. 263525; Sez. 2, n. 322 del 02/10/2013,
Rv. 258103). Sicché non appare decisivo appurare l’effettiva appartenenza dell’A.A. alla
consorteria criminale cui lo stesso risultava reclamare ripetutamente l’inserimento, essendo
sufficiente che attraverso tale ripetuta rappresentazione, si ricordi accompagnata dall’uso di
armi e dalla ricostruzione di un finto strangolamento, la vittima abbia percepito che la
minaccia proveniva da soggetto coinvolto in dinamiche associative-criminali. In tal modo,
infatti, la contestata condotta risulta posta in essere esattamente sfruttando il metodo
mafioso poiché gli imputati ne hanno reclamato l’appartenenza e la vittima ha
inequivocabilmente percepito il maggior effetto intimidatorio connesso dalla appartenenza dei
correi od anche di uno di essi a consorterie criminali.
Inoltre, poiché la circostanza aggravante dell’agevolazione di un’associazione mafiosa,
prevista dall’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. in legge n. 203 del 1991, ha natura oggettiva,
riguardando una modalità dell’azione, si trasmette, pertanto, a tutti i concorrenti nel reato
(Sez. 2, n. 52025 del 24/11/2016, Rv. 268856) sicché manifestamente infondata appare
anche la doglianza proposta al proposito nell’interesse del B.B. che, comunque, è appena il
caso di evidenziare era a perfetta conoscenza della reclamata appartenenza da parte di
A.A. alla criminalità organizzata e collaborava con lo stesso nella predisposizione di quel
finto e macabro espediente dello strangolamento che doveva servire ad attuare una maggiore
efficacia intimidatoria nei riguardi della vittima.

3

associazione mafiose, costrinsero il F.F. alle dazioni di denaro e ad altre operazioni

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al
versamento della somma, che si ritiene equa, di euro duemila ciascuno a favore della cassa
delle ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e

Roma, 18 aprile 2018

IL PRESIDENTE
Dott.Matilde Cammino

della somma di euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende.

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