Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33003 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33003 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PANIZZO GIANCARLO N. IL 11/02/1946
avverso la sentenza n. 2361/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 02/07/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del D,ott. i’Vcorn rni O r- DBA
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che ha concluso per I I g/?-2
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 15/05/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorre per Cassazione Panizzo Giancarlo avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna
che in data 2 luglio 2013 ha confermato la sentenza del tribunale di Ferrara che in data 4
maggio 2010 lo ha condannato per appropriazione indebita.
Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata è incorsa in:
1. violazione di legge per carenza dell’oggetto materiale della condotta. Insussistenza del
requisito della altruità della cosa nelle fotocopie di documenti formati dal professionista.

la dichiarazione dei redditi non restituisca, malgrado le richieste del cliente le fotocopie
del CUD e dei relativi allegati, come ritorsione per l’allusione ingiuriosa del cliente
stesso, dimostrandosi pronto a restituirle solo al giudice, come avvenuto nel caso di
specie, non si è in presenza del reato contestato ma di un illecito disciplinare.
Diversamente sarebbe per gli atti in originale. Sostiene che le copie che hanno un
semplice valore probatorio appartengono al soggetto che le ha formate e non già al
soggetto titolare del rapporto indicato nel documento;
2. violazione di legge per assenza del requisito della appropriazione essendosi l’imputato
dimostrato pronto alla restituzione a persona qualificata ( il giudice) come in effetti è
avvenuto;
3. violazione di legge per carenza del dolo specifico del profitto per impossibilità di
considerare profitto “il soddisfacimento di un interesse morale o psicologico”
Il primo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 c. 3 C.P.P.
posto che la violazione denunziata in questa sede di legittimità non è stata dedotta innanzi alla
Corte di Appello avverso la cui sentenza è ricorso ed è quindi questione nuova. Questa Corte
ha più volte affermato che sussiste violazione del divieto di “novum” nel giudizio di legittimità
quando siano per la prima volta prospettate in detta sede questioni, come quella in esame,
coinvolgenti valutazioni in fatto, mai prima sollevate.
I restanti motivi sono manifestamente infondati e ripropongono le stesse ragioni già discusse e
ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare, per di più, non
specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la
sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le
ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione,
questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di
aspecificità, conducente a mente dell’art. 591 cod. proc. pen., comma primo, lett. c),
all’inammissibilità. Il delitto di appropriazione indebita si consuma dal momento in cui il
possessore ha compiuto un atto di dominio sulla “res”, così manifestando l’intenzione di tenerla
come propria. Nel caso in esame è pacifico che l’imputato, avendo il possesso della
documentazione fiscale si rifiutò di restituirla alla Mangolini che del tutto legittimamente gliela
aveva richiesta, sollecitando ripetutamente la restituzione, dapprima personalmente, poi a
i

Sostiene il ricorrente che nel caso in cui il commercialista che si è occupato di redigere

mezzo di un legale (Cass. n. 22127 del 2013 ) Rv. 256055). Deve inoltre ricordarsi che
nell’ottica dell’art. 646 c.p. l’ingiusto profitto in vista del quale viene posta in essere la
condotta appropriativa non deve necessariamente connotarsi in senso patrimoniale, bastando
anche soltanto il fine di perseguire un (ingiusto) vantaggio di altra natura, come è avvenuto
nel caso in esame ( Cass. n. 40119 del 2010 Rv. 248765)
Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

Dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma il 15.5.2014
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Il esidente

P.Q.M.

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