Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3306 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3306 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Dragotto Pasquale, nato a Sant’Agata di Militello il 1/4/1969
avverso la ordinanza 23/7/2013 del Tribunale per il riesame di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Eduardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo il rigetto;
udito per l’imputato, l’avv. Luca Benedetto Inzerillo, quale sostituto
processuale Mauro Tonino Ricciardo che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza in data 23/7/2013, il Tribunale di Messina, a seguito

di istanza di riesame avanzata nell’interesse di Dragotto Pasquale, indagato
per i reati di tentativo di estorsione e danneggiamento a seguito di incendio,
confermava l’ordinanza del Gip di Mistretta, emessa in data 11/7/2013, con
la quale era stata applicata al prevenuto la misura cautelare della custodia in

Data Udienza: 07/01/2014

carcere.

2.

Il Tribunale riteneva sussistente il quadro di gravità indiziaria fondato

sulle dichiarazioni confessorie di Campo Alberto, Militello Manuel e Ticonosco
Antonio, autori materiali dei due attentati incendiari ai danni del locale
“Naija” gestito da Piscitello Roberto e dalle parziali ammissioni dello stesso
indagato.

reiterazione del reato, concludendo che la custodia cautelare in carcere
appariva l’unica misura adeguata.

3.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando diversi motivi di gravame.
3.1

Con un primo motivo contesta la sussistenza dei presupposti della

condotta punibile per il reato di estorsione, eccependo che non è
configurabile un tentativo di estorsione all’insaputa della persona offesa,
Piscitello Roberto, il quale nella denunzia-querela sporta ai Carabinieri aveva
dichiarato di non aver subito alcuna costrizione psichica. Eccepisce, inoltre,
che nella fattispecie non sussisterebbe l’elemento soggettivo del reato di
estorsione.
3.2

Con ulteriori motivi il ricorrente contesta la configurabilità del

concorso formale fra i reati di incendio ed il tentativo di estorsione e si duole
del fatto che i giudici non avrebbero preso in considerazione la denunzia
della persona offesa, la quale aveva escluso di aver ricevuto minacce o
richieste estorsive. Con riferimento al reato di cui all’art. 424 cod. pen.
eccepisce che il fatto avrebbe dovuto essere qualificato come
danneggiamento non essendovi stato pericolo per la pubblica incolumità.
Infine si duole che le motivazioni dell’ordinanza impugnata siano state
depositate dopo la scadenza del termine di 10 giorni dalla trasmissione degli
atti da parte del Gip.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è infondato.

2.

Per quanto riguarda le censure in punto di sussistenza dell’elemento

2

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva sussistente il pericolo di

oggettivo e soggettivo del reato di estorsione tentata, le stesse sono
destituite di fondamento in punto di diritto ed inammissibili nella misura in
cui tendono ad una rivalutazione del fatto.

3.

Deve essere ricordato che la minaccia costitutiva del delitto di

estorsione oltre che essere palese, esplicita, determinata può essere
manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata,

incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione
alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni
soggettive della vittima e alle condizioni ambientali, in cui questa opera.
(Cass. Sez. 2, 16.6.2004 dep. 23.9.2004, n. 37526, CED 229727; Cass.,
Sez. 2, 20/05/2010 – dep. 25/05/2010, n. 19724, CED 247117). Peraltro
deve aggiungersi che la costrizione, che deve seguire alla violenza o
minaccia, attiene all’evento del reato, mentre l’ingiusto profitto con altrui
danno si atteggia a ulteriore evento, sicché si ha solo tentativo nel caso in
cui la violenza o la minaccia non raggiungono il risultato di costringere una
persona al “facere” ingiunto (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11922 del
12/12/2012 Cc. (dep. 14/03/2013) Rv. 254797).

4.

Conformemente ai requisiti della minaccia, anche per quanto

riguarda la costrizione psichica, non è necessario che la richiesta estorsiva
sia avanzata in modo esplicito e diretto. Laddove l’estorsione sia volta a far
cessare o a scoraggiare l’esercizio di un’impresa o di un’attività economica
considerata nociva per gli interessi del soggetto agente, la richiesta
estorsiva, idonea a realizzare la costrizione psichica, può essere formulata
anche per fatti concludenti, per es. attraverso attentati ai cantieri, alle
strutture, ai mezzi dell’impresa. Nel caso di specie, è di tutta evidenza che
gli attentati incendiari alle strutture del Lido “Naija” miravano
obiettivamente a costringere la persona offesa a desistere dallo svolgimento
di un’attività commerciale che l’imputato, titolare di un Bar sito nella zona
avvertiva come pregiudizievole per i propri interessi.

Non può dubitarsi,

pertanto, della sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di estorsione
tentata, né del dolo specifico in testa all’imputato che ha commissionato gli
attentati.

5.

Per quanto riguarda il motivo circa la qualificazione giuridica dei fatti

indiretta ed indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad

ex art. 425 anziche ex art. 635 cod. pen., le contestazioni del ricorrente non
sono ammissibili in quanto si risolvono in censure in fatto.

6.

Infine è inammissibile l’ulteriore motivo circa la tardività del deposito

della motivazione. Infatti secondo l’insegnamento di questa Corte non
sussiste la perdita di efficacia della misura cautelare personale qualora la
decisione sulla richiesta di riesame, completa di motivazione, sia depositata

proc. pen., purché il Tribunale del riesame abbia deliberato e depositato il
relativo dispositivo entro il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti
(Cass. Sez. 5, Sentenza n. 48557 del 06/10/2011 Cc. (dep. 28/12/2011 )
Rv. 251699).

7.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento.

8.

Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione

in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1
ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che
copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1
tigdel citato articolo 94.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94 Disp. Att. Cod. proc. pen.
Così deciso, il 7 gennaio 2014

Il Consigli re estensore

oltre il termine di dieci giorni, previsto dall’art. 309, comma decimo, cod.

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