Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33014 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33014 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAPIZZI GIUSEPPE N. IL 03/07/1966
BARBAGALLO DOMENICA N. IL 01/11/1970
BARBAGALLO ANNA N. IL 18/04/1979
avverso il decreto n. 13/2013 CORTE APPELLO di PALERMO, del
12/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. eo he,nr
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C2-12ii

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 16/05/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con decreto in data 12 luglio 2013 la corte d’appello di Palermo i in parziale riforma del decreto
emesso dal tribunale di Agrigento sezione misure di prevenzione, in accoglimento
dell’impugnazione del P.M.,ordinava la confisca di ulteriori beni intestati a Barbagallo Domenica
e confermava nel resto il decreto impugnato.
Il tribunale di Agrigento con provvedimento in data 24 ottobre 2012 aveva applicato a Capizzi
Giuseppe la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con

altresì al predetto l’obbligo del versamento di una cauzione di euro 2000,00. Aveva altresì
ordinato la confisca di diversi beni immobili e complessi aziendali formalmente intestati alla
moglie Barbagallo Domenica e alla cognata Barbagallo Anna, tutti ritenuti nella disponibilità del
proposto.
Ricorrono per cassazione a mezzo dei difensori di fiducia, il proposto Capizzi Giuseppe e gli
intervenienti Barbagallo Domenica e Barbagallo Anna.
Capizzi Giuseppe con unico articolato motivo deduce che il provvedimento impugnato è incorso
in violazione di legge e vizio della motivazione. Lamenta che i giudici d’appello hanno omesso,
relativamente alla statuizione di pericolosità sociale, di palesare compiutamente l’iter logico
che ha permesso loro di superare le censure sollevate dalla difesa al decreto del primo giudice.
In particolare contesta che i giudici di secondo grado non hanno indicato con la dovuta
puntualizzazione tutti gli elementi di fatto e di diritto in base ai quali hanno affermato la
sussistenza della pericolosità sociale e della sua attualità avendo fatto esclusivamente
riferimento ad una sentenza di condanna risalente nel tempo, essendo le ragioni dalle quali i
giudici d’appello hanno fatto discendere il giudizio di pericolosità sociale tutte antecedenti al
2004. Contesta anche la legittimità della confisca dei beni intestati alla moglie e alla cognata,
acquistati con le disponibilità finanziarie delle stesse. Contesta l’eccessività della durata della
misura e della cauzione imposta .
Le intervenienti Barbagallo, anche loro con un articolato unico motivo, sostengono che la
maggior parte dei beni confiscati erano stati acquistati con risorse lecite dalla famiglia delle
ricorrenti in epoca notevolmente anteriore al matrimonio di Barbagallo Domenica con il
proposto. Sostengono che i Barbagallo non erano imprenditori collusi con ambienti malavitosi,
ai quali erano assolutamente estranei,ed evidenziano che grazie alle consulenze tecniche erano
stati ricostruiti i flussi finanziari che avevano consentito alle ricorrenti di acquistare i beni
confiscati. Quanto alla ritenuta sperequazione tra i redditi dei coniugi Capizzi-Barbagallo e gli
investimenti effettuati sostengono che non sono stati considerati i redditi della Barbagallo quali
imprenditrice agricola, i relativi contributi comunitari, l’indennizzo erogato dalla GHIELLA
costruzioni S.p.A., le quote di partecipazione societaria di entrambi i coniugi, i finanziamenti
erogati dal sistema creditizio. Concludono che le risorse finanziarie illecite del coniuge non
erano sproporzionate agli investimenti effettuati e sostengono che il decreto impugnato non ha

obbligo di soggiorno nel Comune di residenza per la durata di anni tre e mesi sei, imponendo

risposto all’obiezione difensiva secondo la quale la presunzione legale di disponibilità in capo al
proposto di beni intestati ai congiunti opera solo per i beni acquistati o trasferiti nei due anni
antecedenti la proposta di misura di prevenzione e che, nel caso di specie /tutti i beni erano stati
acquisiti dal 1991 se.S1 1999.
Il difensore di Barbagallo Anna depositava memoria difensiva con la quale illustrava
ulteriormente i motivi di ricorso.

Il ricorso proposto dai terzi interessati Barbagallo Domenica e Barbagallo Anna è inammissibile

Corte SN. 46439 del 2009 Rv. 245440, N. 13798 del 2011 Rv. 249873N10398 del 2012
Rv. 252925) quello secondo il quale per i terzi interessati, portatori di un interesse meramente
civilistico, vale la regola menzionata dall’art. 100 cod. proc. pen. per la parte civile, il
responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, secondo cui “esse
stanno in giudizio con il ministero di un difensore munito di procura speciale”, al pari di quanto
previsto dall’art. 83 cod. proc. civ., laddove l’indagato o l’imputato, assoggettati all’azione
penale, stanno in giudizio personalmente, avendo solo necessità di munirsi di difensore che,
oltre che ad assisterlo, lo rappresenta ex lege e che è titolare di un diritto di impugnazione in
favore dell’assistito, per il solo fatto di esserne difensore , senza che debba essere munito di
procura speciale, imposta solo per casi riservati all’iniziativa personale dell’imputato. Il terzo
interessato deve pertanto essere considerato al pari dei soggetti indicati dall’art. 100 cod. proc.
pen., con la conseguenza che non può stare in giudizio personalmente, ma ha un onere di
patrocinio che è soddisfatto solo attraverso il conferimento di procura speciale al difensore, che
nel caso di specie non risulta essere stata rilasciata.
Così come è inammissibile il ricorso per cassazione proposto da Capizzi Giuseppe – avverso il
decreto di confisca dei beni ritenuti fittiziamente intestati a terzi – per carenza di interesse
Ed invero, l’impugnativa volta a contestare la ritenuta fittizia intestazione del bene deve essere
proposta dal terzo apparente intestatario e non certo da chi si ritenga abbia la disponibilità
dello stesso bene, che, fondatamente, si presuma intestato a terzi al fine di sottrarlo a coattiva
apprensione, in ragione della paventata od attuale soggezione a misure di prevenzione.
La ragione è di intuitiva evidenza. L’impugnativa del proposto, che contesti la ritenuta
divaricazione tra apparenza ed effettiva realtà giuridica, non potrebbe significare altro che
riconoscimento di effettiva disponibilità, e dunque del presupposto legittimante l’ablazione del
cespite, non avendo egli – in linea astratta – alcun qualificato interesse a dedurre una
situazione di mera apparenza, ne’ essendo tale alternativo interesse fatto valere in giudizio.
(cfr. Sez. 5, n. 6208 del 21.10.2010 Rv. 249499; Sez. 2, n. 15474 del 20.1.2012
Rv. 252811).
Ciò detto deve rilevarsi che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è
ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto della L. 27 dicembre 1956, n.
1423, art. 4, comma 10, richiamato dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 ter, comma 2, ed è
2

per mancanza di procura speciale. E’ principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa

esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui
all’art. 606 c.p.p., lett. e), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di
motivazione inesistente o meramente apparente, qualificabile come violazione dell’obbligo di
provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4,
comma 9. Situazione che non ricorre nel caso in esame non rinvenendok’nel provvedimento
impugnato difetti tali da rendere la motivazione meramente apparente. Anzi deve rilevarsi che
il ricorrente attraverso l’apparenza del vizio di omissione motivazionale cerca di sottoporre
nuovamente le stesse censure in fatto già presentate ai giudici di merito che hanno ritenuto ,

irrevocabile del 7.7.2010) la sussistenza dei presupposti di legge per l’applicazione della
misura. Deve aggiungersi che ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di
appartenenti ad associazioni di tipo mafioso, non è necessaria alcuna particolare motivazione
in punto di attuale pericolosità, una volta che, come nel caso in esame, l’appartenenza risulta
adeguatamente dimostrata e non sussistono elementi, che nel caso in esame neppure sono
stati allegati dal ricorrente, dai quali ragionevolmente desumere che essa sia venuta meno per
effetto del recesso personale, non essendo in questo senso dirimente né il decorso del tempo
né l’eventuale restrizione carceraria, in assenza di comportamenti indicativi di un effettivo
recesso ( Cass N. 3268 del 1993 Rv. 196297, N. 2019 del 1995 Rv. 201459, N. 5760 del
1998 Rv. 212443, N. 499 del 2009 Rv. 242379, N. 3809 del 2013 Rv. 254512). È vero che il
rigore di tale orientamento in tema di presunzione di pericolosità è stato attenuato da
successive decisioni che hanno affermato che in presenza di restrizione carceraria il giudice
deve motivare sull’assenza di comportamenti indicativi di un effettivo recesso, ma è altresì
vero che la Corte di merito,nel caso di specie, ha assolto all’onere della motivazione
osservando, in particolare come: “il rilevante ruolo assunto dal proposto all’interno della
consorteria mafiosa ed ai rapporti dallo stesso intrattenuti con esponenti di assoluto vertice di
quel sodalizio criminoso, quali lo stesso Bernardo Provenzano e il latitante Matteo Messina
Denaro, portavano a ritenere che il periodo di carcerazione sofferta prima dell’applicazione della
misura fosse insufficiente a dar luogo ad un intervallo temporale idoneo a far venir meno
l’attualità della pericolosità del prevenuto”
I ricorsi sono pertanto inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di € 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma il 16.5.2014

con il richiamo a specifici elementi (appartenenza a sodalizio mafioso accertata con sentenza

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