Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3307 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3307 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Petronelli Vincenzo, nato il 4.7.1969 avverso la
ordinanza del Tribunale della libertà di Taranto del 9.7.2013. Sentita la
relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la
requisitoria del sostituto procuratore generale Eduardo Scardaccione, il quale
ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; udito l’avv. Michele Fino per
l’imputato, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Taranto, decidendo sulla
richiesta di riesame avanzata da Petronelli Vincenzo avverso l’ordinanza
emessa dal gip del tribunale della medesima città in 20 giugno 2013,
applicativa allo stesso della misura cautelare della custodia in carcere
sussistendo gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di rapina aggravata,
oltre alle esigenze cautelari di massimo rigore, ha rigettato l’istanza
confermando il provvedimento impugnato.
Nel ricorso presentato nell’interesse dell’indagato si contesta in primo luogo
violazione di legge in relazione all’art. 309 comma 5 0 cod. proc. pen. per non

Data Udienza: 07/01/2014

essere stati trasmessi al gip e al tribunale del riesame atti di indagine
compiuti nei confronti dell’indagato e ad esso favorevoli, nella specie le
intercettazioni ambientali captate nella autovettura dell’indagato dopo il
colloquio in questura avvenuto con un ispettore di polizia in relazione alla
rapina per cui si procede.
Ulteriore motivo di doglianza è nella mancanza dei gravi indizi di colpevolezza
necessari per l’adozione della misura: si contesta infatti violazione dell’art.

273 bis del cod. proc. pen., 370 e 141 bis del medesimo codice rimarcando
come a riscontro della deposizione resa da Sermeraro Cosimo, chiamante in
correità l’odierno indagato, siano state utilizzate le dichiarazioni rese da Leuzzi
Lorenzo, indagato in altro procedimento, le quali dichiarazioni furono assunte
direttamente dalla polizia giudiziaria, in assenza di delega del pubblico
ministero, nonostante l’interrogato si trovasse in stato di arresto. Si rimarca
nel ricorso come, prescindendo da tali inutilizzabili elementi di riscontro, la
deposizione del chiamante in correità non troverebbe altri riscontri e come
tale non potrebbe fondare positivamente il giudizio sulla gravità indiziaria,
trattandosi peraltro di dichiarazioni rese da soggetto palesemente interessato
perché coinvolto nel reato.
L’ultima doglianza è dedicata alla violazione di legge e vizio di motivazione, di
cui si asserisce la mancanza in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari
di massimo rigore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Per giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento
non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli
elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore
degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive
dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle
misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito
esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della
misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità
sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato
al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di
carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile
in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti,
ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento(cfr. Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep.

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16.06.1995 rv 201840 e, tra le più recenti, Cass. Sez. III, 28.2.2012, n.
12763).
Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame
dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un
lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che
collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza
dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo,

stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del
fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e
la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la
motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In
particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame
in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può esseFe
sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo
del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della
sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Cass.
Sez. 1^ sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).
Inoltre, in tema di valutazione della chiamata in reità o correità in sede
cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel
medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento
connesso o collegato integrano i gravi indizi di colpevolezza soltanto se esse,
oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri
estrinseci individualizzanti, tali cioè da assumere idoneità dimostrativa in
ordine all’attribuzione del fatto reato al soggetto destinatario di esse, ferma
restando la diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un
giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza
del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della
certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato (cfr., tra le
molte, Cass. Sez. I, 1.4.2010, n. 19517).
È pure stato chiarito che i riscontri esterni alla chiamata di correità richiesti
dall’art. 192 c.p.p. devono essere individualizzanti, nel senso che devono
avere ad oggetto direttamente la persona dell’incolpato e devono possedere
idoneità dimostrativa in relazione allo specifico fatto a questi attribuito (Cass.
Sez. III, 10.12.2009, n. 3255).
Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi quanto segue.
Infondato è il primo motivo, sulla mancata trasmissione di atti in tesi recanti
elementi favorevoli all’indagato. Nel ricorso, infatti, si afferma che nei colloqui

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captati nella autovettura dell’indagato fossero stati effettuati riferimenti
favorevoli allo stesso, ma in effetti nulla si dice sugli stessi e sul perché
dovrebbero svolgere la affermata funzione di favore verso l’indagato.
Nel ricorso si pone in dubbio, inoltre, la attendibilità delle dichiarazioni del
coimputato Sermeraro, svolgendo una dettagliata critica sul punto e ponendo
in dubbio tutte le dichiarazioni accusatorie dello stesso. Tuttavia, come si
legge a pagina 4 del provvedimento impugnato, tale profilo non è stato

oggetto di specifica doglianza davanti al tribunale del riesame, essendosi la
difesa concentrata solo sulla critica in ordine alla mancanza di riscontri esterni
alle dichiarazioni; ciononostante il tribunale argomenta diffusamente sulla
credibilità del dichiarante rimarcando non soltanto l’assenza di ragioni di
risentimento verso l’odierno imputato, in nessun modo emerse nel corso del
procedimento, ma anche il carattere autoaccusatorio delle dichiarazioni
nonché il fatto estremamente significativo che il dichiarante abbia provveduto
a restituire euro 8.000 quale parte del provento che ha confessato di aver
complessivamente ricevuto, per euro 20.000, a seguito della sua
partecipazione alla rapina, con ciò indubbiamente accreditando in maniera
decisiva l’attendibilità delle dichiarazioni.
Quanto ai riscontri esterni alle stesse, decisivo e dirimente appare lo stesso
comportamento dell’odierno indagato giacché – come è risultato non soltanto
da una annotazione di polizia ma anche da riprese video sottoposta all’esame
del tribunale – una volta ultimato l’interrogatorio il Petronelli, incrociando nei
locali della questura altri coindagati, volgendosi verso uno di essi – Mauro De
Virgilis – ancora in attesa di essere ascoltato, portandosi il dito indice davanti
al naso gli faceva segno di tacere, con ciò dimostrando di conoscere il
soggetto (ad onta delle opposte dichiarazioni di entrambi) e di essere legato
allo stesso da uno specifico rapporto di complicità in ordine ai fatti delittuosi
contestati e per i quali entrambi erano stati convocati. Rimarca, logicamente,
il tribunale come l’odierno indagato, successivamente avvalendosi sul punto
della facoltà di non rispondere, non abbia fornito chiarimento alcuno in merito
a tale gesto così eloquente, e nemmeno abbia fornito una semplice
ricostruzione alternativa del fatto con ciò avallando l’unica logica ricostruzione
proposta dal tribunale, confermative in maniera decisiva della verità delle
dichiarazioni del Sermeraro circa la partecipazione del ricorrente alla rapina.
Ne discende che, anche prescindendo dagli ulteriori elementi di riscontro
segnalati del tribunale, e dalla utilizzazione in particolare delle dichiarazioni
rese dal Leuzzi, il giudizio sulla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza

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risulta svolto non soltanto in maniera perfettamente logica ma anche
nell’assoluto rispetto delle norme di diritto, superando pienamente il vaglio
esperibile in questa sede di legittimità. Dal che l’infondatezza della doglianza.
Quanto peraltro alla doglianza circa l’utilizzazione delle dichiarazioni rese dal
Leuzzi, deve comunque rilevarsene la manifesta infondatezza, atteso che
nell’istanza di riesame la doglianza non è sollevata; cosicché non può essere
proposta per la prima volta in questa sede di legittimità (cfr. Cass. sez. II,

Manifestamente infondato poi è l’ultimo motivo, sulla sussistenza delle
esigenze cautelari. Contrariamente a quanto affermato nel ricorso, il tribunale
ha dedicato una intera pagina ad illustrare in maniera compiuta le ragioni
della necessità della custodia cautelare individuandole non soltanto
nell’evidente pericolo di recidiva desumibile dalla rilevante gravità del fatto e
dalla negativa personalità del prevenuto (quale emerge dal passato criminale
dello stesso), ma anche riscontrandole in ragione dell’atteggiamento omertoso
riscontrato in tutti i protagonisti della vicenda, la quale è ancora oggetto di
approfondite indagini non essendo emersa l’identità di tutti í responsabili,
indagini che potrebbero essere facilmente compromesse dall’atteggiamento
omertoso e anche minaccioso dell’odierno indagato una volta rimesso in
libertà. A sostegno di tale ultima affermazione del tribunale richiama ancora il
gesto autoritario ed eloquente rivolto dal ricorrente al coindagato e inteso a
farlo tacere.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deliberato il 7.1.2014

21.9.2012, n. 42408).

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