Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33031 del 10/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 33031 Anno 2014
Presidente:
Relatore:

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Antonio Zanetti, nato a Pordenone 1’11.10.1970
avverso l’ordinanza del 1° ottobre 2013 emessa dalla Corte d’appello di
Trieste;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
lette le conclusioni del sostituto procuratore generale Gioacchino Izzo, che ha
chiesto l’inammissibilità del ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo.

Data Udienza: 10/04/2014

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Con decreto del 12 marzo 2008 il Tribunale di Pordenone applicava nei
confronti di Antonio Zanetti la misura di prevenzione della sorveglianza
speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno per la durata di cinque
anni ai sensi degli artt. 1, 3, 4, 5 e 7 delle legge n. 1423 del 1956; la misura

a seguito della pronuncia di inammissibilità del ricorso da parte della Corte di
cassazione.
La misura veniva eseguita solo nel dicembre 2012, dopo l’avvenuta
esecuzione di una serie di condanne, e il Tribunale di Pordenone respingeva
l’istanza di revoca della stessa ex art. 11 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159,
ritenendo che la pericolosità sociale di Zanetti fosse ancora attuale.
La Corte d’appello di Trieste, con provvedimento del 10 ottobre 2013, ha
confermato la decisione del Tribunale, ribadendo che Zanetti manifesta lo
stesso tipo di pericolosità che ha giustificato l’originaria applicazione delle
misura di prevenzione personale.

Contro questo provvedimento ha presentato ricorso per cassazione
l’avvocato Michele Attanasio, nell’interesse del proposto, sostenendo la
mancata valutazione dello stato di pericolosità sociale dello Zanetti. Inoltre,
dopo aver rivolto una serie di critiche al sistema della misure di prevenzione,
anche richiamando pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha
sollevato questione di costituzionalità dell’art. 11 d.lgs. n. 159 del 2011 per
violazione degli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui non è previsto un
meccanismo officioso di verifica circa la persistenza della pericolosità sociale al
momento dell’esecuzione della misura.

Il ricorso è manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha escluso che la causa che ha determinato
l’applicazione della misura di prevenzione sia cessata o mutata e
conseguentemente ha ritenuto corretto il provvedimento con cui il Tribunale di
Pordenone ha respinto la richiesta di revoca proposta nell’interesse di Antonio
Zanetti ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 159 del 2011.

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veniva ridotta a due anni dalla Corte d’appello di Trieste e diveniva esecutiva

In particolare, i giudici di secondo grado hanno ritenuto sussistente ed
attuale la pericolosità sociale dello Zanetti, anche dopo il lungo periodo di
carcerazione subita, mettendo in rilievo una serie di condotte poste in essere,
tra cui la violazione della misura imposta e, soprattutto, il tentativo di truffa ai
danni di due donne dalle quali si sarebbe fatto consegnare del denaro
promettendo che le avrebbe assunte in un centro estetico o in uno show room

dopo aver sottolineato che Zanetti è impegnato a seguire un percorso
riabilitativo per soggetti affetti da problemi psichiatrici sicché la prospettiva di
aprire un centro estetico o uno show room sartoriale risulta del tutto illusoria,
ha sostenuto che tali comportamenti si pongono in linea di continuità con
quelli tenuti per anni dal ricorrente e che gli hanno procurato le condanne per
truffa ed esercizio abusivo della professione, confermando il giudizio di
pericolosità sociale.

Del tutto generico è il motivo con cui il ricorrente censura il sistema della
misure di prevenzione. In ogni caso, si ribadisce che la Corte EDU ha ritenuto
la piena compatibilità con la Convenzione dei diritti dell’uomo delle misure di
prevenzione personali.

Manifestamente infondata e, in ogni caso, irrilevante è la questione di
costituzionalità proposta nel ricorso. Si assume la contrarietà agli artt. 3 e 24
Cost. dell’art. 12 legge n. 1423 del 1956, corrispondente all’attuale art. 11
d.lgs. 159 del 2011, in quanto non consentirebbe, nel caso di sospensione
dell’esecuzione della misura di prevenzione personale a causa dello stato
detentivo del proposto, il potere dovere del giudice dell’esecuzione di valutare
la persistenza della pericolosità sociale al momneto della esecuzione della
misura.
Nella specie, la questione appare irrilevante dal momento che sia il
Tribunale di Pordenone, sia la Corte d’appello di Trieste hanno respinto
l’istanza di revoca solo dopo aver rivalutato la sussistenza della pericolosità
dello Zanetti.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma

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sartoriale. Con riferimento a quest’ultimo episodio l’ordinanza impugnata,

di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo
determinare in euro 500,00.
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 500,00 in favore della cassa

Così deciso il 10 aprile 2014

Il Consiglle e estensore

delle ammende.

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